TESEO – La nostra ora nuziale, bella Ippolita,
s’approssima: quattro giorni felici
ci porteranno la novella luna…
Oh, come questa vecchia pare lenta
a dileguarsi, quasi a ritardare
malignamente, come una matrigna,
l’appagamento dei miei desideri,
o somigliante ad una ricca vedova
ostinatasi a viver troppo a lungo
per rendere a più a più sottili
le rendite del suo giovane erede.
IPPOLITA – Quattro giorni faran presto a svanire
con le lor notti, e queste a dileguarsi
coi loro sogni; e la novella luna
come un arco d’argento teso in cielo
salirà a contemplare sulla terra
la notte dei solenni nostri riti.
(da “Sogno di una notte di mezza estate”, 1605, William Shakespeare)
L’attesa, il desiderio, la passione, la voglia di giungere e congiungere la mente con il corpo. L’insaziabile necesittà di essere, in due, tutt’uno. Per sempre. Il matrimonio. L’amore fa volare proprio come nell’opera di Marc Chagall (1887-1985); indottrinato e schematizzato, entro i dettami delle rigide accademie russe, non era facile lasciare emergere il proprio stile eppure, i suoi dipinti, sono suoi. Solo suoi. Suoi nell’animo. Suoi e, forse, vorrebbero restare in un’intimità lontana anche dal suo pubblico. Eppure sono belli. Quanto lo sono. Nel suo “Sogno di una notte d’estate”, 1939, appunto, si respira Shakespeare. Lei, leggiadra, aleggia attorno al suo uomo che deve trattenerla per evitare di lasciarla scappare. Lei. Lei che attende un matrimonio, aspetta di diventare devota moglie di un uomo che per sempre sarà padrone del suo cuore e coordinatore delle sue giornate. Lei. Lei lo ama. Lei lo vuole, lo desidera ma non sa di essere pronta ad abbandonare quella libertà intima a cui tanto si stava abituando. Sembra Ippolita; anche lei non ha fretta, anche lei attende con serenità, anche lei sa che quattro giorni sono un lampo nella vita di un uomo ma, forse, sarebbe il caso di viverli appieno nel proprio più intimo personale modus vivendi. Sola. Libera. Non si capisce, qui, cosa sia l’amore. Non sappiamo se sia solo gioia o solo prigionia; non sappiamo se porti un miglioramento o comporti un pesante mutamento di vita quasi maniacalmente impositorio. Tutti si sposano e lo fanno con entusiasmo ma è qui, in Chagall, in Shakespeare, che finalmente viene rappresentata anche la paura. Farfalle nello stomaco e subbuglio ormonale, immagini poetiche di sentimentalismo estremo, quasi comico e poi, e poi solo e semplice normalità. Desiderio di scappare via lontano ma voglia di rimanere per non perdere il proprio amore. Questo è romantico; è romantico sapere che anche chi ama ha paura ed è altrettanto romantico sapere che lo stesso che ama desidera andare avanti accanto a quell’unico individuo del quale mai potrebbe fare a meno. E così la mano di quell’uomo trattiene la sua donna nel suo abito rosa, cerca di avvicinarla a sé come a dire “è mia, sono io il suo compagno, non guardatela, non toccatela, la proteggerò in eterno”.
Ancra più bello, trovo, la prima pagina del The Saturday Evening Post del 1951, tanto per dare una nozione numerica: nel 2013 l’illustrazione è stata venduta a 46$ milioni ma questa è poesia!

Noi parliamo di sensazioni. Parliamo di uomini e donne in là con l’età, parliamo di pettegolezzi, parliamo di parole e dialoghi. Parliamo di andamento costante di questa nostra routinaria quotidianeità. La stessa di un matrimonio schakesperiano, la stessa di un sentimento di Chagall, la stessa di quelle bonarie liti domestiche che ci accompagnano attimo dopo attimo. Ecco. Ecco cosa sono gli artisti: sono uomoni normali, forse sono ancora più normali di tutti noi, che li osserviamo cercando un meandro poetico e una citazione d’autore nei loro quadri. Guardate quella donna in basso a destra, quella mano vestita di un guanto nero davanti alla bocca come a dire “figurati se l’ho fattto io”, e poi quell’uomo, con l’indice puntato in segno di accusa. Potrebbe essere una qualsiasi scena famigliare: si è rotto un bicchiere. “Beh probabilmente è stato il gatto.”.
La noramlità è la cosa più affascinante e artistica di tutto questo mondo.
Arianna Forni