Dalla Mostra di Frida Kahlo al MUDEC, Milano, 09/02/2018
“Mi auguro che l’uscita sia allegra e spero di non tornare mai più”, cit. Frida Kahlo
Angosciante, scioccante, preoccupante e decisamente tetro. Un’immagine che, in vita, sembra l’alba di un suicidio, l’apoteosi di una depressione incurabile eppure, Frida Kahlo, non va letta in questo modo. L’incidente alla schiena le ha rovinato l’esistenza, l’ha costretta a cambiare i suoi schemi e le sue abitudini, l’ha imprigionata dentro una sofferenza dolorosa senza fine ma questo, mai e poi mai, ha prevalso sulla sua arte. I suoi quadri sono la rappresentazione di sé stessa. Sono ciò che lei vorrebbe essere; ciò che gli altri dovrebbero vedere di lei. Accompagnata dal suo unico vero amore, Diego Rivera, ha saputo trovare attimi di ilarità famigliare tanto quanto lunghi periodi di drammatica devozione al male. Eppure ha sempre lasciato che il suo genio raccontasse delle storie belle, potenti, struggenti, incisive e determinanti nell’ottica di pensiero. I dettagli fanno la differenza. I colori sono dominanti. Gli animali sono la gioia dei suoi dipinti. La sua figura è solo la centralità di una bellezza di cui amerebbe essere parte integrante. Lei, con tutto il suo dolore, è l’anima della sua festa e, con i suoi quadri, è l’anima della festa di chiunque decida di avvicinarsi, curioso, scottato, sconvolto, lucido ma sufficientemente vicino da vedere i colori degli occhi delle scimmie, dei fiori, degli intrecci dei suoi capelli, della ali delle argentee farfalle che le adornano il capo. Probabilmente sa di non essere l’emblema della bellezza ma che cosa importa. Lei è l’emblema della bellezza che sa essere bella nella sua stessa arte. Un quadro di Frida Kalho è entusiasmante perchè al centro c’è proprio lei, tutto il resto non conta. Ci si può far rapire dal dolore vedendo solo bellezza. Il panico è la rappresentazione della sua tristezza egocentrica, della sua paura insistente di perdere quel poco che le resta per vivere degnamente. Il suo Rivera, suo ma di tante, suo perchè per amore è disposta a perdonarlo sempre e sempre lo farà. Sempre lo ha fatto. Fino alla morte. Si chiama coerenza ed è la stessa coerenza con cui dipinge.
Ogni sua opera è una dolorosa trasformazione di sé stessa ma traspare speranza, traspare voglia di vivere, di congiungersi con il mondo naturale che la circonda. Le sensazioni che le trasmettono gli animali, le piante, l’aria, la brezza del mattino. La voglia di indossare abiti magnifici, femminili e delicati. Frida è una donna e per quanto sofferente vuole essere bella, vuole essere la donna del suo Diego. Vuole essere guardata. Lei è ovunque. Ti giri, osservi un altro quadro e lei c’è. Ti stupisce ma non ti indispone. Ti stupisce per il coraggio con cui una sola donna sia stata in grado di calamitare un mondo di uomini attratti da un concetto e non da un aspetto fisico. Questa è arte. Questa è la vera magia dei nostri tempi.
Purtroppo o per fortuna, tutto questo nasce da un concetto di base quasi aberrante. Frida è certa di una sola cosa:
“Ho subito due gravi incidenti nella mia vita.. il primo è stato quando un tram mi ha travolta e il secondo è stato Diego” cit. Frida Kahlo
Eppure lo tiene ben stretto a sé, lo coccola proprio come vorrebbe essere coccolata lei, come coccola i suoi quadri, come coccola le sue meravigliose fotografie. Frida non ha mai abbandonato nemmeno uno dei suoi sentimenti vitali, anzi, il dolore ha accresciuto le sue virtù.
Questa esposizione strappa il cuore, ti strazia l’anima e capisci una cosa. Capisci quanto sia importante avere un proprio modo di esprimersi, qualsiasi esso sia. Non importa che siano in molti a capirti, l’importante è che a farlo siano sempre quelli giusti.
Arianna Forni
