“Ti amo non per chi sei ma per chi sono io quando sono con te.”

(Gabriel Garcìa Màrquez, Premio Nobel per la Letteratura nel 1982)

Gabriel Garcia Marquez
Gabriel Garcia Marquez

Gabriel Garcia Màrquez è uno scrittore, saggista e giornalista colombiano, poi naturalizzato messicano, è stato uno dei primi ad occuparsi di vera introspezione, uno dei primi a trasmettere emozioni concrete attraverso dei testi scritti e non per mezzo dell’arte visiva, il primo a inserirsi all’interno del realismo magico, pur non essendo un artista, nello specifico, un pittore. Il suo modo di scrivere è davvero magico, scorrevole, pulito, limpido, ricco di poliedriche situazioni al limite tra il realismo e la fantasia, intrecci continui che accompagnano il lettore fino allo scioglimento finale, del soggetto. I suoi testi sono un insieme di armonia, abilmente, costruita attorno a vicende, spesso, molto articolate. La sua opera più importante, scritta nel 1967, quando, ormai, si trovava, in pianta stabile, in Messico, è “Cent’anni di solitudine”, un’opera molto complessa che racconta la storia della cultura sudamericana, osservata dall’interno, con gli occhi dei protagonisti; in tal modo si inserisce, alla perfezione nel, così detto, realismo magico. Nel 2007, al IV Congresso Internazionale della Lingua Spagnola viene premiato come secondo scrittore di tutta la storia narrativa, spagnola appunto, dopo Miguel de Cervantes con il suo “Don Chisciotte della Mancia”. Un genio, un personaggio tra i più normali, arricchito da anni di studio e da un forte senso sentimentale nei confronti del suo popolo, attanagliato dei problemi politici ed economici di quegli anni. Prima di introdurre, esattamente, il realismo magico, per poter parlare di arte visiva, vorrei approfondire il discorso legato all’introspezione, a me molto caro. L’introspezione viene spesso confusa, o definita, come una personale lettura interiore del proprio io, nei propri pregi e nei propri difetti. Serve a comprendere sé stessi, inseriti in uno spazio ampio e multiforme, non sempre ci è concesso di ascoltare le nostre necessità e i nostri problemi, per questo, alcuni pensano, nasca l’introspezione. Ci si immagina chiusi in una stanza, luce soffusa, fiori profumati, lacrime e una stilografica, old school, per prendere appunti in riferimento alle scoperte, insite nel nostro cuore e nella nostra memoria. Al termine di questo processo, spesso fuorviante, dovremmo aver compreso qualcosa in più, chiarito dei punti oscuri, aver appreso una competenza cosciente delle nostre azioni. Bene, l’introspezione non è questo, o, per lo meno, non è solo questo, non è prevalentemente questo. L’introspezione è la capacità di leggere sé stessi in relazione agli altri, alla società che ci circonda e alla sociologia che ci governa. Siamo inseriti in un contesto, patologico o meno, non ha importanza, dobbiamo essere in grado di vivere, il più serenamente possibile, all’interno di questo contesto. Solo osservando gli altri potremo capire noi stessi. Da qui sorge spontanea una considerazione che riprende, di buon grado, la citazione di Màrquez, in apertura: “Ti amo non per chi sei ma per chi sono io quando sono con te.”. Questa è introspezione, questo significa aver capito di cosa siamo fatti: di relazioni, di confronto, di comunicazione, di compromessi, di accettazione. Tutto questo, messo insieme, crea una fortissima introspezione perché riesce a mettere in dubbio i punti più saldi del nostro ego. Stare da soli a chiedersi il motivo per cui accadono, o ci accadono, determinate cose, è facile, tutti possono farlo, tutti possono trarne risposte corrette, in base al proprio carattere e alle proprie inclinazioni, tutti daranno ragione al proprio Io. Il confronto diretto con un’altra persona, invece, non ci darà mai le risposte che vorremmo sentire, ci metterà sempre di fronte a qualcosa di indisponente, di fastidioso, ci farà guardare in faccia ai nostri difetti, e allora, sì, saremo giunti ad una forte introspezione personale, capace di cambiare il nostro punto di vista, il nostro modo di affrontare l’aspetto sociale e sociologico della vita. Vale lo stesso discorso anche in teatro. Gli attori devono svolgere una forte introspezione, del personaggio da interpretare, per comprenderne le sfaccettature e realizzare, al meglio, la messa in scena. Quell’introspezione è la stessa che dovremmo fare noi. Il personaggio è inserito in un soggetto, nella storia, che, a sua volta, è costruita attorno ad altri personaggi i quali, soli, denoteranno i comportamenti di ognuno. Solo conoscendo l’intero scioglimento del soggetto teatrale, l’attore, potrà arrivare alla più intima introspezione del suo personaggio. Ecco, ora possiamo comprendere quanto sia rarefatto il significato della frase: “Fatti un esame di coscienza”, da solo non ci riuscirai mai, quindi: “Facciamoci un esame di coscienza in modo tale che tu riesca a capire chi sei e perché sei così”. Spero di essere riuscita a rendere l’idea. Partendo da questo concetto, fondamentale, possiamo passare al realismo magico e alla sua introspezione legata ad un mondo lontano, tuttavia, molto vicino. Il realismo magico, appunto, nasce nella primissima metà del Novecento, un momento in cui era forte il desiderio di lasciar vagare la mente verso qualcosa che non fosse più strettamente connesso con la routine quotidiana, con il realismo e il verismo attanagliante e crudo, tipico della vita stessa. Si ricercava l’inserimento di temi più fantastici, più lontani dalla verità, più mentalmente rilassanti. Questo, come detto, vale sia in letteratura che, più esplicitamente, nelle arti visive. In letteratura, infatti, tutto ciò che assomma realtà e fantasia può essere definito come realismo magico, pur non rientrando nel contesto in cui è nato. L’ideatore di questo movimento, nel 1925 è, per l’appunto, Franz Roh, nato nel 1890 e morto nel 1965 a Monaco di Baviera. Roh viene annoverato, all’interno di questo filone, per averne coniato il termine e, osservando la sua opera “Total Panic II”, del 1937, per averne impostato l’essenziale catarsi della mente:

