Belle, leggere, delicate, forti, sgraziate, eleganti, femminili, mascoline, modaiole, semplici, truccate, struccate, pettinate, spettinate, alte, basse, magre, grasse..che importa. Ciò che conta, per una donna è essere serena. Felice di vivere con sé stessa e appagata dal mondo che la circonda. Buttiamo nel cestino della spazzatura il femminismo, facciamo sparire le manifestazioni in cui, proprio le donne, si ridicolizzano di fronte a uomini ancora convinti della nostra inferiorità intellettuale. Basta. Basta violenza, basta abusi. Basta e basta. Non c’è molto da aggiungere. Cosa vogliamo dire ancora? Ormai i femminicidi sono all’ordine del giorno e sembra quasi che i giornalisti siano alla ricerca continua dei dettagli più macabri per descrivere meglio il gesto cruento di un uomo malato. Ma sì, diamo pure qualche consiglio ai prossimi pazzi indemoniati, in modo che possano sfruttare l’esperienza altrui per portare a termine il loro personale scopo e dar vita a un nuovo dramma, personale e nazionale. Ma stiamo dando i numeri? Eliminate le notizie dai telegiornali, date spazio alle donne che vincono nello sport, che ottengono riconoscimenti sul lavoro, che si distinguono per il loro intelletto sopra la media, che compiono atti eroici, che sono davvero emblemi iconici da prendere ad esempio. Parliamo di bontà di spirito e grandezza d’animo. Non voglio più sentir descrivere l’omicidio di una moglie la cui unica colpa è aver chiesto il divorzio. Non voglio più sentire i dettagli di quel devastante gesto. Non voglio. Non vogliamo. No. Non è così che si celebra la donna. Non è con le mimose, non è con i sindacati, non è con i cortei nelle piazze e nemmeno con lo sciopero delle lavoratrici. Se pensiamo, davvero, di combattere la violenza sulle donne in questo modo siamo decisamente sulla strada sbagliata. La violenza si combatte con l’istruzione, l’educazione e il rigore. Stop. La sensibilità è solo una conseguenza ad un buon bagaglio culturale acquisito in anni e anni di studio e di esercitazione. La donna è un essere umano esattamente come lo è l’uomo. Saremo anche meno forti, non più deboli, solo meno forti; non abbiamo nulla che ci differenzi dall’essere maschile, possiamo essere cattive e violente anche noi ma non è insito nella nostra formazione. Esistono casi eccezionali, esatto, l’eccezione che conferma la regola. Per il resto siamo donne. Donne forti e ambiziose, donne stacanoviste, donne che non mollano di fronte a niente; proseguire parlando di questo non porterebbe a null’altro se non a banali luoghi comuni utili solo a svilire il termine “donna”. In realtà, il genere femminile è un’icona artistica tra le più sfruttate. C’è ovunque, l’abbiamo già detto in altri articoli qui presenti (rimando a “La delicatezza di un Poeta”), illumina i grandi poeti e produce sensazioni piacevoli e calore emozionale. Ci sono delle donne, donne vere, che hanno reso merito al loro essere donne con la loro arte visiva; con i loro quadri ispirati al grande candore femminile.

Artemisia Gentileschi ritrae sé stessa, nel 1638-’39, in “Autoritratto come allegoria della pittura”.

Artemisia Gentileschi - Autoritratto come allegoria della Pittura (1638-1639)
Artemisia Gentileschi – Autoritratto come allegoria della Pittura (1638-1639)

La sua genialità è ben visibile fin dalla sua giovanissima età; aveva qualcosa in più degli altri, aveva maestria con il tratto e con l’utilizzo dei colori, sapeva esattamente cosa ritrarre e come fare per rendere con esattezza ciò a cui stava pensando. Era un genio ed era una donna. In quei tempi non era facile, non che oggi lo sia di più ma, quanto meno, abbiamo delle leggi che, parzialmente, tutelano il nostro buon nome, ma all’epoca era quasi uno scempio che una donna potesse superare, in ingegno, bravura e intelletto, un uomo. La violentarono, la torturarono, la umiliarono per provare a metterla fuori combattimento. Era una donna forte e nemmeno quella strumentalizzazione erotica del suo corpo giovanile, aveva appena 18 anni, la fece desistere. Aveva l’arte nel sangue e questo autoritratto, se osservato con gli occhi di quella povera ragazza, riesce a far commuovere. Lei aveva capito di essere solo, e per davvero, un essere umano e basta, proprio come gli uomini e sebbene non avesse la forza fisica per difendersi le restava quella intellettuale e il suo immenso talento.

Nel 1785, Angelika Kauffmann dipinse “Lady Elisabeth Foster”, Duchessa del Devonshire, ritratta in una posa esemplare per renderla bellissima.

