“Imparerai a tue spese che lungo il tuo cammino incontrerai ogni giorno milioni di maschere e pochissimi volti.”
(Luigi Pirandello, “Uno, Nessuno e Centomila”, 1926)

Maschere, pose, atteggiamenti, fotografie di personaggi e non più di persone, ritratti speciali per gente speciale, che crede di esserlo o che, in effetti, per qualcuno lo è. Il risultato è l’estremizzazione del concetto di spiritualità emotiva e di introspezione, attiva e retroattiva, di ognuno di noi, ovversia, un’immagine composita tratta dalla nostra miglior bellezza, nel nostro abito più adatto ai nostri lineamenti, in una condizione ambientale soporifera e illuminante. Il centro del ritratto siamo noi. Vogliamo e dobbiamo essere noi il fulcro di quel dipinto, di quella fotografia. Una maschera non è niente altro che la genialità attoriale di un buon attore, appunto, capace di modificare sé stesso attraverso un utilizzo plasmabile del volto. Tutti siamo capaci di apparire migliori, più belli, più alti, più seri, più simpatici, più altezzosi, più euforici e via dicendo, rispetto a ciò che siamo realmente. Mettersi in mostra per avere e far avere un ricordo di sé, ai propri cari e ai posteri futuri, non è un dramma né un delitto, è solo un modo per lasciare l’immagine, immancabile e immacolata, del proprio ego nel presente, nel futuro e, perché no, nella storia. Fantasia rigogliosa che, però, non si discosta molto dalla realtà artistica e culturale del nostro, più arcaico, passato e del nostro, più attuale, presente. L’uomo è un essere meraviglioso, uguale a sé stesso, in sé stesso, è egocentrico, è vanitoso, è, intimamente, certo di avere quella caratteristica in più, rispetto ad altri, da renderlo unico e insostituibile. Ci piace essere il centro dell’attenzione, ci piace guardarci allo specchio e vederci belli, ci piace pensare di esserlo, pensare di stimolare un potente interesse nei confronti di chi ci osserva. La donna, che passeggia per la strada, si specchia nelle vetrine dei negozi per vedere se è tutto in ordine, se ha i capelli al posto giusto, se la giacca è ben allacciata e i pantaloni non le fanno quel fastidioso difetto sui fianchi; lo fa perché le piace essere bella e sentirselo dire. Non c’è niente di male, è nella natura umana desiderare la perfezione, soprattutto oggi. Tempi strani e malefici, i nostri, tempi nei quali quel genere di perfezione ha subito un condizionamento talmente incisivo da aver creato uno stereotipo di bellezza, terribilmente, fuori dai canoni di normalità. Uno stuolo di giovani frustrati per essere nati outsize, magari non di molto, quel tanto che basta per essere out. Se sei out sei out. In questo senso, potremmo aprire un lunghissimo paragrafo sulla psichiatrica onniscenza del potere mediatico, sul condizionamento di una massa troppo ignorante per capire la differenza tra outsize e cultura; questa frase potrebbe aprire un mondo nuovo, anzi, vorrebbe che questo New World si aprisse davvero, eludendo Order, da New World Order, le cose cambierebbero parecchio. Occhio, all’occhio supremo, occhio a non toccare schematici dictat da “Big Brother”, rischieremmo di rompere altri schemi. Il nostro Grande Fratello lo abbiamo costruito da soli, tanto per ricordarci di essere “Under Pressure” (David Bowie e Queen, 1981):

“Pressure pushing down on me
Pressing down on you no man ask for
Under pressure
That burns a building down
Splits a family in two
Puts people on streets

[…]

Chipping around
kick my brains on the floor
These are the days
It never rains but it pours”

Questi sono i giorni in cui o tutto o niente, in cui, letteralmente, non piove mai ma diluvia, è un modo di dire inglese che adoro, rende perfettamente l’idea. La pressione ormai è tale da spaccare le famiglie in due, da bruciare gli edifici e polverizzarli, da portare la gente in mezzo ad una strada, senza possibilità di ritorno, senza possibilità di rivalsa. Però, esistono i ritratti, e lì, vi assicuro, poveri, ricchi, famosi, mediocri o super star, siamo tutti uguali. Tutti umani sbattuti davanti a noi stessi, con l’inguaribile desiderio di essere perfetti nella nostra stupenda imperfezione.

Giovanni Boldini è il mago nel dipingere le donne, è un precursore della moda moderna, è un divino pittore, sensibile, capace e caparbio. I suoi quadri sono una fonte di ispirazione e, forse, sicuramente, lo è stato anche per Giuseppe Verdi, ritratto, da Boldini stesso, nel 1886. Non è meraviglioso? Nella sua tuba nera, nella sciarpa elegantemente bianca, nella barba curata, nei baffi mossi da un lieve sorriso; uno sguardo che colpisce, penetra, ti osserva dall’alto in basso. Sa di essere un grande compositore e il suo ritratto nè è la conferma. Quella posa sicura e stabile di un uomo tutto d’un pezzo, certo del suo potere temporale ma non temporaneo, certo, come i soliti Dante e D’Annunzio, di essere ricordato, ri-ascoltato, studiato e lodato in tutti i secoli post mortem. Ha sbagliato, per caso? Il genio che dipinge un genio, lascia lo stupore negli occhi e la certezza nel cuore: se vuoi un posto nella storia devi essere grande, non solo grande, devi essere fuori dagli schemi di cui abbiamo parlato. Niente stereotipi, solo irrazionale inventiva al limite dall’iconica divinità.