Total Panic II 1937 by Franz Roh 1890-1965
“Total Panic II”, 1937 by Franz Roh 1890-1965 – da Tate

Questo, però, è solo l’inizio, può sembrare inquietante, pauroso, anche terrificante, non aveva ancora preso pieno possesso della connotazione, delicatamente, fantastica, avvolta da un alone piacevole e rassicurante. Da qui ha inizio il vero realismo magico nell’arte visiva.

Il primo a rendersi, davvero, magico, nel suo realismo d’insieme, è stato Edward Hopper, di cui vediamo un’opera in apertura dell’articolo, “Nighthawks”, del 1942. I suoi Nottambuli sono pochi, solitari, in un bar nella notte newyorkese, uno dei pochi locali ancora aperti, in una serata all’insegna del silenzio mistificato. Sono tristemente soli, avvolti dalla loro stessa introspezione. Un uomo di spalle, una coppia, probabilmente uscita da una festa o da una cena di lusso, e il barista. Si percepisce interazione tra di loro, cercano conforto in una notte in cui sono rimasti in quattro, quattro anime in una città enorme. Sono soli senza esserlo, sono insieme a loro, creano una situazione familiare nell’inquietudine di essere lontani da casa. Il dipinto è nitido e preciso, sembra una fotografia. Il taglio fotografico della tela è un altro elemento importante del realismo magico e Hopper rispetta tutti i canoni, regalandoci opere magnifiche. Ora, però, osserviamo “The House by the Railroad”, proprio del 1925:

Edward_Hopper, The House by the Railroad, 1925, Whitney Museum of American Art - da Wikipedia
Edward Hopper, “The House by the Railroad”, 1925, Whitney Museum of American Art – da Wikipedia

