“Se il Futurismo si ferma alla pelle dell’individuo, l’Espressionismo fruga nel sangue, nell’anima.”
(François Orsini, da “Drammaturgia europea dell’avanguardia storica”, 2005, saggista, critico e scrittore francese)
L’esrpessionismo artistico è un fenomeno, tipicamente, correlato con la fine della Seconda Guerra Mondiale, sviluppatosi negli Stati Uniti d’America. Era un momento di necessità, preponderante, di emergere e farsi riconoscere anche sul piano artistico. Fino a quel momento l’arte aveva trovato molta più fortuna nel contesto Europeo, ricco di grandi Accademie dell’Arte, di grandi artisti e di innumerevoli adepti che avrebbero, poi, seguito le loro più intime inclinazioni. Da questo momento in avanti, si inizia a percepire una netta spaccatura tra Europa e America, laddove l’erpressionismo astratto, prende piede senza, nemmeno, essersene bene resi conto. In Europa, nel frattempo, si resta più legati alla concretezza, semplicemente, dando un nome diverso ad uno stesso processo cognitivo: l’arte informale. Ecco il delinearsi di uno strappo concettuale forte, sul piano dell’impostazione e dell’uscita sul mercato, di uno stesso sentimento di rivalsa e di voglia di riemergere dal torpore, dal dolore e dalle rinunce dovute alla Guerra. Due grandi Continenti, Europa e America, si contendono il primato nel mondo dell’arte, generando un numero inenarrabile di opere, accomunate da emozioni simili ma poste sotto due cappelli dai nomi differenti, come abbiamo detto, appunto, Espressionismo astratto e Arte informale. Trovo molto interessante, dal punto di vista psicologico, l’analisi di questa differenziazione; un nome identifica un oggetto, una persona, un nome, in questo caso, rappresenta un movimento, potente, caratterizzato da uno stile simile ma differente nella forma della sua presentazione. Il 900 ha determinato il boom definitivo del giornalismo culturale, non a caso la Terza Pagina, nacque proprio nel 1901, sul “Giornale d’Italia”, di Alberto Bergamini, per poi diffondersi, a macchia d’olio, su tutti gli altri quotidiani. La cultura e l’arte iniziavano ad avere un certo interesse perché servivano a distrarre e distogliere, lo sguardo e la memoria, dal dolore della Guerra. Non c’era modo migliore se non sfruttare la stampa a questo scopo. Per gli artisti fu un ulteriore boom di notorietà e di possibilità di inserirsi in un mercato in crescita. La bellezza era ricercatissima ad alti livelli ma, le mostre e le fiere, concedevano la possibilità di avvicinarsi alla cultura, più elevata, anche a chi non avrebbe mai avuto i numeri, economici, per addentrarsi nella giungla di un’importante asta. Le quotazioni salivano giorno dopo giorno, più artisti producevano e più alto era il rispetto nei confronti della vecchia guardia. Avevano, pur sempre, una forte consapevolezza di non essere da soli, di avere molta concorrenza alle spalle e di dover fare, e dare, sempre di più. Nacquero le grandi figure dei battitori d’asta, i regnanti di un mondo al di sopra della norma comune, al di sopra del normale pensiero cognitivo con cui si osserva un quadro. Il battitore è un ottimo venditore, sa coinvolgere il suo pubblico ma, ovviamente, sa anche di avere a disposizione portafogli ben forniti, la diretta conseguenza è vendere al miglior offerente. Il desiderio ardente, per gli astanti, era solo quello di poter far parte dell’élite dei ricchi collezionisti. Sedersi, almeno una volta, in una di quelle aste formidabili e alzare la mano, sperando, forse, di non aver vinto, almeno questa volta. Il 900 ha cambiato molte cose, sono cambiate le impostazioni legate