“Gli italiani perdono le partite di calcio come se fossero guerre e perdono le guerre come se fossero partite di calcio.”

(Wiston Churchill)

Noi italiani siamo una barzelletta in tutto il mondo, ci siamo sempre, e tanto, presi in giro anche da soli; siamo riusciti a costruire un’immagine goffa e maleducata, dei nostri compaesani, in tutto il globo. “Gli italiani sono un popolo di sedentari. Chi fa carriera ottiene una poltrona.” questo era un modo goliardico con cui Gino Bartali scherniva la sua stessa appartenenza. Siamo capaci di ridere, di scherzare, di auto-distruggerci; siamo comici all’avanguardia, barzelliettieri da bar e sedentari legati alla propria sedia, inchiodati a un posto che diventa l’essenza stessa dell’individuo, senza il quale non può più esistere. Una filosofia spiccia di chi ha scelto una via larga, sicura e in costante media pendenza, su cui è facile pedalare senza il rischio di non riuscire a fermarsi. Gli italiani sono un popolo di comodi, vogliono stare comodi, non conoscono il significato di scomodità e non vogliono nemmeno provare a farselo insegnare. Sono comodi ma non sono accomodanti; sanno scegliere con accuratezza verso chi avere dei riguardi, in cambio di un sicuro tornaconto, rispetto a quelli da scartare prima ancora di averli visti. Il potere ha sempre il suo fascino, come la divisa per le nostre nonne, ma non sempre ha quel fascino di compromesso a volte richiesto, in senso stretto e schietto, a volte mascherato dietro falsi perbenismi e lunghi discorsi accurati e frivoli. La fatica, la concentrazione, l’impegno e la dedizione sono qualcosa che, l’italiano medio, ha imparato ad evitare meglio di un saltatore di ostacoli all’Olimpiade estiva; si sfugge dagli impegni e si svicolano le responsabilità. Suvvia, non siamo così solo noi. Nel mondo se ne vedono tante di scene “all’italiana”, il problema è esserci addossati questa definizione, totalmente, negativa. All’italiana: come dire “ma sì, lascia fare, c’è tempo, scartoffia più scartoffia meno, metto una firmetta e siamo tutti a posto. Ok?”. Un giochetto di ruolo tra il potere, il sottopotere e il regolamento di conti con un popolo lavoratore che attende, imperterrito e incuriosito, di scoprire le sue sorti. A “Il Gladiatore” è stata concessa la possibilità di salvarsi la vita dentro all’arena, lottando con tutto sé stesso fino allo stremo delle forze.

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“Il Gladiatore” Russell Crowe, Djimon Hounsou, dal film – da ScreenWEEK

L’italiano medio, e per medio intendo proprio chi regge le fila dall’alto, alto, alto, non saprebbe nemmeno dare una definizione da vocabolario di “stremo delle forze”. Cosa? Ma va. Gli italiani lavorano piano – tranne i milanesi, questo va detto per onor di cronaca – si alzano con calma, accendono l’auto con calma, entrano nelle loro aule con calma, fanno una partitina a Candy Crush con calma, tanto per avviare il cervello ad un ragionamento, e con calma finiscono la loro giornata rientrando, di fretta, nelle loro case. Questa è l’opinione che il globo e, probabilmente, l’intera galassia, ha degli italiani. Un popolo di cantautori, poeti, artisti, letterati, ballerini, attori, musici e musicisti, stilisti e sartine; un popolo di artisti che di lavorare non ne hanno nemmeno per l’anticamera del cervello.Wow, that’s awesome, direbbe il businessman milanese in carriera, firmando il contrattino, con la Mont Blanc nuova di pacca, pennino in oro con le iniziali incise parimenti alle sigle sulla camicia. Tanto per sdrammatizzare. Eppure non è del tutto in questi termini. Esistono gli scansafatiche ma esistono anche studiosi, grandi lavoratori, menti eccelse, scienziati riconosciuti e così via.. tutta gente che, raggiunta una certa età, si guarda alle spalle, guarda avanti, fa la valigia e scappa all’estero. Monsieur Lapalisse direbbe, probabilmente, che il frutto non cade lontano dalla pianta e che, tutto sommato, ciò che si dice degli italiani non è poi così sbagliato se i pochi a distinguersi se ne vanno a gambe levate.

Prima di chiudere il nostro discorso con questi aspetti comici ma negativi, vorrei riportarvi indietro nel tempo e mostrarvi qualcosa di concreto, di italiano e di, inequivocabilmente, unico.

“L’Uomo Vitruviano”, un simbolo disegnato a penna, su carta, da Leonardo da Vinci nel 1490:

L_Uomo Vitruviano è un simbolo disegnato a penna su carta dal genio italiano Leonardo da Vinci risalente al 1490
“L’Uomo Vitruviano” = un simbolo disegnato a penna su carta da Leonardo da Vinci nel 1490 – da libero-arbitrio.it

La storia per cui, e da cui, nasce il disegno dell’Uomo Vitruviano è abbastanza conosciuta ma, a scanso di equivoci, diamo una rinfresctina. Intorno ai suoi 35 anni, Leonardo da Vinci, inizia lo studio del “De Architectura” di Vitruvio, si trova di fronte ad un concetto perfezionistico del contesto terreno, umano e divino. Prende a cuore la questione, al punto da decidere di inserire l’uomo stesso all’interno di un cerchio, simbolo della Terra, e di un quadrato, simbolo della divinità. Quell’uomo, con le braccia aperte in due posizioni e le gambe aperte e chiuse, si inserisce, in modo inequivocabilmente, perfetto, tra il terreno e il divino, rispettando alla lettera quella dottrina divulgata da Vitruvio stesso. Ora, Leonardo da Vinci è uno, e siamo tutti d’accordo, ma resta, comunque, italiano, in Italia, sfatando, un pochino, il mito dell’italiano medio di cui parlavamo poco fa.