Nel 1825, Giovanni Carnovali, detto il Piccio, esegue il “Ritratto di Pietro Ronzoni”, un suo grande amico con cui ha avuto numerosi scambi, dal punto di vista della dottrina pittorica e amicali conversazioni di genere più familiare:

Giovanni Carnovali, Ritratto di Pietro Ronzoni, 1825 - da Wikipedia
Giovanni Carnovali, Ritratto di Pietro Ronzoni, 1825 – da Wikipedia

Prima del ritratto finale, quello che sarebbe rimasto, appunto, nella storia, vi sono state numerose altre prove, soprattutto, per trovare la prospettiva migliore. Notiamo, infatti, come l’immagine, dell’amico Pietro, sia presa leggermente da sotto, anziché frontalmente, come si era soliti eseguire una buona ritrattistica. Serviva dare un tono più cordiale e accogliente, sia nel ritratto dell’amico, sia nei confronti di chi, poi, lo avrebbe osservato. Le luci e le ombre sono mischiate in modo perfetto, rendono l’immagine viva e vivida, come fosse una fotografia. Lo sguardo è sempre rivolto verso l’esterno della tela, verso il suo pubblico ma non ha nulla di arcigno o misterioso, è invitante, è aperto ad un possibile dialogo, è rilassato. Il buon Ronzoni era, appunto, un pittore e, il Piccio, ha voluto specificarlo nel fargli indossare gli abiti del mestiere, compreso quel cappello caratteristico. Appare bellissimo, anche grazie alla cornice paesaggistica in cui ha voluto inserirlo. Il ritratto è un’arte ancora più sofisticata perché non deve mostrare solo le abilità pittoriche dell’autore ma deve, soprattutto, cogliere le sfaccettature psicologiche del soggetto centrale. Perfetto.

Nel 1665 Jan Vermeer dipinge la, famosissima, “Ragazza con l’orecchino di perla” oppure detta “Ragazza col turbante”:

Jan Vermeer, La Ragazza con l'orecchino di perla opp La ragazza col turbante, 1665-1666 - da Wikipedia
Jan Vermeer, La Ragazza con l’orecchino di perla opp La ragazza col turbante, 1665-1666 – da Wikipedia

Una bella donna, ritratta da un uomo, in un’epoca, chiamiamola, difficile dal punto di vista dei rapporti uomo-donna. Non è materia di discussione attuale, quindi, restiamo in tema. I suoi occhi sono fulgidi, colpiti da una luce interna ed esterna, proveniente dall’alto; una luce che colpisce le sue labbra rosse, la sua carnagione pulita, il drappo giallo che le copre la testa e quello azzurro avvolto attorno alla fronte. Le pupille brillanti sono richiamate dallo splendore dell’orecchino di perla, appena accennato; il suo occhio sembra vederlo ed è il suo sguardo che permette a noi di accorgerci della sua esistenza. La magia di un ritratto, non è solo data dalla bellezza del soggetto o dalla sua importanza storica e sociale, è la rilevanza poetica ed emotiva data da chi osserva. Questa ragazza potrebbe essere una Dea pur non dicendoci, nemmeno, chi sia, davvero.

Il ritratto esiste anche in un’altra versione, ed è il caso di Gian Lorenzo Bernini, “Autoritratto” 1623 circa:

Gian Lorenzo Bernini, Autoritratto 1623 circa - da Wikipedia
Gian Lorenzo Bernini, Autoritratto 1623 circa – da Wikipedia

Spaventato da sé stesso, osserva il mondo del suo domani, fuori da quella tela, nell’incredulità di uno sguardo assente ma presente al tempo stesso. Ritrae il suo volto, come hanno fatto tanti altri, e non lo fa con vanità, lo fa con passione, con la passione di tutti gli artisti, quella di vivere nel futuro che la vita non gli concederà di vedere. Noi siamo qui, lo guardiamo, vorremmo dirgli: “non essere così spaventato, ci appari simpatico, ti stiamo accogliendo nelle nostre case, nelle nostre menti, rilassati”. Bernini: un artista poliedrico, già molto riconosciuto al suo tempo, si sarebbe dovuto ritrarre in una posa statuaria e sicura, invece, sembra proprio timido, spiazzato, spaventato. Lui non sa chi siamo noi, di adesso, ma sa chi eravamo noi, dell’epoca, magari la paura nasce proprio da questa consapevolezza. L’uomo non è mai cambiato, siamo sempre uguali a noi stessi, soprattutto nelle negatività, speriamo siano rimaste altrettante sfaccettature positive. Speriamo.

I ritratti in un mondo di immagini e di fotografia, i ritratti nel mondo di Instagram, nel mondo dei social network in generale sono obsoleti ma sono così, tremendamente, attuali. I ritratti inseriti in un contesto di apparente apparenza priva di emozioni, ecco cosa sono, oggi, i ritratti. L’uomo di adesso ha paura delle proprie emozioni, dei sentimenti, del proprio passato e di quello degli altri. L’uomo di adesso non ha la coscienza per prendersi in carico i problemi e le paure degli altri, gli bastano le sue e con le sue continua a convivere. L’uomo di adesso, spesso, non è un uomo ma un automa in un mondo di fotocopie.

L’uomo di adesso siamo noi. Attenzione a non esagerare, torniamo indietro, guardiamo i ritratti del nostro Noi antico. Quella bellezza, quegli sguardi puliti e sicuri sono un monito, sono molto più di semplici volti, sono cultura. Quanto sarebbe bello ritrovare quel candore di Verdi, quell’imbarazzo della Ragazza col turbante, quel timore del Bernini anche negli occhi dei grandi influencer moderni. Sarebbe bellissimo, non trovate anche voi?

“Il pittore di ritratti è come lo scrivano, obbligato a copiare l’altrui scritto, senza poterlo correggere quando è sbagliato.” (Alessandro Manzoni)

Arianna Forni

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