Per non piangere da solo
Io sono d’un altro avviso
Son bombarolo
Idioti di domani
Ridatemi il cervello
Che basta alle mie mani
Profeti molto acrobati
Della rivoluzione
Oggi farò da me
Senza lezione”
(Fabrizio De André, “Il bombarolo”, 1973)
Istinto, razionalità, istinto, razionalità; il demone che combatte l’angelo, l’esuberanza oppressa dalla saggezza. La pioggia che lava il paesaggio ma opprime lo spirito; la pioggia battente e il suo ineguagliabile rumore, avvolge l’atmosfera, a volte consola, a volta deprime, a volte mette allegria, a volte un sonno irresistibile. La pioggia viva che bagna, a volte sporca, spesso corrode oltre all’atmosfera anche l’animo umano.
“piove su i nostri vólti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,”
(Gabriele D’Annunzio, “La pioggia nel pineto” 1903)
Il monito di D’Annunzio è semplice: “Taci. […] Ascolta.” Già, taci e ascolta. Non c’è niente di meglio della rimembranza generata dal rumore della pioggia sulle “tamerici salmastre”. Sento un senso di vibrante malinconia e voglia di andare avanti per sfuggire all’attimo di risentimento e dispiacere dato dalla pioggia. Scende così rapida dal cielo, così imperterrita, così impavida, così inarrestabile da non avere scampo, puoi chiuderti in casa per non bagnarti e non vedere ma l’odore delle goccioline di pioggia non ha eguali. Non c’è scampo. Allora piangi un po’ anche tu ma guarda avanti perché tra breve tornerà il sole e l’arcobaleno. Questo è solo un modo di interpretare la pioggia, non è finita. Ci sono molti altri punti di vista:
Just singin’ in the rain
What a glorious feeling
I’m happy again
So dark up above
The sun’s in my heart
And I’m ready for love
For love”


Una meraviglia di eleganza e inadeguatezza, due aggettivi poco inclini ad avvicinarsi ma che, in quest’opera, lo fanno senza colpo ferire. Quell’abito rosso, la leggiadria dei movimenti di lei, accompagnata dalla solida presenza del ballerino e poi, accando a loro, il maggiordomo cantante, capace di portare la musica nel bel mezzo delle pozzanghere, disposto a sopportare il vento insieme alla cameriera, l’unico elemento ridicolo e comico dell’opera. Si trattiene il cappello, cerca di non farsi strappare via l’ombrello dalle mani e intanto guarda verso il profondo orizzonte di quella linea blu sul fondo della tela. Il mare. L’immagine è poetica e fa della pioggia un elemento positivo e non più negativo. Punti di vista.
La stessa eleganza, più corposamente ingessata, possiamo trovarla a Parigi, nel quadro di Gustave Caillebotte, “Strada di Parigi, giorno di pioggia” 1877.

La fotografia perfetta dei parigini anni ’70. Rigoroso aplomb, abiti ordinati e alla moda, colori scuri per mantenere una sobrietà tipica dell’alta società di quegli anni. L’uomo e la donna, in primo piano, rappresentano il savoir faire del gentiluomo, la accompagna a braccetto lungo il marciapiede, si guardano in giro, nella stessa direzione, a dimostrazione del fatto di essere insieme, veramente, insieme fisicamente e insieme nello spirito. Sono emblema di compartecipazione, stesso luogo, stessi interessi, stesso portamento; se sia amore o meno ha poca importanza, ciò che conta è vivere uniti per non sentirsi mai soli.
La pioggia non è la sola, incombente, presenza atmosferica: nevica. Scende dal cielo un numero infinito di cristalli bianchi, disegnati alla perfezione, simili alle greche che i bambini disegnano sui propri quaderni.
I fiocchi di neve cadono leggeri e morbidi sul terreno e colorano di un bianco candido che permette di sognare in grande, di sognare ad occhi aperti, di vedere, nella neve stessa, il risultato di ciò che siamo e di ciò che saremo. La neve porta allegria, su questo non c’è dubbio. La neve è elemento di piacere, ha un fascino incredibile anche per chi detesta il freddo. La neve accomuna il popolo. La neve è, come la musica, un elemento di propagazione di serotonina. Claude Monet, “La gazza”, 1868-1869, guardate quell’uccello nero, quella gazza su un piccolo steccato, anche lei sembra coinvolta da ciò che le sta intorno. Non se lo aspettava, non avrebbe potuto farlo e ora è circondata da un grande, meraviglioso, candore. Osserva. Lo sente anche lei, noi con lei. Compartecipazione emozionale, appunto.
Poi abbiamo Camille Pissarro (1830-1903), “Chemin de Creux, neige”, 1872 e Giuseppe de Nittis, “La pattinatrice”, 1875.
Il sole sulla neve rende ancora più brillante quel bianco celestiale, l’albero, spoglio delle sue foglie, accoglie qualche spruzzatina di neve tra i suoi rami mentre la coltre che copre le radici gli garantirà una rigogliosa rinascita nella stagione primaverile. Poi c’è lei, l’elegante pattinatrice che sfrutta l’inverno per giocare con gli unici elementi generati e mantenuti dal freddo, tra cui il ghiaccio. Sta sfruttando la situazione, sta vincendo il gelo grazie ai suoi abiti pesanti ma altrettanto femminili. Appare così bella e divertita.
La pioggia, la neve, due elementi fatti della stessa sostanza ma con due determinazioni totalmente differenti. L’acqua è la vita. L’acqua è il solo motivo per cui possiamo permetterci di vivere su questo pianeta. Rispettiamola, in tutte le sue forme.
Però c’è un momento in cui i due elementi si incontrano inesorabilmente. La pioggia cade sulla neve. Tristezza, devastazione interiore. Due elementi tanto vividi e vivaci, solidi, fermi, si mischiano tra loro, si annientano l’uno nell’altro fino a scomparire, del tutto, lasciando il passo alla terra brulla, bagnata, quasi sporca ma pronta a verdeggiare al più presto. Siamo di fronte alla dimostrazione di quanto niente accada per distruggere ma per creare nuovo vigore. La mente non ci aiuta a mantenere saldi i sentimenti e le emozioni ma dovremmo sempre essere capaci di guardare oltre, oltre l’attimo immediato. L’esperienza insegna e il ciclo della vita e del Pianeta non effettua deviazioni. Accadrà sempre ciò che ci aspettiamo. Ce lo insegna il solito vecchio saggio, lui sa, noi abbiamo tanto da imparare:
“Se oggi seren non è, doman seren sarà, se non sarà seren si rasserenerà.”
Arianna Forni