“L’arte deve iniziare con consapevolezza e terminare nell’inconscio, cioè oggettivamente; l’Io è consapevole rispetto alla produzione, inconscio rispetto al prodotto.”

(Friedrich Schelling, da “Sistema dell’idealismo trascendentale”, fine 1800)

La consapevolezza è la capacità di mostrarsi integerrimi e intensi, nello scioglimento di un pensiero e di un’emozione personale, trasmessa attraverso la propria produzione artistica, nel nostro caso specifico, attraverso la pittura. L’arte è esposizione di un’idea ma, paradossalmente, l’artista non è sempre consapevole di ciò che sta producendo fino al termine della produzione, finché, quindi, non potrà osservare l’opera finita. Guardare sé stesso da un nuovo punto di vista, da fuori, è la catarsi personale di un’introspezione profonda, non sempre positiva. Qull’introspezione consapevole è l’atto di capire come, e perché, è nato un dato disegno, con determinati colori, una certa impostazione, una prospettiva e un sentimento preponderante, sia esso buono o cattivo. L’importante è che abbia qualcosa, al suo interno, a caratterizzarne un’emozione intensa e sincera.  Nel caso di Paul Cézanne nel “Ritratto di Louis-Auguste Cézanne”, del 1866, in apertura dell’articolo, si percepisce una certa partecipazione emotiva rispetto al soggetto ritratto. Per l’appunto, si tratta del padre di Paul, del capostipite della sua famiglia, dell’uomo di casa, di colui che gli ha saputo dare un determinato rigore e quell’agiatezza utile a fare del suo tempo la sua arte. Lo stile di vita economicamente favorevole derivò dall’istinto imprenditoriale di quel padre, ritratto mentre legge il giornale comodamente seduto in poltrona, fondatore, insieme ad un amico, della Banca Cézanne et Cabassol. La consapevolezza di Paul Cézanne lo pone nella condizione di voler ritrarre il padre in segno di riconoscenza per tutte le possibilità che gli ha concesso. A differenza dei suoi contemporanei, infatti, Cézanne, non ha mai dovuto dipendere dalla vendita dei suoi quadri per poter vivere, si è sempre adagiato sui beni familiari e, questa condizione privilegiata, l’ha posto di fronte ad una strana consapevolezza, utile a mostrargli le differenze tra diversi ceti sociali. Al giorno d’oggi succede la stessa cosa, nulla è cambiato e, tristemente, temo che nulla cambierà; il denaro fa la differenza e, sebbene non possa comprare la felicità in senso lato, può rendere la vita molto più semplice. Il concetto era noto del 1866 ed è noto, a maggior ragione, nel 2018, anni nei quali la tecnologia avanzata ci mette di fronte alla necessità di incorrere in spese ben più impegnative rispetto a quelle del nostro umano, analogo, passato. Sotto questo punto di vista, risulta ancora più comprensibile capire quanto l’uomo non cambi mai, non sia mai cambiato e mai cambierà, a meno che non succeda qualcosa di davvero drastico da ribaltare il concetto stesso di vivere la vita. Difficile, improbabile; bisogna sapersi adattare e prendere coscienza, avere la consapevolezza di ciò che si può fare e ciò che, purtroppo, sta su di un gradino troppo alto, per noi, per essere facilmente raggiunto. Vorrei mostrarvi la stessa consapevolezza con cui Cézanne dipinse una  “Veduta dell’Estaque e del golfo di Marsiglia”, tra il 1878 e 1882:

Paul Cézanne, Veduta dell'Estaque e del golfo di Marsiglia (1878-1882); olio su tela, 30.6×47.2 cm, Museum Boijmans Van Beuningen, Rotterdam - da Wikipedia
Paul Cézanne, Veduta dell’Estaque e del golfo di Marsiglia (1878-1882); olio su tela, 30.6×47.2 cm, Museum Boijmans Van Beuningen, Rotterdam – da Wikipedia