alla moda, è nato un mercato più settoriale, standardizzato, grazie ai macchinari per la produzione in grandi numeri, i prezzi sono scesi e, più o meno, tutti iniziavano a permettersi qualche capo in più badando, un po’ meno, alla fattura. Per l’arte la situazione era totalmente differente. L’arte era, ed è, solo per veri intenditori, non solo delle opere in sé, ma anche e soprattutto, del loro immenso valore. La sostanza, e la concretezza di tutto questo, esclude un ceto medio da templi come Christie’s e Sotheby’s, aprendo le porte, con annessi tappeti rossi, solo a chi abbia un conto in banca adeguato, altrimenti la scenetta potrebbe svlilirsi e gli artisti resterebbero delusi. D’altra parte, qualche opera ha un effettivo valore economico, indiscutibile, altre sono come la moda: prima o poi passano. Ne nasce un discorso legato alla possibile rivalutazione del solito famoso “Squalo da 12 milioni di dollari” sotto formaldeide che, nonostante sia più un brand che un’opera d’arte, temo non sarà mai soggetto ad un rincaro che giustifichi la spesa. Magari sono solo miei vaneggiamenti, magari no. Il grande entusiasmo del dopoguerra ha, in ogni caso, denotato lo sviluppo di nuovi contesti storici e artistici molto stimolanti, eppure, nonostante questo, nonostante i grandi nomi che fanno parte di questo meccanismo di rivalsa nei confronti della depressione, nonostante un certo, approvato, plauso generale, trovo che questo genere di arte sia più uno sfogo emotivo personale dell’artista piuttosto che il racconto, più o meno comprensibile, di una storia. Non voglio fare paragoni con i grandi del passato, non servirebbe a niente, l’arte è arte proprio perché dipinge un quadro globale della vita della propria epoca e nella propria epoca. Non possiamo, di certo metterci a paragonare De Kooning con Raffaello, o Rothko con il Pinturicchio. Siamo su due pianeti differenti e su due tipologie di pittura che non hanno, e non potranno mai avere, niente di accomunante. Oggi parliamo dell’arte di oggi, come soggetta ai nostri mutamenti epocali, sono gli stessi che hanno costituito gli individui che calcano il suolo delle nostre strade moderne. Non siamo qui a giudicare, solo a fare una constatazione oggettiva della difficoltà psicologica, forse anche fisiologica, nel subire un paragone così annientante con il noi moderno, tecnologico e avanzato, e il noi passato, semplice ma spiritualmente edotto. Si tratta solo di un paragone, non di un giudizio. Tant’è vero, che, per fortuna, esistono molti artisti giovani capaci di risollevare il piattume/pattume che si vede in certe esposizioni, appunto, moderne.
Ho già fatto un paio di nomi e vorrei iniziare a mostrarvi i loro lavori. Willem de Kooning, “Paintings”, dipinto tra il 1975 – 1978:

Tutto il periodo del 900 è caratterizzato da un utilizzo spasmodico del colore. Un colore che dovrebbe significare rivalsa, voglia di vivere e di tornare in auge, pur non avendo una precisa via da seguire. Da qui nascono le enormi macchie informi, il mescolarsi di colori non sempre adatti a stare l’uno accanto all’altro. Si tratta di una tecnica, espressionistica astratta, appunto, che scatena un’emotività personale e non più oggettiva. Diventa difficile interpretare, se non limitandosi a contestualizzare l’opera in quel ’78 che ha avuto un fortissimo impatto anche negli Stati Uniti d’America. Sul piano stilistico c’è poco da dire, vi lascio all’osservazione, ognuno di noi avrà qualcosa di differente da osservare e comprendere. Sembra un po’ il test di Rorschach. La psicologia ha un fortissimo impatto sull’arte, parlo in generale.