Ancora più fotografica, ancora più realistica e, allo stesso tempo, ancora più magica, sembra la casa dei fantasmi, di Casper per intenderci, appare fiabesca pur nel suo contesto, assolutamente, reale. In primo piano si scorgono i binari rossi di ruggine e il terreno su cui poggiano, sullo sfondo la casa imponente, viva, grazie a quella finestra leggermente aperta, ma spenta e solitaria nell’azzurro del cielo. Si ode silenzio, in questo preciso istante dipinto, nessun rumore, nemmeno il cinguettare degli uccellini. Oppressione e silenzio creano un’atmosfera magica. C’è chi, guardando la tela, starà aspettando di sentire il treno, chi, invece, penserà ad una chiusura, almeno temporanea, di quella stazione, ad una casa abbandonata dai vecchi proprietari, stufi di quel fischio assordante della locomotiva. Lo trovo realistico e magico, lo trovo fantastico, ovvero ricco di fantasia e di introspezione, nata da un contesto scarno di elementi superflui, di indizi utili a rispondere alla solita domanda: “Cosa vuole dirci?”, “Chi abita in quella villa?”.

Non resta che osservare un’altra opera, di Georg Schrimpf, “Martha”, sempre del 1925:

Georg Schrimpf, Martha, 1925 - da Wikipedia
Georg Schrimpf, Martha, 1925 – da Wikipedia

L’introspezione di una donna, moderna, mentre legge una lettera. Un foglio di carta può essere qualsiasi cosa, una lettera d’amore, d’addio, una bolletta da pagare, un messaggio con la lista della spesa, un messaggio, e basta. I suoi occhi, la sua posizione, però, non lasciano presagire niente di buono, è tesa, preoccupata, triste, eppure i suoi lineamenti non lasciano trasparire ridigità particolari, è rilassata nella presa di coscienza di quello scritto. Appare realistica ma altrettanto fantasiosa ed è questo il motivo per il quale si inserisce, perfettamente, nel realismo magico di questi anni Venti del Novecento.

Ultima, ma non ultima, un’altra donna, la cui introspezione avviene nell’osservazione attenta dal balcone di casa sua. Quante volte ci capita di soffermarci minuti, forse ore, a guardare cosa succede nei palazzi limitrofi o per strada, cerchiamo di carpire le abitudini degli altri per confrontarle con le nostre, per criticarle e, nella critica, capire le differenze. Ecco, Ubaldo Oppi in “Donna alla finestra”, del 1921, ricerca proprio questo meccanismo mentale di paragone con il mondo, fuori dalla nostra dimora, per umile che sia:

Ubaldo Oppi, Donna alla finestra, 1921 - da Wikipedia
Ubaldo Oppi, Donna alla finestra, 1921 – da Wikipedia

Abbiamo capito cosa sia, effettivamente, l’introspezione, abbiamo appreso il significato e lo scopo del realismo magico, abbiamo osservato opere di grandi artisti e paragonato il concetto alla letteratura. Infondo anche Harry Potter” ha, un non so che, di realismo magico:

“Le nostre scelte, Harry, mostrano ciò che siamo veramente, molto più delle nostre capacità”

(Albus Silente “Harry Potter e la Camera dei Segreti”, 2002 )

Da questo realismo potremmo apprendere molte cose, il sogno infantile e la visione paranormale del mondo normale ci permettono di osservare le cose dall’esterno, vederne i pregi e i difetti, carpirne insegnamenti importanti. Non solo i bambini hanno la facoltà di migliorarsi e di cambiare, lo stesso possono fare gli adulti ma devono, per forza di cose, partire dall’introspezione sociale del singolo individuo inserito nel suo mondo. La J.K.Rowling lo aveva capito bene, non a caso è la donna più ricca del Regno Unito.

Pensiamoci. Forse scendere dal proprio piedistallo, e comprendere, può, anche, risultarci economicamente utile.

Arianna Forni

 

 

 

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