Una veduta dall’interno del golfo dell’Estaque, colori tenui di un tramonto sul cielo di Marsiglia. Una location vacanziera per ricchi e benestanti, un luogo da cui trarre ispirazione e lasciar scorrere il pennello sulla tela con naturalezza. Era un luogo molto familiare per l’artista, aveva trascorso lì intere estati, insieme ai suoi parenti, fin da bambino. Non è un’opera complessa, è un’opera consapevole, di una consapevolezza tipica di qualcuno che sa bene di cosa sta parlando e come ne vuole parlare. I tetti delle case sono così ben delineati, nonostante rispettino i canoni di quell’espressionismo artistico fatto di immaginazione più che di vera concretezza, da poter essere, quasi, sovrapposti ad una fotografia. Trasmette calma, pace, evocazione di un’estate serena, di un periodo tranquillo. Si tratta di una pittura naturale, mai forzata e il risultato è perfetto nella sua consapevolezza pittorica e visiva. A quel tempo non era semplice essere ricchi sopra la media del suo contemporaneo, sarebbe stato più facile vivere in mezzo alla fatica, agli eccessi di basso livello, alla ricerca sfrenata di denaro per poter mangiare, alle risse nei bar, per le strade; sarebbe stato circondato, di certo, da più amici pronti a lottare con lui e per lui. Era un mondo talmente distante da non esistere nemmeno per il suo micro cosmo. Cézanne era lontanissimo da quella povertà così dirompente; era vicino alla sua famiglia, era consapevole di ciò che aveva, grazie a questa consapevolezza ha costruito un percorso iconografico fatto di, ambìto, quieto vivere.

Anche Edgar Degas proviene da una famiglia illustre della Parigi fine 800 e, come Cézanne ha potuto vivere la sua arte con una grande e meticolosa consapevolezza interiore, priva di stress, di ansia di vendita, priva di allucinazioni date dall’angoscia personale. Certo, non si può dire, fossero artisti “maledetti”, erano calmi e tranquilli, sicuri nelle mura delle loro belle case, protetti dai benefici economici dei loro parenti benestanti. Erano super partes e, nonostante questo, nonostante andasse e, tutt’ora, vada di moda l’idea dell’artista di strada, avvolto da problemi esistenziali di ogni genere e tipo, erano, e sono, entrambi due artisti amatissimi.  Il primo ritratto di famiglia di Degas è quello di suo nonno, Hilaire Degas, del 1857:

Edgar Degas Ritratto di Hilaire De Gas, 1857, nonno di Edgar De Gas - da Wikipedia
Edgar Degas Ritratto di Hilaire De Gas, 1857, nonno di Edgar De Gas – da Wikipedia

Durante il suo Grand Tour, Edgar Degas, decise di avvicinarsi ai suoi parenti italiani, divisi tra Firenze e Napoli. Il suo primo soggiorno fu proprio nella città partenopea dove fu accolto nell’immensa dimora del nonno Hilaire, palazzo Pignatelli di Monteleone. L’austerità del nonno è ben visibile nei tratti che ne contraddistinguono il viso ma che affermano la consapevolezza con cui il giovane Degas affrontò il suo Grand Tour. Gli altri giovani benestanti occupavano il loro tempo tra svaghi e feste, lui no, lui decise di usufruire del soggiorno italiano per stare in famiglia e perfezionare le sue doti pittoriche. Studiò i grandi artisti, si avvicinò all’antico e al moderno per accrescere le sue conoscenze. Era ancora molto giovane, eppure, era già, sufficientemente, maturo da comprendere e sfruttare l’opportunità di quel lungo viaggio, affrontato prima di essere annoverati tra la schiera degli adulti. Aveva il tempo necessario per costruire, alla perfezione, l’uomo che sarebbe stato nel suo domani, ormai alle porte; era già un ragazzo serio, coscienzioso. Il ritratto di suo nonno è, senza ombra di dubbio, la sua prima opera consapevole; lineare e incisiva in tutte le sue forme, siano essere dipinte che emozionali.

La maturità di Edgar Degas lo portò a cambiare soggetti, a gestire la sua arte in maniera differente, a ritrarre situazioni fiabesche, nei sogni dei suoi protagonisti, un esempio sono le sue meravigliose “Ballerine”, dipinte tra il 1884-1885:

Edgar Degas, Ballerine 1884-1885 - da Wikipedia
Edgar Degas, Ballerine 1884-1885 – da Wikipedia

Molto naturali nei loro movimenti, accurate nei dettagli estetici e pittorici, vive all’interno della tela, vive nelle pennellate di un artista ormai, fortemente, consapevole di sé stesso e del bel mondo che lo circonda. Le sue ballerine sono l’espressione massima di una Parigi elegante, in cui l’arte fa da padrona in qualsiasi ambito, si mescola e si miscela tra una disciplina e l’altra, proprio come in questo quadro. Danza, musica e pittura, a dimostrazione di quanto, con consapevolezza, si possano trasmettere emozioni forti, legate a varie sfaccettature del mondo, sebbene il suo mondo restasse sempre di un rango elevato rispetto a quella media, distante da certi ambienti altolocati.

