La mamma, già, è sempre la mamma, in arte così come nella vita. Per la mamma puoi essere tutto, puoi essere niente. Resti sempre il suo bambino. Sei e resterai sempre figlio di una madre che morirebbe per proteggerti.
Con queste premesse nasce l’opera di Umberto Boccioni: “Materia”, 1912-1913, una figuara intera di donna, della sua mamma, la mani giunti quasi a dire “Figlio mio cosa stai facendo, ascoltami, sei proprio sicuro?”. Una figura austera, potente, autoritaria, forte, incombente in vita come nei pensieri; è sua madre, colei che lo ha messo al mondo e gli ha permesso di trasformarsi in ciò che è realmente. Quelle mani giunte: “dammi retta, sistemati quella camicia, vai a far stirare i pantaloni, vieni qui che ti raddrizzo il colletto, vieni qui e lasciati abbaracciare”. Magico. Da questo dipinto esce un forza sentimentale difficile da descrivere. I colori illumiano un sentimento prima ancora di arrivare al quadro stesso. Non importa cosa ritragga realmente, non importa leggere la critica all’opera. Materia è una mamma. Guarda quelle mani, focalizzati sulla stretta continua, sulla vividezza con cui traspare preoccupazione ma, allo stesso tempo, rassegnazione, un briciolo celato di soddifazione; la stessa di ogni madre che osserva i suoi figli uscire dal nido per andare via, chissà dove e chissà , soprattutto, perchè. Una mamma. Che bello. Sono le nostre mamme, quelle dei nostri giorni, quelle che aspettano i bimbi fuori dalle scuole. Che bello. Sono quelle mamme che sistemano le magliette dei figlioletti dentro i pantloni, che raddrizzano il colletto della camicia e intrecciano i capelli delle belle bambine. Sono loro, quegli sguardi benevoli, dolci e preoccupati. Spaventati da questo mondo infame.
Ogni artisti ne ha una e ogni artista la ritrae a seconda del periodo storico in cui si inserisce. Troviamo Rembrandt che nel 1629 ritrae una donna, sua madre, tanto austera da sembrare persino cattiva, quasi una matrigna, eppure, in quegli occhi tristi si legge la commozione propria di una madre che vede il figlio allontanarsi per andare dove, ancora non si sa. Suo figlio; sì, è lui l’artista di cui tutti parlano. Viene da piangere.
Chissà perchè. Quanto volte abbiamo criticato, ci siamo arrabbiati, abbiamo strepitato contro quella donna che, sola, ci ha messi al mondo con dolore solo per lasciarci fare ciò che vogliamo e come vogliamo. Rispetto. Ci vuole rispetto. Partecipazione. Se siamo ciò che siamo è anche e sopratutto merito loro: della mamma. Vorrei soffermarvi sugli occhi della madre di Rembrandt, senza dire niente. Osservate. sono sicura sia possibile vedere qualcosa di fin troppo comune. Preoccupazione. Non imposizione. Solo sana preccupazione. “Non farti male, figlio mio”. Le labbra contratte in una smorfia di rassegnazione. “Vai ma ricordati, ricordati cosa ti ho insegnato”.
Poi appare, nel 1888. la meraviglia della madre di Van Gogh. Vecchia e ingena. Sorridente, fiera, propositiva verso il momento, soddisfatta del suo bambino o, forse, soddisfatta di aver trovato un piccolo spazio proprio nell’opera del suo Vincent. Che bello. Che gioia. Che luce. “Dipingimi ancora, fammi bella, bellissima, così che tutti sapranno che sono proprio io la madre del genio, la madre di Vincent Van Gogh”
Sempra felice e probabilmente lo è davvero. Basta poco. Un sorriso vale più di mille altre dismostrazioni di affetto. Questa immagine è la fotografia di una gioia immensa che tutte le madri vorrebbero provare almeno una volta nella vita. I colori vivaci lasciano dimenticare le rughe che le solcano il viso; gli abiti alla moda rendono questa donna al passo con i suoi tempi nonostante la sua veneranda età. La commozione, qui, sta nella gioia di sapere il suo Vincent Van Gogh intento a fare un regalo alla sua stupenda madre e, chissà, magari, all’inizio, quel dipinto, era appeso proprio sopra il tavolo della sala, dove tutti i commensali avrebbero potuto vedere l’amore di un figlio, artista, nei confronti di quella mamma, tanto bella.
La madre è sempre, è sempre stata, sempre sarà, una madre.
In apoteosi a questa celebrazione della mamma c’è la Madonna. La Mamma delle Mamme. La mamma di tutti noi. La Mamma che glorifica, santifica e concede. La mamma che più di tutte ha sofferto la sofferenza di un figlio, che più di tutte non ha potuto far niente per evitare la drammatica e crudele fine che il suo figlio Gesù ha subito per salvare tutti noi. L’emblema di quella mamma che ha lasciato il figlio libero di andare, libero di scegliere, libero di correre i suoi rischi, libero di farle del male e, in questo caso, di fare del bene al mondo intero. Una madre che, per poco, troppo poco, ha guardato il suo pargolo con gli stessi occhi di qualsiasi madre normale. In fondo, la Madonna è una donna. Una donna normale, per esserlo, deve essere madre.
Sandro Botticelli “Madonna Con Bambino” 1480/’81
Arianna Forni