“Gli uomini non cambiano dall’oggi al domani, e cercano in ogni nuovo regime la continuazione dell’antico.”
(Marcel Proust, “À la recherche du temps perdu“, 1908)
Antico e moderno sono due tematiche molto vicine tra loro; si vive sul passato e si procede nel presente, con un costante condizionamento dovuto alle esperienze, proprie o dedotte dalla storia. L’antico insegna e il moderno comprova o smentisce. Non serve andare indietro di secoli, basta pensare alla nostra giovinezza, all’adolescenza e all’età adulta; ogni fase della nostra vita è caratterizzata da componenti diverse. Impariamo crescendo e ci poniamo in modo differente nei confronti di analoghe situazioni solo per aver capito qualcosa in più. In poche parole: si cambia. Si tratta di un cambiamento esteriore, la crescita fisica, ed interiore, la crescita mentale, morale, culturale. Si cresce e ci si modifica, pur avendo una base solida utile a mantenerci in carreggiata, salvo qualche scivolone necessario a svegliare il nostro istinto di sopravvivenza. Siamo vivi e in continua metamorfosi, siamo capaci di amalgamarci all’ambiente, ci sappiamo rendere interessanti e interessati, abbiamo qualche dote positiva e un’infinità di difetti. Siamo unici, irripetibili e ci piace far sapere al mondo di esistere, anche noi, con le nostre, strane, assurde, a volte impensabili, peculiarità. Il concetto di fondo sta nell’evoluzione interiore che, il costante e inarrestabile, passare degli anni provoca a ogni individuo. Se potessimo tornare indietro cambieremmo un’infinità di cose, avremmo tante di quelle conoscenze in più, da sfruttare, e, forse, riusciremmo, davvero, a cambiare il mondo, proprio come avremmo voluto fare all’apice dell’adolescenza. Cambiare il mondo non si può, chi ci riesce è un caso più unico che raro, un genio, qualcuno che ha raggiunto prima di altri, non tanto la maturità, la consapevolezza di sé inserito nel contesto sociale, politico ed economico della sua epoca. Questa conoscenza, questa capacità, questa determinazione potrebbe, o forse no, averci permesso di affrontare alcune sfide con maggior determinazione, con più sicurezza e meno paure. Se potessimo tornare indietro, ai nostri 18 o 20 anni, con la testa di adesso, beh, commetteremmo meno errori e riusciremmo ad ottenere tante, ma tante e tante, più soddisfazioni. Peccato che questo non sia possibile; è bello poterci pensare perché ci rende un merito importante: essere riusciti a crescere, davvero, nella presa di coscienza dei nostri pregi, pochissimi, e dei nostri difetti, tantissimi, troppi.
“I was once like you are now, and I know that it’s not easy, To be calm when you’ve found something going on But take your time, think a lot, Why, think of everything you’ve got For you will still be here tomorrow, but your dreams may not”
(Cat Stevens, “Father and Son”, 1970)
Siamo stati giovani, siamo stati ardenti nella nostra pelle, siamo stati incapaci di resistere nella nostra staticità momentanea, legata alla scuola, agli impegni regolamentati da uno Stato che impone anni di maturazione, prima di lanciarsi nella bolgia. Se fossimo stati calmi, serni, sicuri di quel percorso formativo non avremmo mai sbagliato, ci saremmo lasciati trasportare dalla vita per quello che ci veniva concesso nel momento in cui ci veniva presentato. Avremmo dovuto prenderci il nostro tempo e riflettere; riflettere su tutto quello che avevamo e avremmo avuto, sicuri che, nel nostro domani, ci saremmo stati e avremmo continuato a vivere ma, probabilmente, non avremmo più avuto gli stessi sogni, forse, non saremmo nemmeno più stati in grado di sognare. L’adolescenza sfiorisce in un attimo ma è la sola in grado di formare il carattere degli adulti. Prestiamo attenzione agli errori che abbiamo commesso, abbiamo ancora tempo per capire e migliorarci.
Pablo Picasso in una foto di Paolo Monti del 1953 in occasione della mostra organizzata a Palazzo Reale a Milano – da Wikipedia
Non è un trattato di buone maniere, di filosofia, di sociologia; continuiamo a parlare di arte e, in questo caso, lo facciamo assieme a Picasso. Uno degli autori più controversi al mondo, ha subito dei mutamenti drastici nei suoi punti di vista e nel suo modo di porceli. Ha cambiato la sua pittura centiaia di volte, tutte le volte lasciando un alone di coinvolgimento e commozione incredibili. Pablo Picasso è la dimostrazione che si può crescere accorgendosi di crescere, si può cambiare opinione sapendo di cambiarla, si può guardare il mondo con occhi diversi, più maturi, sapendo di aver cambiato, radicalmente, la propria capacità cognitiva. Lui sì, lui non ha mai avuto il timore di cambiare, di crescere, di mostrarsi per ciò che era, veramente. Pablo Picasso, 1881-1973, 92 anni di crescita continua, di sviluppo della sua arte, di contestualizzazione sociale, di bella vita, di belle donne, di amori travagliati, di sentimenti da Super Uomo, di depressioni, di sensibilità, di passione, di emozione. Anni raccontati attraverso il suo percorso iconografico personale, attraverso pennellate delicate e prepotenti, attraverso linee soavi e la forza del cubismo, attraverso periodi colorati, blu, rosa, attraverso un’evoluzione personale e personalmente intima. Si vede benissimo e chi lo osserva, pur privo di conscenza artistica, riesce a vedere dentro la sua anima. Sembra quasi di poterci parlare.
