Rierimento all’opera di CARAVAGGIO “LA CONVERSIONE DI SAN PAOLO” 1600/’01
L’Innominato: controversa, contorta, enigmatica e spaventosa figura chiave de “I Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni, 1827, poi ripubblicata in versione definitiva nel 1840/’42. L’Innominato, colui che malgrado non abbia un nome e, di conseguenza, sia senza macchia e senza lode, deve occuparsi di un triste e meschino delitto: il rapimento di Lucia Mondella. Catastrofe. No, non vogliamo ripercorrere tutto il Manzoni, vogliamo dare una connotazione di “conversione”. Anche lui, l’Innominato, dovrà, per vizio, virtù o senso di amara colpevolezza, convertirsi, all’educazione del Bene Supremo. E sono solo parole.
“E perché, – riprese Lucia con una voce, in cui, col tremito della paura, si sentiva una certa sicurezza dell’indegnazione disperata, – perché mi fa patire le pene dell’inferno? Cosa le ho fatto io?… […] Perché lei mi fa patire? Mi faccia condurre in una chiesa. Pregherò per lei, tutta la mia vita. Cosa le costa dire una parola? Oh ecco! vedo che si move a compassione: dica una parola, la dica. Dio perdona tante cose, per un’opera di misericordia!”
(Promessi Sposi, 1840, parla Lucia Mondella all’Innominato, Capitolo 21)
Divina estasi di conversione di un infedele. Divina, sì, ma non celestiale. Profondamente religiosa nel risultato e nel compimento ma tanto umana e comprensibile. Ecco l’apoteosi della pittura di Caravaggio. Ecco nascere la sua Conversione di San Paolo. Mai nessuno, prima di allora, avrebbe nemmeno osato provare a dipingere un atto sacro in un contesto realistico. Mai nessuno aveva avuto il coraggio di dimostrare quanto la sacralità fosse più fortemente recepita se vista e vissuta in mezzo a noi. D’altra parte, non è proselitismo che il Signore sia risorto da una grotta terrena e sia nato una mangiatoia in mezzo al bue, all’asinello e ai pastori. Eppure tutto questo era ed è divino, divino nel suo significato, divino nel suo risultato finale; così com’è divina la conversione di un San Paolo caduto da cavallo, con le braccia aperte quasi a chiedersi “Ehi, dove sono? Sto bene? E il mio Cavallo”. Accanto a lui il fido scudiero si proccupa ben poco del cavaliere, più attento e intento, a rassicurare il povero animale spaventato e dolorante, come testimonia la zampa destra sollevata. C’è chi si prende cura di lui, lo coccola e lo umanizza; la testa abbassata, le orecchie dritte e i muscoli rilassati ne dimostrano la rara serenità. E San Paolo? San Paolo siamo tutti noi, scaraventati nel mondo alla ricerca di un’estasi liberatoria; di un’illuminazione divina che ci aiuti a superare la giornata. San Paolo, un Santo post estasi che poco prima era solo un soldato, la spada al suo fianco ne è la triste dimostrazione. Poi ci siamo noi che al posto della scimitarra abbiamo la macchina fotografica e la penna in mano pronti a far del male a qualcuno per apparire migliori. Noi. Noi che cerchiamo l’estasi di San Paolo. San Paolo, sì. Sbattuto nella polvere in estasi con sé stesso, non c’è molto da spiegare. La conversione è un atto personale e personalmente deve essere vissuto anche perchè chi osserva, detto tra noi, cosa potrebbe capire. Questo è il motivo per cui il quarter pezzato è primo protagonista dell’opera; solo dopo un’attenta osservazione si nota San Paolo, l’ex soldato fatto Santo in un momento del tutto lontano dall’essere mistico. Questo quadro non è bello è attanagliante. Questa conversione, nel panorama delle conversioni dipinte su tela, è la più vera, la più sincera, la più intimamente prepotente; è di una bellezza mozzafiato. Solo Caravaggio avrebbe potuto realizzare qualcosa di simile e, guardacaso, è un’opera tarda, quando ormai il suo stile aveva raggiunto la perfezione massima della sua estasi artistica, la stessa che Dante aveva raggiunto dopo un lungo pensare, un lungo peregrinare, una lunga conversione alla comprensione suprema dell’andamento del mondo attraverso gli occhi di Beatrice. Auguste Rodin e il suo “Pensatore” 1880/’81 racconta un attimo; un attimo prima dello schiudersi di un’idea. Un attimo prima di affrontare un lungo viaggio che condurrà proprio Dante dalle fiere demoniache al Paradiso terrestre. La conversione va solo cercata. La strada per trovarla è ancora lunga.
“La mia conversione, ohme!, fu tarda;
ma come fatto fui roman pastore,
cosi scopersi la vita bugiarda”
ma come fatto fui roman pastore,
cosi scopersi la vita bugiarda”
(Dante, Purg., XIX, vv. 106-108).
Arianna Forni
