Romeo: Cara, per la venerabile Luna che lassù tinge d’argento quelle cime di alberi, giuro.
Giulietta: Non giurare sulla Luna! Quella bugiarda incostante, che girando cambia faccia ogni mese. Anche il tuo Amore così sarebbe variabile.
Romeo: Allora su cosa devo giurare?
Giulietta: Non giurare affatto, o se vuoi giurare giura su te stesso.. Che sei il dio della mia adorazione e io ti crederò.
(da “Romeo e Giulietta”, William Shakespeare 1594-1596)
L’immancabile capacità moderna, radicata nelle menti convinte della propria furbizia, è quella di giurare: giurare di essere capaci di svolgere un lavoro, giurare di aver fatto o non aver fatto qualcosa, giurare amore eterno, giurare fedeltà, giurare di essere stabili ed equilibrati, giurare di avere padronanza dei propri mezzi. Giuriamo per mettere al sicuro chi ci è vicino, in un dato momento, e giuriamo per dare man forte al nostro spirito scostante e insicuro. La sicurezza, d’altra parte, si acquisisce solo con l’esperienza e l’esperienza dipende dagli anni di esercizio e dallo studio approfondito di qualcosa. Non si può conoscere tutto e, automaticamente, non si può giurare di conoscere quel tutto. In questo caso, però, non ci addentreremo nei meandri delle conoscenze univoche e fossilizzate all’interno della mente degli umani, questa volta parleremo del giuramento di fedeltà sensibile, sicuro e duraturo nel tempo. Non è solo per amore, è amicizia, è famiglia, è lavoro; è l’ambito della nostra esistenza che, in un preciso istante, prevede un impegno profondamente reale e dall’inscindibile fedeltà, nel rispetto e nella dedizione di una propria scelta non imposta. “Giuro che non ti tradirò”, il riferimento a Giuda Iscariota sarebbe troppo banale, il traditore più cosciente e prevedibile della storia non fa al caso nostro, noi siamo meno meschini e più incoscienti. Noi non siamo così, siamo più sottili nelle nostre azioni devianti e, soprattutto, abbiamo una capacità di ammutolirci attoniti di fronte ad un nostro stesso tradimento come se non fossimo stati noi a compierlo. La magia dell’illusionista: mostrarti qualcosa e distoglierti dal passaggio fondamentale, dal trucco. Spesso il nostro non è un atteggiamento palesemente cattivo o volto a causare dolore a terze parti; ci troviamo, semplicemente, talmente confusi da non avere più una razionale capacità di discernimento. In altre occasioni, invece, il tradimento è premeditato e anche tutta la manfrina successiva, utile ad assolverci di fronte al nostro pubblico, qualsiasi esso sia, ha una base di ragionamento studiato e dedotto da una concatenazione di fatti visualizzati nella nostra testa poco razionale. I finti tonti, più interessati al sentimento che ci lega, o legherebbe, fingono di non accorgersi del trucco da show di periferia; altri, al contrario, declassano il nostro nome fino a farci sprofondare nell’abisso degli instabili da salvare nel cellulare come “non rispondere”. Situazione drammaticamente reale, anche fosse solo per evitare la spiacevole sensazione di avere questo nome sulla rubrica del telefono, di un chicchessia, cercherei metodi di fuga meno evidenti e più politically correct. Perché scappiamo, da dove, quando e cosa ci spinga a farlo è qualcosa di troppo soggettivo per affrontare la tematica iniziando un dibattito. Possiamo, però, guardare due opere in cui il giuramento è la base inscindibile alla costruzione di una trama, con un finale quasi troppo palese ma con uno spirito potente. Il nostro problema, di base, è che non conosciamo il significato della parola giuramento. Il giuramento non ha vie di scampo, non ha deviazioni, non vi sono concessioni o attimi di perdizione. Il giuramento è un giuramento e se stiamo parlando di fedeltà non possiamo e non dobbiamo cadere nella tentazione di tradire. Dobbiamo essere saldi sulle nostre parole. Un giuramento solenne sancisce una sicurezza non solo per noi stessi ma, anche e soprattutto, per chi ci sta attorno e ha assimilato le nostre spontanee parole. “Giuro che starò al tuo fianco in qualsiasi situazione e ti sarò fedele anche nella tentazione; giuro che sarò, per te, una roccia inamovibile e ti dimostrerò di esserci”; belle parole che, al giorno d’oggi, non significano più assolutamente niente. Bello, bellissimo, romantico, quasi da lacrimoni. E poi? Poi il cane abbaia tre volte e l’uccel di bosco prende il volo.
