“Non è il dubbio, è la certezza che rende folli.”
(Friedrich Nietzsche)
La ragionevole certezza è uno stato della mente in grado di renderci invincibili, invulnerabili al male e immortali. Il ragionamento non pone limite alla sopravvivenza dell’uomo. Possiamo vivere in eterno o morire vivendo. Possiamo imporci, imparare ad esporre i nostri pensieri, risultare talmente carismatici da essere noi stessi una ragionevole certezza per chi ci ascolta. Avere un seguito di seguaci fedeli significa trasmettere la sicurezza, determinante, per ricevere in cambio ciechi seguaci devoti, rispettosi e riconoscenti. Bisogna essere consapevoli dei propri limiti. Sapere, con altrettanta ragionevole certezza, di non avere, veramente, quelle certezze inamovibili vendute come il pane; è necessario, però, mostrarsi ragionevolmente certi di quel punto di vista catatonico, se non che, ancora appannato, opaco, non nitido nemmeno ai nostri occhi. Dobbiamo renderci credibili. Non è una barzelletta, purtroppo, è esattamente quello che fa la maggioranza della gente moderna, social addicted. Milioni di follower che ascoltano, incantati, parole sicure di personaggi ambigui ma “famosi”, con la grandissima capacità di rendersi ragionevolmente certi di fronte ad una marea di plebaglia incerta e insicura. I classici Famosi per essere Famosi. Famosi per etimologia di un termine direttamente correlato a “personaggio pubblico”. I social addicted capiranno. Questo mondo sta cambiando davvero, proprio non so se sia un bene o un male. Famosi. Per Cosa? Potrebbe essere carisma, autorevolezza, dimestichezza con il public speaking, capacità di rendere divertente un argomento ostico, oppure, beh, semplicemente, sanno ottenere tutto questo grazie alla loro, insita, innata e irragionevole ma ragionevole certezza. Una sicurezza, questa, dettata più da uno stato psicotico, di onniscenza preponderante e improprio desiderio di mostrare sé stessi sull’altare della Divinità, per rendersi unici ai propri occhi, prima che al proprio pubblico. Un’arte quasi poetica. Una sorta di sogno di onnipotenza sfoggiato, senza vergogna, estraendo la spada dalla roccia e ottenendo, così, grandiosi risultati. Applausi e denaro, scrosciante. Bisogna fare un ragionamento sul processo cognitivo che porta i followers ad imbambolarsi di fronte a tutto questo. Purtroppo stiamo vivendo in un’epoca di cambiamento, radicale, rispetto al nostro più recente passato. Nel giro di vent’anni siamo passati dalle catene di Sant’Antonio scritte a mano e inviate attraverso le “fisiche” caselle di posta rosse addossate alle pareti delle case, ai social network, ad una comunicazione sempre più rapida e virtuale, alla diffusione veloce delle notizie, al condizionamento nell’acquisto dei beni primari attraverso le campagne di marketing on-line e, quindi, alla necessità impellente di distinguerci in una folla sempre più numerosa di utenti, del web, che desiderano e ardono per fare denaro e ricevere fama attraverso questo canale mediatico, libero da ogni schema, corredato da programmi infinitamente intuitivi, raggiungibili e adoperabili da chiunque. Da qui, sembra logico, constatare, una sorta di ragionevole certezza delle proprie possibilità e capacità di espressione e condizionamento dei follower. Il brutto termine “condizionamento” è stato sostituito con il ben più affascinante “influencer”. Non cambia niente. Il risultato è lo stesso: obbligare, intrinsecamente, qualcuno a fare quello che gli viene proposto, in qualsiasi modo venga fatto. La ragionevole certezza di vincere in modo semplice, di guadagnare in modo rapido, di catalizzare l’interesse, di un determinato target di riferimento, proprio attraverso il nostro canale di comunicazione. Anche la comunicazione, come il condizionamento e la parziale manipolazione, volti al risultato finale del vendere qualcosa a qualcuno, rientrano, sempre, nel più raffinato vocabolo “influencer”. La schiera di follower imbambolati sono quel novanta per cento di popolazione che, o non possiede gli strumenti per lanciarsi nella bolgia infernale del web, oppure crede di non averne le capacità e si arrende subito, o ancora non ha idee, non sa proporsi e non crede di avere nemmeno una peculiarità d’interesse pubblico e, per finire, tutti quelli che, al contrario, sono convinti di essere i migliori, hanno studiato per questo, hanno le doti, le idee e sanno proporsi ma, qui viene il bello, sanno di non dover incappare nell’errore di apparire simili a qualcun altro. Il secondo è, e rimarrà per sempre, il primo dei perdenti; la sua fama non potrà che risultare inferiore se non, peggio, indisponente. Attenti.
Questo cappello serve per introdurre un argomento potente, ovvero, la ragionevole certezza che, nella storia, ha fatto commettere molti, gravi, inguaribili, errori di valutazione.
Napoleone Bonaparte:

Nel quadro, entusiasmante, di Jacques-Louis David, Napoleone è un Eroe, un vero Eroe. Un condottiero, forte, determinato, carismatico, il classico uomo di cui avere fiducia. Era impossibile dirgli di no perché lui sapeva cosa fosse giusto e cosa fosse sbagliato. Conosceva la strada e sapeva come raggiungere la meta. Aveva tutto in mente. Era, passatemi il termine sarcastico, l’influencer del suo esercito che, imbambolato, eseguiva gli ordini, fino alla morte. Fino all’esilio a Sant’Elena, fino alla disfatta totale di ciò che egli stesso aveva già costruito e pianificato nella sua mente. Napoleone Bonaparte: politico, militare, condottiero, fondatore del Primo Impero Francese, Generale nel corso della rivoluzione francese; fu, addirittura Presidente della Repubblica Italiana tra il 1802 e il 1805, nonché Re d’Italia dal 1805 al 1814. Tristemente, con le lacrime sul viso, dobbiamo prendere atto: le belle storie non sempre hanno un lieto fine. Il 15 luglio 1815 Napoleone si arrese e con questa caduta di un forte morì una stirpe di seguaci innamorati di quell’uomo tutto d’un pezzo, fedele a sé stesso e determinante in ogni sua decisione. Esiliato; per un uomo del suo calibro, sono certa, sarebbe stata meglio la morte. Influencer di molti per poco tempo, deriso, arriso, schernito e ripudiato da tutti per il resto dei suoi giorni. Un monito. Un’allerta. Un raro e sano insegnamento per tutti: mai superare il proprio limite, mai pensare di essere giunti ad un livello ineguagliabile perché dietro, non lo saprai mai prima del momento meno opportuno, sono in tanti a studiare la mossa migliore per sbatterti fuori e rimpiazzarti. Nella grande massa a far la differenza non sono solo i contenuti, sono i numeri e poco conta l’etica con cui si riescano a raggiungere.
“Ei fu. Siccome immobile,
Dato il mortal sospiro,
Stette la spoglia immemore
Orba di tanto spiro,
Così percossa, attonita
La terra al nunzio sta,
Muta pensando all’ultima
Ora dell’uom fatale;
Nè sa quando una simile
Orma di piè mortale
La sua cruenta polvere
A calpestar verrà.”
(Alessandro Manzoni “Il Cinque Maggio”, 1821)
Nessuno vorrebbe immaginare le sue spoglie calpestate dal piede di un mortale qualsiasi, nessuno potrebbe immaginare sé stesso “siccome immobile”, nessuno. Soprattutto un Napoleone, ricordato nel silenzio di una terra muta di fronte al suo stesso stupore. La fine è solo un nuovo inizio. Agghiacciante per i predecessori, stimolante per i posteri.
E allora guardiamo, per un attimo, gli occhi, tipici del surrealismo veristico e psicoanalitico, di Max Ernst:

“Guardami perché io ti guardo e se mi guardi intensamente riuscirai a sentire ciò che sento io”. Inquietante? No. Non è diverso dall’influencer di turno che indossa un capo griffatissimo, talmente brutto da far rabbrividire, eppure, se può indossarlo lui, parte la corsa in massa verso il primo negozio disponibile. Il gioco è fatto. Voi, nel frattempo, continuate a guardare gli occhi dipinti da Ernst, sono sicura che ci troverete delle risposte a cui non avevate mai pensato.
Luci, colori, feste, aperitivi, star system e tripudio di fans in delirio ai vostri piedi. Sì, finalmente. Ce l’avete fatta, siete degli Dei, Divinità Divine adorate dal popolo bue. Sì. Guardate. Gino Severini, 1915:

In quest’opera meravigliosa potreste essere, nello stesso frangente, tutto e niente perché non siete voi il centro del quadro, non è l’uomo a suggerire la divinità ma è il colore. Il dinamismo eccentrico e ineccepibile del colore stesso avvolto dal vostro sguardo in continuo movimento stabilisce l’essenziale: l’Idolo. Non rallentare proprio adesso, continua a guardare. Severini è un genio e noi osservatori siamo solo quella plebaglia di followers accaniti alla ricerca di una risposta. L’avremo? Esiste una formula: esercitazione, apprendimento e stacanovismo. Avremo la risposta che cerchiamo.
Ora, non vorrei risultare tranchant nei confronti di chi non crede in sé stesso e preferisce chiudersi nel bunker che sta da di qua dalle Instagram Stories e dei vari post più virali del web, credi a me, non sei diverso da nessuno di loro, anzi, potresti stupirti di te stesso. Basta provare, basta non mollare e basta un minimo di iniziativa. Non voglio motivare nessuno, non è nel mio stile, vorrei solo spiegare un concetto chiaro ai giovani ma meno chiaro ad alcuni della mia generazione “di mezzo”. Noi siamo i “mezzosangue” potteriani, quelli che hanno visto la Lira dovendosi adattare all’Euro, quelli che hanno visto il Game Boy e non sanno accendere una PS4, quelli che ascoltavano J-Ax old school e adesso continuano ad ascoltarlo nei duetti con Fedez, quelli che guardavano Dawson Creek e ora, parlo per me, non accendono nemmeno la televisione. Noi abbiamo snaturato il nostro io più profondo, costruito su quelle solide basi semplici e, ormai, ridicole, per mischiarci con il diglital marketing, le news in tempo reale e, sembra inveromile ma non lo è, i fashion influencer.
Loro hanno trovato una strada, The Greatest Coat è un’ottima alternativa.
Please dude: never give up!
Arianna Forni