Nos haya llevado por distintos caminos
No somos súper humanos
Para controlar o cambiar el destino”

Possiamo apprezzare l’idea di colore e di contorni con la quale ha dato vita alla sua, personale, arte, inoltre, pur essendo un quadro tardo, rispetto a produzioni precedenti, mantiene i dogmi con i quali ha avviato la sua carriera: modernità, spiccati riferimenti sessuali e sentimentali, pur restando vincolato dall’immobilismo dinamico delle sue figure, appiattite dalla campitura di colore. Lo stesso discorso, forse ancora più evidente, possiamo trovarlo in “Au Vestiaire”, 1998:

Innanzi tutto, è un dovere soffermarsi sui due nomi scritti, in modo molto chiaro, al centro dell’opera. Orfeo: colui che, nel mito dell’Orfismo, è in grado di percorrere una vita controllando la propria anima lungo il percorso che, per ognuno di noi, condurrà alla morte. Inoltre, secondo lo stesso mito, incarna l’emblema di arte, amore e mistero. In questo modo, Adami, eleva la sua produzione artistica al mito per eccellenza, superando gli ostacoli dello stesso cammino della vita. Sotto troviamo Euridice: la ninfa della Amadriadi che, guarda caso, sposò Orfeo; morì troppo presto, a causa del morso di un serpente, mentre sfuggiva alle avances di un pastore, Orfeo ne rimase talmente distrutto da chiedere aiuto agli dei, a Ade e Persefone in persona, affinché le permettessero di tornare nel regno dei vivi. Il mito, trasmette tremenda concretezza, racconta una storia straziante. Ade e Persefone apparvero colpiti dalla richiesta, scaturita da un amore sincero, furono accondisendenti ma ad una sola condizione: se l’avesse guardata, prima di essere colpiti dalla luce del sole, l’avrebbe persa per sempre. Fu imposto, allo stesso Orfeo, di camminare davanti a lei attanagliato dal desiderio di guardarla, cercò di distrarsi con la sua lira, capace di allietarli con una musica sublime. Il, tremendo, caso ha voluto, a dimostrazione di quanto sia impossibile cambiare il corso della vita, che Orfeo si voltasse quell’attimo prima di essere, entrambi, colpiti dai raggi lucenti, perdendo per sempre Euridice e costringendolo a vivere nel dolore cieco e nel pianto. I due miti si intrecciano creando una contraddizione ambivalente tipica della vita stessa: l’eroe, apparentemente, immortale e stoico, reso debole, alla stregua dell’uomo qualunque, a causa di un profondo amore. Nel quadro di Adami il mito non compare, compaiono due nomi, sta allo studio e alla conoscenza di chi osserva capirne i contenuti. Ad un primo sguardo si nota solo una stanza atta alla vestizione, un camerino, forse, dove si può spiare, con un blando pudore, una donna in deshbille. Niente è mai ciò che appare.
Diametralmente opposto, abbiamo un altro artista, Enrico Castellani, nato nel 1930 e morto, compianto da tutto il mondo dell’arte, nel 2017; è considerato uno degli artisti europei di maggior rilievo intorno alla metà del Novecento. Ora, risulta necessario, approfondirne la tecnica e le tematiche. Mentre Adami costruisce i suoi quadri attorno ad un realismo seppur dal genere poco consono alla norma, Castellani realizza delle superfici a rilievo, di cui la prima appartiene al 1959, che proprio non rientrano in quella norma. Come Adami, anche Castellani, viaggia attorno a tutto il mondo, studiando e approfondendo le varie tecniche artistiche; i luoghi di studio non cambiano di molto, ciò che cambia, veramente, è il risultato. Se osserviamo “Superficie bianca”, 1987, battuto all’asta da Christie’s per un totale di €1.117.692, potremmo rimanere sconcertati:

Difficile. Psichedelico nell’osservazione continuativa dell’opera ma pur sempre bianco. Totalmente bianco. L’escamotage del rilievo sottostante garantisce un movimento, lineare e circolare, che permette all’occhio di vedere ciò che preferisce. Castellani ci mette nella condizione di scegliere cosa osservare e come farlo ma, in definitiva, le sue opere sono, e restano, sempre ugauli a sé stesse, la sola cosa che, eventualmente cambia, è il colore, monocromatico, ma non vincolato esclusivamente al bianco. Direi che si tratta di una discreta alternativa. Così possiamo trovare “Superficie rossa”, acrilico su tela del 2010:

Oppure “Superficie argento” del 2008:

Volendo considerare l’arte solo, ed esclusivamente, come espressione di un Io profondo, spesso martoriato da problemi sconosciuti, altre volte emotivamente spinto da una necessità di creare qualcosa di attraente e piacevole, possiamo dire che sia Adami che Castellani hanno raggiunto il loro scopo. La mission di chi fa arte è comunicare e, di fatto, entrambi comunicano ma in modo differente. Ognuno di loro avrà dei ricettori diversi e un pubblico di riceventi ancora differente. Cosa cambia? In realtà niente, fanno proprio la stessa cosa: creano. Danno vita a mondi diversi.
La cosa più affascinante in tutto questo è la constatazione di quella realtà, tipicamente umana, che ci permette di osservare in migliaia la stessa cosa riuscendo a dare, all’unisono, migliaia di definizioni differenti. Siamo fatti di carne e di ossa, abbiamo, quasi tutti, le stesse capacità e possibilità cognitive ma, per fortuna, non siamo tutti uguali. A distinguerci è la mente, l’anima, il cervello ed è proprio da qui che parte l’input capace di dare correlazione e concatenazione agli eventi di una vita che “es como el rìo que fluye”.
“Non giudicare sbagliato ciò che non conosci, cogli l’occasione per comprendere.”
(Pablo Picasso)
Arianna Forni