Lady Elizabeth Foster 1785 by Angelica Kauffman
Lady Elizabeth Foster 1785 by Angelica Kauffman

La Kauffmann, non a caso, si era specializzata nei ritratti, ergendosi a pittrice di prim’ordine tra la gente di spicco della sua epoca. Aveva raggiunto un tal livello di notorietà che non servivano più presentazioni; erano gli uomini stessi a chiamarla per dipingere. Non era nemmeno più considerata come donna ma, in modo quasi miracoloso, esclusivamente, come pittrice, come ritrattista di quell’élite di ricchi che poteva permettersi di commissionarle le opere. Una mosca bianca, ma pur sempre una donna, emancipata in un periodo ancora restio alla considerazione femminile al di fuori di un letto.

Dobbiamo, senza ombra di dubbio, parlare, anche, di Tamara de Lempicka, esponente di spicco dell’Art Decò. Tra il 1930 e il 1931 dipinse “Ragazza in Verde”, un altro manifesto di emancipazione, un dandy, finalmente, in versione femminile.

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Tamara DE LEMPICKA – La ragazza in verde 1930 – 1931

Un riconoscimento di stile eccentrico ed elegante al tempo stesso, indossato da una donna, strideva come le unghie di un gatto sul vetro di una finestra cristallina. Le sue donne, però, in controtendenza con il ben pensare comune degli anni ’30, volevano rappresentare proprio questo grande cambiamento: il genere femminile osa e può osare, ha il diritto di mostrarsi per ciò che è e, intrinsecamente, per ciò che vorrebbe essere. Tamara fu, forse proprio per questo suo modo di essere davvero rivoluzionaria, corteggiata da uomini potenti, letterati, artisti avvocati (Tadeusz il suo primo marito) e un barone (Kuffner, il suo secondo marito, con cui si trasferì in Texas, più precisamente a Huston). Tamara è l’emblema dell’educazione al femminismo reale prima che il termine “emancipazione” fosse confuso con “femminicidio”.

Infine abbiamo Sam Taylor Johnson, una contemporanea, nata nel 1967 a Londra; una fotografa; raffigura la donna nella sua bellezza fisica e mentale avvolgendola nell’etere in cui galleggia, che la sositiene senza farla mai cadere. La Johnson ferma in uno scatto, consapevole, quell’attimo prima che, la stessa donna, possa apparire goffa e incapace di sostenersi, rovinosamente accasciata al suolo, còlta in un momento di totale sottomissione. In una serie di immagini magnifiche chiamate “Bram Stoker’s Chair” si vede questa ragazza, in déshabillé, di cui non si vede mai il volto, coperto dai suoi lunghi capelli biondi, giocare con una sedia, qua e là, sbalzata da una parte all’altra della stanza, senza mai toccare il pavimento.

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Sam Taylor Johnson “Bram Stoker’s Chair 3” 2005

Un volo eterno ed etereo di una donna al limite tra l’umano e l’estemporaneo. Pur sempre una donna, pur sempre bella e pur sempre leggera ma, questa volta, come vuole la nostra gretta modernità, non c’è un solo dettaglio a renderla migliore o simile al maschio alfa. Anzi, è posta mezza nuda a mostrare quelle forme sessualmente attraenti che potrebbero suscitare pensieri di altro genere. Sporcizia dell’addome maschile. No, non ci siamo, potremmo tornare ad esserci solo se tornassimo indietro, prima delle suffragette e ripartissimo dall’inizio.

Non è un caso che anche James Brown in “It’s a Men’s, Men’s world”, 1966, cantasse:

“This is a man’s world
This is a man’s world
But it would be nothing
Nothing without a woman or a girl”

Sostanzialmente un suppellettile da tirar fuori per l’occasione migliore o in quella dove l’accompagnatrice è richiesta. Impariamo a fare sul serio, a darci un tono compiuto e reale. Se vogliamo davvero sbandierare di essere tutti uguali, in questo mondo caotico, prima di fare di tanti generi un solo genere, impariamo a non confondere un sesso A con un sesso B diversificandoli. Diamo una connotazione univoca A-B. Sarebbe bello svegliarsi senza sentire di altre stragi maschiliste o altre donne a piangere dai sindacati. In fondo una donna bella e solare la vedi dai suoi occhi senza paura, dai suoi occhi sicuri, certi di avere qualcosa da dire, qualcosa che troverà ascolto, qualcosa in grado di darle reale soddisfazione. Una donna bella è sempre una donna con occhi brillanti, occhi sicuri di una stabilità che nasce da dentro e mai da fuori.

Arianna Forni

 

 

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