Ecco un Mark Rothko – “Untitled”

La potenza del rosso e dell’arancione, del giallo e delle varie tonalità di esso ha, di per sé, una forte connotazione attraente. Non puoi far altro che osservarlo ma, anche in questo caso posso, veramente, solo limitarmi a chiedervi di osservare la stesura uniforme del colore stesso, allo studio minuzioso di quello stacco tra alto e basso con un un contorno, ben delineato, e plasmato con una nitidezza spiazzante e imbarazzante. Non si capisce dove ci si possa trovare: un tramonto sul mare, il sorgere del sole al mattino, una sala a luci rosse, un incubo notturno o un risveglio ricco di energia propositiva. Dove siamo secondo voi? Rothko non era certo un tipino semplice da comprendere, depresso cronico, si suicidò nel 1970. Arte e demoni sono sempre molto vicini l’uno all’altro, forse è solo mistificazione ma credo che, sotto sotto, ci sia un filo di verità. Detto questo, proprio a Sotheby’s, il suo “White Center (Yellow, Pink and Lavender on Rose)”, nel 2007, è stato venduto per 72,84 milioni di dollari. Per certe cose rabbrividisco ma comprendo che il mercato sia mercato e un buon marketing possa farti vendere qualsiasi cosa.
Ora, spostiamoci in Europa, da Ferruccio Bortoluzzi e la sua “Carta Bruciata n° 127”, anni ’70:

In questo caso, pur trattandosi degli stessi anni e degli stessi, psichiatrici problemi legati al trauma della guerra, non ci troviamo più nell’espressionismo astratto, bensì nell’arte informale Europea. La sequela di immagini ricavate dalla carta bruciata, di Bortoluzzi, è abbastanza vasta e di grande effetto visivo. Non sentite, anche voi, l’odore del fuoco che incendia un foglio impregnato di inchiostro? Non sentite la paura e l’impotenza di fronte ad un elemento tanto distruttivo quanto attraente? Ecco, Bortoluzzi lancia un messaggio, legato, con ragionevole certezza, al massacro della guerra, all’odore delle esplosioni, allo sgretolarsi dei palazzi sotto i bombardamenti. Lui, sì, ci sta raccontando una storia, la sua storia ma, verosimilmente, è un messaggio che, anche noi, di altre generazioni, riusciamo a percepire, a vivere, a sentire sulla nostra pelle. Bortoluzzi ha esaudito il desiderio dell’amante dell’arte portando a termine il suo compito di artista, ha reso verosimile e comprensibile un’emozione.
Più ci si avvicina all’arte moderna e contemporanea più diventa difficile trarre delle conclusioni. Il difficile non è fare critica, quella la sanno fare tutti, è, piuttosto, trovare una spiegazione razionale a ciò che ci troviamo di fronte. L’uomo tende a sfuggire dai suoi problemi, a cancellare le preoccupazioni, a non voler guardare oltre perché ha paura del presente, teme il suo futuro e non vuole guardare al passato. L’arte dovrebbe, anzi deve, mostrarci la verità nuda e cruda. Non sono gli artisti a non essere comprensibili, tranne in alcuni clamorosi casi di insensatezza totale e inadeguatezza a presenziare in certe fiere, siamo noi a non voler capire. Non vogliamo praticare la nostra intima introspezione attraverso immagini evocative, abbiamo paura del risultato, di guardare dentro noi stessi e vedere ciò che non ci piace e non siamo in grado di cambiare.
Basterebbe vivere sereni e gioiosi anche nella sofferenza. Basterebbe avvicinarsi con fiducia alle persone più simili a noi, che ci sappiano far ridere al momento giusto e siano accondiscendenti a consolarci nel pianto e a darci uno scrollone per farci tornare attivi e vivi come prima se non di più. Dall’arte bisognerebbe saper imparare a controllare le proprie reazioni emotive; l’arte rilassa, l’arte brucia nel petto, l’arte è ardore e tentazione. L’arte è e resta arte. Chi non è artista però ha, dalla sua, la possibilità di fare arte con la sua stessa vita. “Vivere, e poi pensare che domani sarà sempre meglio.”
È passato tanto tempo
Vivere
È un ricordo senza tempo
Vivere!
È un po’ come perder tempo
Vivere e sorridere dei guai
Così come non hai fatto mai
E poi pensare che domani sarà sempre meglio”
