La Legge è uguale per tutti

Riferimento all’opera di GIUSEPPE ARCIMBOLDO “IL GIURISTA”, 1566

“Ingegnosissimo Pittor Fantastico”, l’Arcimboldo era così goliardicamente soprannominato dal Comanini. Fantasia e concretezza. Le sue teste composite sono l’emblema di un’epoca, sono il racconto di individui viventi nel e per il loro mestiere. Un naturalismo sfrenato, legato alla veridicità dell’attività ritratta, nel ritratto di un uomo. Si parla di un soggetto rappresentato da un volto ma si parla, altresì, di un unico lavoro, raccontato attraverso i dettagli che costruiscono le sue immagini. Una forza incredibile. Il pubblico subisce un condizionamento emotivo, è condotto verso il giudizio di mestiere e del mestiere rappresentato. Un impatto emozionale sublime. L’immobilismo di un mezzo busto. La concretezza degli oggetti utilizzati per costruirlo. Il movimento psicologico del racconto e l’esposizione di un reale giudizio sociale. Giudicare un Giudice trasformato ne “Il Giurista” potrebbe sembrare un comico o complesso compromesso di genere; è la sfida di fronte alla quale Giuseppe Arcimboldo pone i suoi affezionati cultori dell’arte. Il ritratto porta con sé alcune domande: chi sono? cosa sono? cosa pensi di me? L’artista non risponde mai. L’artista racconta una storia secondo il suo metro di paragone; non si sbilancia. Lancia un concetto nell’aria e aspetta che qualcuno lo raccolga e metabolizzi un pensiero. Il Giurista. Colui che giudica i colpevoli, colui che, solo, può decidere la sorte degli imputati. Il Giurista. Dovrebbe essere, innanzi tutto, un uomo giusto e giusto dovrebbe essere il giudizio verso di lui e verso la legge. Giusto, sì, come i libri che rappresentano il suo petto e la sua pancia. Giusto come le decisioni che prenderà grazie alla conoscenza ma, ahimé, proprio “di pancia”, secondo impressioni e sensazioni umane e per questo non necessariamente corrette. Giusto in base ai suoi stessi appunti, presi su fogli di carta volanti che formano quel collo sul quale è sorretta la testa parlante, colei che, sola, giudicherà realmente. Quella bocca costruita dalla coda di un pesce, ovattato dall’acqua che ovatta l’atmosfera entro la quale Il Giurista dovrà giudicare. La pesantezza della sentenza inizia a farsi sentire. Fatica. Timore. Paura. Angoscia. L’angoscia di quell’uomo che, mal giudicato, si avventa negli occhi del povero uomo Giurista; suo malgrado è fatto di carne, come l’imputato, e seppur studioso incappa nell’errore che lo porta alla gogna, tra le braccia infuocate di una folla di giudicati da giudizi negativi. Quegli occhi circondati da braccia nervose o da ali spiumate, quegli occhi aperti ma annebbiati dall’ombra e dal dolore di dover vedere la sofferenza del mal giudicato e di sé stesso. Accusato, Il Giurista, di errore e di famelica necessità di sentirsi super partes. L’analogia con i giorni nostri è semplice. Visibile. Serpeggia nelle vie della nostra Madre Terra. Incombe su di noi Il Giurista moderno. Sarà giusto? Sarà davvero Giusto Giudice del Giudizio Terreno? Agli uomini non resta molto da fare se non avere chiara in mente la propria strada. L’uomo deve sapere. Deve tutelarsi dall’ignoranza. Deve superare, a pieni voti, il Giudizio della sua stessa vita. La sua salvezza è stare lontano da quel mal giudizio infernale che incombe sul Giurista e si stempera nella folla Giudicata dal suo stesso tempo.

Arianna ForniIl-Giurista-Arcimboldo-802x1024

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