“Un essere celeste è il bambino, finché non si camuffa nei colori camaleontici degli uomini!”
(Johann Christian Friedrich Hölderlin, 1770 – 1843, poeta tedesco)
Celeste come il cielo, celeste come il mare, celeste come alcuni occhi, celeste come la serenità, celeste, semplicemente, celeste. Non è blu, non è grigio, non è bianco, è una mescolanza di colori differenti, è un’insieme di emozioni, è celeste. Non ha una connotazione specifica, ci sono alcune tonalità più scure, altre più chiare ma resta sempre celeste e trasmette una pace come nessun’altra cosa al mondo. Una stanza celeste, l’immersione in una piscina celeste, l’immagine inebriante di un orizzonte celeste, colpito dai raggi del sole. Non serve un artista per rendere arte ciò che ha l’arte dentro di sé. Se sei celeste nell’anima, sei arte, se sai cosa rappresenta il celeste, sai cos’è l’arte. Proprio per questa ragione tantissimi artisti hanno avuto un’epoca celeste, qualcuno più sul blu, qualcuno più sull’azzurro ma pur sempre, come detto, celeste. Se chiudi gli occhi e immagini una cascata di alta montagna potrai sentire gli schizzi di acqua fredda colpirti il viso e, nei tuoi occhi, vedrai materializzarsi un colore; non ti dico quale, ormai lo sai. Al giorno d’oggi è importante riuscire a focalizzare la mente su qualcosa che ci renda sereni, c’è troppo macello, là fuori, abbiamo bisogno di pace, indentificarla con un colore serve ad aiutare la mente a trovare un suo relax interiore personale. Difficile pensare che il nero possa suscitare pensieri felici, altrettanto difficile immaginare che il rosso possa rasserenare; il celeste, invece, beh lui tranquillizza tutti. Non è un caso che Franz Marc identifichi il colore blu, o celeste in base alla tonalità utilizzata, come simbolo di temperanza, di calma, di protezione, di spiritualità, tant’è vero che, proprio nella sua tonalità più chiara, dipinge i suoi “Piccoli cavalli blu”, nel 1913:

Due puledrini che stanno scoprendo il mondo con gioia e interesse, curiosi verso tutto e tutti, sicuri perché protetti l’uno dall’altro. Celesti, nello spirito e nel colore sulla tela. I cavalli per Marc sono un emblema di forza e di controllo, sono quelle prede sufficientemente intelligenti da proteggersi, da soli, all’interno del proprio branco-famiglia, sono animali capaci di distinguere i ruoli sociali, riconoscono la femmina più anziana come guida e il maschio più giovane come protettore; hanno una regolamentazione sociale più umana degli umani. Marc cerca di trasmetterci proprio questo messaggio, attraverso le sue tele, prevalentemente celesti.
Del 1940 è “Blu di cielo”, di Kandinskij:

Il suo dipinto è un’insieme di sensazioni positive e negative, trasformate in gioia disillusa proprio dallo sfondo celeste e celestiale. L’opera risale al periodo in cui fu costretto a trasferirsi in Francia, dalla Germania, a causa dell’avvento nazista, era il 1933. Dopo un periodo di alienazione morale e sofferenza, sopraggiunse, in lui, uno stato di grazia e saggezza utili a concendergli la possibilità di guardare il bene nel dolore e produrre opere degne di nota, come questa. Solo quattro anni dopo morirà, ancora sul suolo francese, anch’esso dominato dal male nazista, sopraggiunto in tutta Europa. Questa sua tela, tarda, manifesta un cambiamento radicale nel suo modo di fare arte. Introduce degli elementi, quasi, riconoscibili come animali, vivi, con una propria esistenza, ben lontani dalle linee a cui era tanto legato, in gioventù. Il suo colore dominante è sempre stato il celeste, a detta sua: “Esso è il colore del cielo e richiama l’uomo verso l’infinito”. L’ennesima dimostrazione di quanto un solo colore possa trasmettere, e dare, pace.
Tra il 1916 e il 1919, Claude Monet diede vita alle sue “Ninfee Blu”, un tema ricorrente nella sua iconografia personale ma, questa volta, sottolineate da un blu-celeste che evoca pace e silenzio:

Un silenzio tipico di una zona rurale, tranquilla, lontana dal macello cittadino; poco importa sapere che quello stagno, sempre quello, si trovasse molto vicino al caos. In questa tela si ode silenzio, si vede pace e pazienza, si sente il lento movimento dell’acqua muoversi, dolcemente, sotto le candide ninfee, quel fiore comune dal ciclo di vita perenne e quindi perennemente presente, a far compagnia ai passanti, a dare un sostegno, rigoglioso, agli animi gentili, come quello di Monet che, per renderle onore, ne ha fatto grandi opere d’arte. Celeste, sempre celeste perchè è davvero il colore che, solo, può portare l’uomo all’infinito.
Torniamo un attimo indietro, andiamo nella concretezza umana, accompagnati dalle “Ballerine” di Edgar Degas. Anche lui, come tanti suoi colleghi, si è lasciato condizionare, piacevolmente, dal celeste, vestendo le sue ballerine in modo impeccabile, con infinita serenità:
Celesti, sempre celestiali, illuminate nel tulle delle loro ampie gonne da danzatrici classiche. Belle, bellissime, leggiadre e serene; ogni tocco è dato in modo magistrale affiché tutto sia in ordine, tutto possa trasmettere pace e permetterci di entrare in quel teatro, immaginarci nei nostri abiti eleganti, probabilmente, completati con qualche tocco proprio celeste, un fazzolettino, una veletta, un guanto di seta lucido e luminoso, seduti in una platea dell’alta classe sociale di fine Ottocento. Un solo tema per la serata: un tocco celeste, per rendere perfetto qualsiasi particolare.
Nel 1925 abbiamo un celeste, leggermente più scuro ma movimentato, di Joan Mirò:

Ci aveva abituati alla confusione, alle linee infantili, a costruzioni illogiche ma di una logicità spaventosa, ci aveva trasmesso le sue angosce, le paure e le soluzioni da prendere in considerazione e, poi, adesso, ci tranquillizza con questa tela. Celeste. Anche lui, come Kandiskij, come sfondo delle sue opere, ha sempre prediletto il celeste, ha sempre cercato di trasmettere sicurezza attraverso la composizione di questo colore affine alla pace e plasmabile nelle sue differenti tonalità. In questo cosa non lascia scampo ad equivoci, la tela è solo celeste, di un celeste in metamorfosi all’interno di sé stesso, un celeste mosso come l’acqua sotto le ninfee di Monet. Un celeste morbido e rilassante.
Con questi artisti arriviamo fino ad un nostro contemporaneo, criticato e discusso ma che, nonostante tutto, si è lasciato catturare dalla piacevolezza di questo colore. Lucio Fontana:

Nonostante il titolo, un po’ inquietante, quest’opera è, a parer mio, una delle sue più riuscite, non foss’altro per il colore utilizzato. Il celeste, che sfuma in un azzurro più scuro, dona movimento costante attorno ai cinque tagli netti nella tela. Si percepisce un ragionamento più sottile rispetto al classico bianco, beige o rosso, sexual addicted, rispetto ai quali mi sono già espressa. Il celeste, come vedete, può dare unicità e valore anche a qualcosa di, estremamente, controverso, sia dal punto di vista concettuale che stilistico, o artistico che dir si voglia. Non sono una fanatica di Fontana, anzi non lo sono per niente ma, in questo caso, rendo merito alla scelta del celeste, non perchè il taglio nella tela prenda un significato differente rispetto alle altre opere dipinte diversamente, solo perchè è celeste. Il celeste rilassa.
Potrei andare avanti all’infinito narrandovi tutte le opere celesti presenti nell’arte di ieri tanto quanto in quella di oggi. Sono infiniti gli artisti che hanno attraversato periodi connotati da questo colore, anche Picasso ha avuto il suo periodo blu dalle sfumature più chiare, più candide nonostante la durezza del cubismo. Adesso, provate a chiedere a un bambino quale sia il suo colore preferito, quale prediliga per colorare un foglio, il novanta per cento vi risponderà azzurro, celeste, blu chiaro, qualche bambina sceglierà il rosa ma non conosco bimba capace di pitturare il cielo di un colore diverso dal nostro.
Celeste.
“Un altro sole quando viene sera
Sta colorando l’anima mia
Potrebbe essere di chi spera
Ma nel mio cuore è solo mia
E mi fa piangere e sospirare
Così celeste she’s my baby
E mi fa ridere e bestemmiare
E brucia il fuoco she’s my baby
Gli occhi si allagano e la ninfea
Gallegia in fiore, che maggio sia
E per amarti meglio amore mio
Figliamo rose lo voglio anch’io”
(Zucchero, “Così Celeste”, 1995)
Arianna Forni