Ora, vorrei mostrarvi due opere di Franz Marc raffiguranti animali, due opere differenti l’una dall’altra nell’essenza realistica e fantasiosa di una rispetto alla seconda. Entrambe denotano una profonda consapevolezza del mondo che lo circonda, dell’essenza animale e del rapporto, quasi umano, instaurato tra razze diverse tra loro. Franz Marc appartiene al filone degli artisti espressionisti tedeschi, incentra tutta la sua opera sulla consapevolezza del mondo animale come metafora delle relazioni umane; vorrebbe trasmettere purezza e innocenza nei rapporti amicali e sentimentali tra le persone, rievocando le stesse interazioni del mondo, parallelo, vissuto in mezzo alla natura. La prima opera che vorrei mostrarvi è molto semplice:

Franz Marc, Cervi nella neve, 1911
Franz Marc, Cervi nella neve, 1911 – da Wikipedia

Si tratta dello stupore di due giovani cervi a contatto con la neve, per la prima volta. Sembrano proprio due bambini stupiti; si guardano intorno, annusano, cercano di capire e lo fanno l’uno accando all’altro per tutelarsi e difendersi dalla paura o da un eventuale pericolo. Nella loro naturalezza sono emblematici, si comportano, proprio, come i bambini; giocano, si divertono e scoprono. Sono la consapevolezza della crescita a cui, ognuno di noi, è sottoposto nell’arco della sua vita. Sono veri, la loro verità trasmette emozione e strappa un sorriso. La sua pittura, però, non è solo questo, solo un anno più avanti, nel 1912, dipingerà “Red and Blue Horse”, è bene spiegare quanto i colori non siano frutto della fantasia di Marc ma siano, per lui, veri e propri simboli, coscienti e consapevoli, per spiegare l’interazione tra un cavallo e l’altro, tra un uomo e un altro uomo. Il Blu significa spiritualità in un corpo maschile; il Rosso è la brutalità e la pesantezza che va combattuta. In altri quadri è presente anche il Giallo, come simbolo della femminilità, difesa dal Blu e attaccata dal Rosso, ma non è questo il caso:

Red and Blue Horse, Franz Marc, 1912 - da Antiquariato
Red and Blue Horse, Franz Marc, 1912 – da Antiquariato

Il cavallo Blu cerca di mostrarsi calmo, riflessivo; prova a far capire al cavallo Rosso di non avere alcuna ragione per cui combattere ma il Rosso assume una posa d’attacco, violenta. Non si sa come finirà la diatriba ma, quel che è certo, è da che parte stia la ragione e la saggezza e da che parte stia, invece, l’irruenza inconsapevole di una forza priva di controllo intellettuale, puramente brutale e animalesca. Si tratta, come abbiamo detto di una metafora: la metafora che, meglio, riesce a spiegare il mondo umano. Vuole servire da insegnamento, vuole trasmettere sicurezza nell’intelletto consapevole di chi ha la facoltà del sapere rispetto a chi non l’ha mai cercata.

La consapevolezza, letta attraverso delle opere d’arte, sembra qualcosa di semplice, di comprensibile, di avvicinabile da tutti, non lo è. La consapevolezza si raggiunge solo dopo anni di dedizione, di sacrifici, di impostazione mentale e di vita ligia e coerente; si apprende attraverso gli errori e attraverso l’ascolto di alcuni consigli e il tentativo di emanciparsi. La consaevolezza è qualcosa di soggettivo, molto personale; ognuno avrà la sua ma, se guardata nel dettaglio, sarà la stessa per tutti. Consapevolezza e Saggezza vanno insieme e non esiste una conoscenza saggia e consapevole che si discosti dalle virtù e dai valori canonici di una vita regolare, fatta di sentimenti puri, rispetto delle regole e costanza.

Bisogna essere sempre consapevoli, di sé stessi inseriti nel proprio contesto; a volte non basta per essere sereni. La consapevolezza, spesso, mostra anche i lati oscuri del mondo, sono gli inconsapevoli a vivere, sempre, tra le nuvole.

“Un altro sole quando viene sera
Sta colorando l’anima mia
Potrebbe essere di chi spera
Ma nel mio cuore è solo mia”
(Zucchero, “Così Celeste”, 1995)
Arianna Forni

 

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