Pablo Picasso, “Woman in White”, del 1923:
Pablo Picasso, Woman in White, 1923 – MoMA, New York, diritti riservati PIC by CP
Chi non ha studiato la storia di Picasso potrebbe non crederci, eppure questa donzella in bianco, un po’ scocciata, stufa, innervosita forse, l’ha dipinta proprio lui. Il quadro è delicato, la ragazza è sinuosa nelle sue forse femminili, si percepisce benissimo il suo disappunto nei confronti di qualcosa o di qualcuno. Non è contenta ma è bella, è spiritosa ed è un’opera di Pablo Picasso, conservata a New York. Se volessimo dare una definizione dell’artista attraverso questa sola opera dovremmo definirlo un pittore classicheggiante, fedele agli studi accademici, eppure non lo è.
Già in “Three Women at the Spring”, del 1921, sebbene di poco antecedente, si riesce a vedere qualcosa di diverso:
Pablo Picasso, Three Women at the Spring, 1921 – MoMA, New York, diritti riservati PIC by CP
Ci stiamo allontanando dalle “Demoiselles d’Avignon”, opera del 1907, siamo in un livello, di espressione pittorica, morbido e maturo. Queste donne sono sproporzionate, hanno la testa molto grande, il petto piccolo, le mani enormi; sono vestite tutte allo stesso modo, una rimembranza delle antiche ancelle, riviste e rivisitate secondo un suo sentimentalismo. Le mani grandi sono simbolo di accoglienza, le teste sproporzionate di grandi pensieri, la pesantezza statuaria delle loro sedute è simbolo di sicurezza e solidità. Sono donne e sono emblema di stabilità per l’uomo. In un certo senso è un dato di fatto che, mentre al genere maschile era concessa qualche scappatella, le donne dovevano rimanere sempre salde e fedeli e queste tre lo dimostrano. Sono lì per soddisfare le richieste dell’uomo e non mostrano il minimo desiderio di andarsene.
“Les Demoiselles d’Avignon”, del 1907, appunto, si presentano in modo totalmente differente:
Pablo Picasso, Les Demoiselles d’Avignon, 1907 – MoMA, New York, diritti riservati PIC by CP
Sono più volgari e provocanti, sono chiaramente in vetrina ad attendere il miglior offerente, sono il sogno ricorrente di Picasso, stesso. Lui, avrebbe potuto avere qualsiasi donna. Lui, aveva qualsiasi donna, ma non sarebbe riuscito a limitarsi a trattenerle dentro di sé, aveva bisogno di dipingerle, è quello che ha fatto. Hanno una forza schiacciante, demoliscono l’orgoglio femminile, annientano la femminilità e l’essere donna. Sono l’alienazione di quel sesso debole, sfruttato e manipolato dalla potenza e dalla forza dell’uomo. Picasso aveva tutto e voleva tutto. Era un uomo affascinante e di potere, non gli bastava la sua fama ed è così che sfogava i suoi desideri extra. Con le donne.
Però, nel 1934, dipinse un’altra donna in “Reading at a table”, cambiando, di nuovo, drasticamente, i suoi punti di vista. Chi osserva resta spiazzato, non capisce o, forse, non vuole farlo. Pare troppo bello lasciarsi coinvolgere dalle sue storie:
Pablo Picasso, Reading at a table, 1934 – The MET, New York, diritti riservati PIC by CP
Non sembra nemmeno una donna, è spiritosa, quasi ironica; è divertente in quei contorni neri marcati e in quel colore chiaro per la carnagione e rosso per la poltrona; un richiamo rosastro per le guance e per le mani. Si percepisce concentrazioni nella lettura, magari è una lettera d’amore, magari un libro, magari una semplice comunicazione. C’è qualcosa di magico in lei; c’è qualcosa di magico in Picasso che ha deciso di dipingerla.
Come ultimo esempio, vorrei sottoporvi un quadro diverso, totalmente diverso. Di primo acchito potrebbe sembrare un’opera di Boccioni ma, a tutti gli effetti, è proprio un Picasso:
Pablo Picasso, “Still Life with a Bottle of Rum”, 1911 – MoMA, New York, diritti riservati PIC by AF
Il titolo evoca il dipinto, “Still Life with a Bottle of Rum”; l’ebbrezza dell’alchool può suggerire immagini strane, può evocare fantasmi, può dare le allucinazioni, può, probabilmente, mostrarci quest’opera. Qualche lettera, qua e là, simboleggiano parole mal pronunciate a causa di quella bocca impastata e priva di salivazione, alcune note musicali, la sagoma di una mano al centro del dipinto e poi tanta confusione attorno alla bottiglia di Rum. Una serata alcolica è pur sempre una serata alcolica, non è edificante ma nemmeno da stigmatizzare; forse è proprio per questo che Picasso ha deciso di mostrarcela così, senza pudore, con tutti le sue connotazioni tipiche dell’ubriachezza gioiosa, prima di una dormita, rigenerante.
Ho voluto parlare di Picasso per spiegare il concetto di cambiamento, in sé stessi e di sé stessi, perché lui ne è una dimostrazione visiva e visibile. Picasso è un genio dell’arte, un genio del bene e un genio del male. Ha dipinto quadri magnifici, commuoventi e quadri tanto drammatici da far piangere lacrime vere, “Guernica”, ad esempio, 1937. Cambiare, crescere, trasformarsi, osservare in altri modi stesse ambientazioni, non è negativo, anzi, significa essersi evoluti ad uno stadio superiore di cognizione del mondo.
La cosa bella non è solo crescere, la cosa più bella è crescere sapendo cosa, come e perché stiamo mutando, giorno dopo giorno, non tanto nel corpo quanto nella mente.