“Strumming my pain with his fingers
Singing my life with his words
Killing me softly with his song
Killing me softly with his song
Telling my whole life with his words
Killing me softly with his song”

(Fugees, “Killing me softly with his song”, 1996)

Abbandono non è solo un termine negativo, non significa lasciare un individuo, un animale, un pensiero, in mezzo al deserto di una strada sconosciuta, lì, soli, per sempre e senza una speranza. Abbandono è anche l’abbandonarsi tra le braccia di qualcuno, nell’acqua quieta del mare, di un lago, in un pensiero, in una canzone, è l’abbandonarsi a sé stessi nella propria essenza pura, nell’essere, solo con il significato di esistere. Abbandonarsi ad una emozione. Una chitarra che strimpella note imprecise, a volte insicure, può dare fastidio se non si conosce chi si trova dietro quel rumore, può, invece, creare abbandono emozionale se, viceversa, si ha una precisa immagine d’insieme. Si sente la musica non più il rumore. Il contenuto non ha importanza solo per il suo valore oggettivo ma anche, e soprattutto, per quello affettivo. Al giorno d’oggi l’abbandonarsi non è più così conosciuto, sono in pochi ad apprezzarne il significato; non è più come una volta, oggi si ha paura, si sta sulla difensiva e non si abbassa mai la guardia. Abbandonarsi a qualcuno o a qualcosa potrebbe essere un rischio e metterci in una condizione incontrollabile, spesso, poco piacevole. Meglio raddrizzare le antenne e vivere di razionale concretezza piuttosto che di allettanti, quanto rischiose, emozioni.

“Lonely rivers flow to the sea, to the sea
To the open arms of the sea
Lonely rivers sigh, “Wait for me, wait for me
I’ll be coming home, wait for me”

Whoa, my love
My darling
I’ve hungered, hungered for your touch
A long, lonely time”

(colonna sonora del film “Ghost”, 1990, Autore: The Righteous Brothers, “Unchained Melody”, 1965)

“Ghost” è l’emblema del significato di abbandonarsi ad una grande emozione, in questo caso ad un grande amore che non c’è più, ma continua a vivere dentro Molly Jensen (Demi Moore). Lei lo sente, lo percepisce, lo vede, può quasi toccarlo, ne sente il respiro, perfino il battito del cuore, è abbandonata all’immagine creata dalla sua mente. Non vogliamo affrontarne la trama esatta, in questo caso stiamo interagendo con un concetto che va oltre il fantascientifico. L’abbandonarsi è una sensazione emozionale molto nota, in un’epoca passata, e quasi sconosciuta nella nostra modernità.

Ghost 1990 - da il sussidiario.net
Ghost 1990 – da il sussidiario.net

La principale emozione per cui ci si abbandona, appunto, è proprio l’amore. C’è da chiedersi, e da spiegare, come mai siano sempre le donne a “subire” l’abbandono sentimentale nella sua connotazione sia positiva che negativa; l’uomo ne esce comunque vittorioso sia nell’abbandonarsi che nell’abbandono vero e proprio. Potrebbe sembrare un concetto molto maschilista, infatti lo è, ma, ahimé, non sono io a dirlo è la nostra società. Abbiamo dato questa impostazione, volontariamente o involontariamente, ai nostri rapporti umani quotidiani. La donna, nonostante la storia dovrebbe insegnare qualcosa, assume ancora una connotazione inferiore rispetto all’uomo. Mi piacerebbe fosse un concetto Medioevale, eppure non ha avuto fine nemmeno al tempo delle suffragette, lottarono anni ed anni per l’emancipazione, morirono, si immolarono per la loro sacrosanta voglia di vivere libere, da uomo a donna, sullo stesso piano, senza differenze. Raggiunsero il diritto di voto, in Italia, finalmente, nelle elezioni amministrative del 1946. Quanto tempo sprecato, quanto tempo gettato via solo per un’imposizione di un potere che vedeva il Re, il Vescovo, il Cardinale, il Papa, l’Avvocato, il Commercialista, il Pittore, lo Scrittore e via dicendo. Le cose potrebbero, e dovrebbero, essere cambiate quando gli uomini hanno deciso di togliersi alcune maschere per indossarne altre, quindi sono nati i Sarti, i Maestri, i Ballerini, i Parrucchieri, i Make Up Artist, gli Scenografi e via dicendo. In realtà questo ha portato a galla nuovi problemi: da una parte il maschilismo, dall’altra il femminismo e dall’altra ancora l’omofobia. Tutte realtà che ci riportano alle Guerre Puniche, all’epoca dei Barbari, alle Streghe arse vive sulle pire. Non ci sentiamo un po’, come dire, retrogradi? A me non interessa che tu sia uomo o donna o quel che tu voglia essere o sia veramente, a me importa che tu non abbia la seppur minima intenzione di interrompere la mia quiete. Con questo non sono maschilista, non sono femminista, non sono omofoba. Sono umana, come tutti voi, sia che abbiate qualche problema con il sesso opposto sia che non l’abbiate. Gli umani vivono, hanno diritto di vivere, di esprimersi e di avere pari opportunità ma non devono, ripeto non devono, pretendere nulla di più di ciò che è, a tutti ugualmente, concesso. Le lotte di classe, i teatrini nelle piazze, le scene di cattivo gusto nei luoghi pubblici e le richieste eccessivamente sconcertanti, e chi la pensa come me ha capito a cosa mi riferisco, sono fuori luogo, fuori tempo. Fuori e basta; indossa le orecchie d’asino e vai dietro la lavagna. Sei fuori, out, fuera, dehors. Niente da aggiungere. Torniamo a noi. In questo contesto, così ben nutrito di essenza essenziale munita di differenti temperamenti e oscillazioni, l’abbandonarsi potrebbe assumere connotazioni addirittura “stylish”, perdendo totalmente il senso di abbandono emozionale profondo da cui siamo partiti.

