Dalla BIENNALE DI VENEZIA 2017
Michel Balzy “Acqua Alta” 2017, un’opera che rappresenta appieno il sentimento di cambiamento e ribellione di tutta l’esposizione d’arte di questa Biennale 2017. Una rappresentazione moderna della Tortura della Goccia che, lentamente, trasforma la sua opera attraverso una metamorfosi delle immagini, di partenza, tratte da instagram. Il concetto di riconciliazione tra natura e modernità è qualcosa che accomuna parecchi artisti presenti tra i vari padiglioni, sia all’Arsenale che nel settore Giardini. Blazy racconta la storia del mondo moderno con una patina retorica e malinconica. La perdita di determinazione e utilità di un oggetto, trasformato in qualcosa di estremamente vicino alla putrefazione, denota lo spirito allegorico di questa società in crisi. Una crisi economica ma non solo. Una crisi spirituale, culturale e artistica che allontana la mente dalla sua evoluzione, riportando l’uomo agli albori medioevali, cancellando la presenza di un vero Rinascimento. Rabbia, ribellione e tristezza. A questo punto si è condotti verso un processo di riflessione interiore molto potente. Il percorso tortuoso, attraverso le varie storie raccontate dagli artisti, ha sempre lo stesso sapore: scioccante sentimento di violenza e voglia di ripartire. Una ripartenza che, si deduce, dovrebbe nascere da una raccolta di insegnamenti del nostro passato, della nostra arte, della nostra terra. Difficile. Quasi impossibile. Se si pensa a quanto sia povero lo spirito culturale dei nostri giorni si può comprenderne il motivo. Gli occhi sono fatti per vedere, non solo per guardare. Siamo fatti di memoria. Peter Miller, con la sua “Stained Glass” 2017, rende spettacolare il senso di memoria e introspezione. Una luce viola proiettata su un muro, un punto nero al suo interno, dentro una stanza totalmente buia. Il visitatore non può che attraversare il fascio di luce e vedere la sua ombra sulla parete avvolta dal colore. Riflessione. Introspezione. Futuro incerto. Fuori da quell’antro dell’Arsenale si inizia a guardare le cose sotto nuovi punti di vista nonostante sia difficile da spiegare. Il viaggio continua ma la malinconia pervade l’atmosfera. Eppure la voglia di crescere, di tornare in auge, di dare un futuro a questo mondo si legge chiaramente in ogni opera. A volte schiacciati dalla potenza delle immagini: John Lathman “Untitled N.3 of 11”, 1992, frammenti di libri e pezzi metallici emergono da una tela color panna; iconografia di un passato dimenticato che vorrebbe tornare a vivere in un presente in cui le pagine scritte vengono sostituite dai social network. Ancora più triste. Concreto e reale. Queste sono solo alcuni passaggi di questo percorso artistico dalla forza imparagonabile. Un commento, però, purtroppo, bisogna riservarlo al Mondo Magico del Padiglione Italia. Tre artisti italiani, Giorgio Andreotta Calò, Roberto Cuoghi e Adelita Hunsi-Bey costruiscono il loro percorso cercando di rendere “magico” un percorso iconografico legato ad una cultura moderna e cristiana con un risultato macabro e blasfemo. Roberto Cuoghi con la sua “Imitazione di Cristo” 2017 rende un’opera agghiacciante, tetra, spaventosa. Una fucina di Cristi espropriati di santità. Ha reso la nostra più importante cultura religiosa secolare alla stregua di un film horror splatter. La ribellione va bene, l’impatto visivo ed emozionale va altrettanto bene ma il troppo, ahimè, stroppia. Ripartire dal passato significa ripartire dal Rinascimento, dai nostri grandi artisti, dalla nostra vera cultura, dalla nostra forte storicità. Significa ridare importanza ad un’Italia “calpesta e derisa”. Significa ritrovare la propria identità.
Il Rinascimento di quella grande crescita medioevale sta tornando. Tutto torna, come la moda. I nostri anziani sostengono ancora il motto del “non si butta via niente” ed è proprio con questo assioma che dobbiamo ripartire, ripescando e ristudiando ciò che ha reso grande l’Italia di ieri.
Arianna Forni
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