Forse è meglio guardare i quadri prima di concludere. Francesco Hayez, l’amante dei baci e dell’amore vero, ha dipinto, nel 1823, “L’ultimo bacio di Romeo e Giulietta”. Una scena romantica in modo esemplare ma, allo stesso tempo, triste, mesta, divinatoria rispetto a un futuro troppo certo nella sua incertezza. Il bacio è sfuggevole, è un bacio che simboleggia un peccato, familiare a entrambi, ma che, per entrambi, suggella quel giuramento d’amore che li condurrà alla morte nella stabilità, mai scalfita, del loro eterno legame. Hayez sembra volerci dire: “Non può finire così, sono troppo belli, troppo giovani, troppo ingenuamente innamorati”; le storie d’amore, purtroppo, non sempre finiscono come ci si aspetterebbe e dovrebbe essere un monito, un motivo di apprendimento, un insegnamento. Chi ama davvero deve sapere, fin nel profondo dell’anima, che un giuramento è eterno e che la sofferenza provocata da un tradimento sarà talmente grande da causare una sofferenza ben più potente dell’amore stesso. Una poesia, praticamente. Al giorno d’oggi nessuno sa più né cosa sia l’amore, né cosa sia il giuramento, né, tantomeno cosa significhi prendersi delle responsabilità. Tutto questo è rimasto nei racconti ancestrali dei nostri nonni e di poche rare famiglie che possiedono ancora dei valori. Troppo pochi per suggerire imitazione.
Spostiamo il nostro sguardo sul “Giuramento degli Orazi”, di Jacques-Louis David, 1785.
Bisognava salvare Roma, bisogna combattere i Curiazi e solo i tre giovani fratelli Orazi avevano le possibilità di farcela. Il momento è sacro e intriso di tristezza emotivamente visibile nelle donne abbandonate alla decisione dei loro uomini, a darsi forza nella consapevolezza di quanto saranno drammatiche le conseguenze di quello scontro; poi c’è il padre, la mano destra aperta in segno di buon auspicio e nella sinistra le tre lucenti spade con cui dovranno compiere la battaglia. Gli Orazi si abbracciano in segno di solido appoggio, fisico e morale, protesi verso le armi, sicuri di quel giuramento e certi di poter andare fino in fondo nonostante la morte possa giungere da un momento all’altro. Il seguito del racconto potrebbe essere straziante ma, in fin dei conti, è legittimo e legittimato da un giuramento talmente serio da non concedere deviazioni. Si va fino in fondo e ci si va insieme. Insieme della gioia e insieme nel dolore.
Oggi si va insieme solo nella gioia, esclusivamente se si parla di gioia e basta, senza ma o virgolette. Felicità, festa, divertimento e siamo il popolo più unito che sia mai esistito; nel momento dell’immancabile inserimento di un problema, qualsiasi esso sia, gli amici, i conoscenti, gli astanti, spariscono nel nulla, svaniti nell’etere come se non fossero mai esistiti. Resta la famiglia, quella di sangue, quella che c’è quando va tutto bene e c’è ancora di più quando va tutto male.
Ricordiamoci una cosa prima di giurare. Ricordiamoci chi ne soffrirà se dovessimo tradire e pensiamo a tutto il bene che quelle persone ci hanno fatto fino a quel momento. Se veniamo traditi, chiudiamo un occhio e poi anche l’altro, gli sbagli altrui non ci giustificano a commetterne altrettanti. La sola cosa ferma e sicura, sulla Terra, è la famiglia, cari miei, proviamo a riportarla ad antico splendore e impariamo a giurare davvero in modo che la sacralità torni ad avere importanza e ci suggerisca di non sgarrare. Siamo ancora uomini, siamo ancora dotati di intelletto: usiamolo.
Arianna Forni