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57° Biennale di Venezia – Claudia Fontes “The Horse Problem” – diritti riservati pic by AF

Chi si sta abbandonando ad una emozione? Il cavallo, forse? O la ragazza? Ciò che è palese è il timore di entrambi. Uno scontro emozionale, appunto, tra due differenti realtà che iniziano a combaciare attraverso il contatto, caloroso, tra la mano della ragazza e il muso del cavallo. La statua rappresenta l’attimo antecedente il concetto stesso di abbandonarsi, reciprocamente, l’una all’altro, nel rispetto comune delle proprie insite diversità. Si chiama comprensione. Il problema del cavallo sta proprio nel trovare comprensione da parte di quella ragazza, ai suoi occhi appare predatrice ma nel tocco è amica. Deve solo decidere, coscientemente, di fidarsi. Very impressive.

Proviamo a porre questo quesito a Francesco Hayez:

Francesco Hayez Il Bacio, Pinacoteca di Brera, Milano, 1859
Francesco Hayez Il Bacio, Pinacoteca di Brera, Milano, 1859

Vorrei chiedervi solo di guardare il quadro, nel suo insieme, fino all’ombra proiettata sulle scale e sul muro di marmo dietro i due innamorati; i colori degli abiti, la delicatezza del tocco della mano dell’uomo sul viso e sulla nuca di questa donna bellissima e abbandonata a quel gesto d’amore. C’è altro da aggiungere? Potremmo parlare delle ore di quest’opera incantevole, fiabesca; potrei soffermarmi sul colore del tessuto dell’abito di questa ragazza e farvi notare i riflessi concreti, veri, reali, tra le pieghe finemente naturali che segnano il corpo armonioso di lei. Poi quella mano che si stringe a lui per non farlo andare via: “No, non andare, resta con me, io Ti amo…ci sono, resto, ti prego, stai con me, amore mio”. Lui la avvicina a sé, abbracciandola con quel suo ginocchio appoggiato al fianco della dama, ma sà, lui sà di doverla salutare. Tornerà? Abbandonarsi significa vivere intensamente un’emozione pur nell’inconsapevolezza di ciò che accadrà dopo. Attenzione e ammirazione. Non bisogna rischiare di abbandonarsi nel vuoto, dobbiamo evitare di soffrire, di farci del male. Bisogna imparare, però, ad abbandonarsi nei luoghi giusti, con le persone giuste, nella sicurezza di essere protetti nel corpo così come nell’anima. Avere equilibrio che contrasti ma non sovrasti né la gioia né il dolore.

Lo stesso potremmo dire de “Il bacio” di Gustav Klimt, dipinto tra il 1907 e 1908:

“Il bacio” Gustav Klimt - 1907-1908 - da Arteworld
“Il bacio” Gustav Klimt – 1907-1908 – da Arteworld

Una storia che si ripete. Più passionale, con una nota sottile di erotismo che piaceva molto a Klimt ma che, in questo quadro in particolare, non eccede, lasciandoci sognare d’amore e sensibilità.

Si può abbandonarsi a molte cose: ad un panorama mozzafiato, all’ascolto di una musica o di un rumore che ci incanta e ci crea quella memorabile rimembranza del nostro più dolce passato. Possiamo abbandonarci ad un sano ristoro, ad una bibita fresca chiacchierando con gli amici. Possiamo abbandonarci a tutte le emozioni che ci creano felicità. Non dobbiamo, però, commettere il rischio di credere che sia l’abbandonarsi all’emozione a permetterci di vivere l’emozione stessa; ciò comporterebbe un pericolo, una dissociazione della realtà confusa con il sogno, l’illusione di poter creare gioia anche nel dolore, felicità nel rischio. La vita, si sa, non è un gioco, non è un film a lieto fine, non è una bella poesia. La vita è un impegno importante, va vissuta bene, bisogna imparare a vivere bene, bisogna restare dentro degli schemi ritagliandosi attimi di abbandono sensibile.  Lo schiudersi della verità tangibile non può far altro che pungerci il cuore e farci male, davvero.

Abbandoniamoci a qualcosa di stabile, di sicuro, ad una balaustra sul mare durante un tramonto estivo; ne usciremo con l’animo più leggero e la sicurezza di aver vissuto una vera e sana emozione, positiva.

Arianna Forni

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diritti riservati – hand made dress by CP, pic by MV

 

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