Non fermiamoci a questo.

Sandro Botticelli, grande artista di per sé, ritrae il Sommo Poeta Dante Alighieri, in una tempera su tela, del 1495, ora conservata a Ginevra:

Sandro Botticelli, Dante Alighieri, tempera su tela, 1495, Ginevra, collezione privata
Sandro Botticelli, Dante Alighieri, tempera su tela, 1495, Ginevra, collezione privata – da Wikipedia

Qui abbiamo due maestosità di nascita e di fatto italiane: Botticelli e Alighieri. Da una parte abbiamo un pittore tra i più riconosciuti in ambito artistico figurativo, dall’altro abbiamo, ripeto, il Sommo Poeta, l’unico al mondo che con una terzina scritta nel 1314 ha saputo precorrere i tempi: “e s’io al vero son timido amico – ,temo di perder viver tra coloro – che questo tempo chiameranno antico”, lui lo sapeva che fino alla fine del mondo saremmo stati qui a studiare questa meraviglia di storia fantastica, fantasy e profonda nell’essenza stessa del termine profondità. Dalla discesa agli inferi fino alla gloriosa rinascita in Paradiso. Lui lo sapeva “se io al momento non sono così tanto considerato, sono sicuro che continuerò a vivere tra coloro, che chiameranno questi miei tempi antichi”. Italiano, nato a Firenze e morto a Ravenna. Non ho altro da aggiungere. Chi nel mondo ha un Dante alzi la mano? Ma deve essere proprio un Dante, non Shelley, Keats, Byron, Shakespeare, Wilde… niente da togliere ad ognuno di loro ma di Dante esiste ed esisterà, per sempre, solo Dante. Nothing else.

Passiamo oltre, di poco, andiamo nel 1504 con Raffaello Sanzio e il suo “Sposalizio della Vergine”:

Raffaello Sanzio - Sposalizio della Vergine - 1504
Raffaello Sanzio – Sposalizio della Vergine – 1504 – da Wikipedia

La centralità di Maria e Giuseppe rispetto alla prospettiva entro la quale si inseriscono tutti i vari personaggi è la perfezione assoluta. Potrebbe essere un disegno costruito con l’effetto tridimensionale di un qualsiasi programma per disegnatore edile. Il tempio di Gerusalemme, perfettamente centrato, si erge sullo sfondo a far da testimone e rappresentante di quel momento solenne. La pavimentazione marmorea non ha un accenno di sbavatura, non presenta errori. Gli abiti sembrano di tessuto vero, non ci sono sguardi fuori luogo, nemmeno quello del presunto pretendente intento a spezzare un rametto in segno di disappunto. Calma e mescolanza di realtà divina e mortale. A noi il De Architectura. Raffaello Sanzio, nato a Urbino e morto a Roma. Nothing more to add.

1512, Michelangelo Buonarroti termina di affrescare la Cappella Sistina:

31 ottobre 1512 data conclusiva dei lavori per la Cappella Sistina - Michelangelo Buonarroti
31 ottobre 1512 data conclusiva dei lavori per la Cappella Sistina – Michelangelo Buonarroti – da kyossmagazine.com

Guardare, osservare, imparare, comprendere; qui possiamo vedere cosa significa ottenere l’immagine perfetta dell’uomo inserito in un luogo terreno condiviso con la perfezione della divinità, qui ritorna, ancora, Vitruvio, qui ritorna lo stremo delle forze che, solo, permette di ottenere un grande risultato.

Gli italiani non sono poi così male, o per lo meno, non lo sono sempre stati, o ancora, quelli meno noti non sono così terrificanti. Il problema sono quelli più conosciuti a rovinarci la nomea. In antichità questi colossi dell’arte e della letteratura non erano niente di più e niente di meno di chiunque altro. Anzi, spesso non avevano nemmeno di che vivere. Oggi, se potessero essere ancora tra noi, probabilmente, sarebbero nelle stesse condizioni dell’epoca in cui sono vissuti perchè all’italiano medio queste frivolezze non interessano. Resta sempre meglio il talent in tv e la partita di pallone. Allora fermiamoci tutti per un secondo, ripeschiamo le basi scavando nella nostra profondissima storia umana, e rievochiamo la nostra essenza: poeti, musicisti, attori, cantanti, pittori, scultori, artisti di ogni genere ma anche scienziati, studiosi, navigatori, eroi, stacanovisti del lavoro, imprenditori arditi e capaci, inventori e rinomati professori. Ritroviamo noi stessi, insegnamolo alle nuove generazioni prima che le vecchie, quelle tra cui è rimasto ancora qualche saggio, siano costrette a guardare dall’alto del Paradiso, insieme a Dante, lo sfascio di uno tra i Paesi più belli del mondo.

Dimenticavo: le 100.000 Lire avevano un volto particolare, inciso sul fronte. Caravaggio.

Arianna Forni

Caravaggio sulla banconota da 100 mila Lire
Caravaggio sulla banconota da 100 mila Lire

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