“La comunicazione elettrica non sarà mai un sostituto del viso di qualcuno che con la propria anima incoraggia un’altra persona ad essere coraggiosa e onesta.”
(Charles Dickens, 1812-1870)

Charles Dickens con il suo “Christmas Carol”, del 1843, oppure “Oliver Twist”, del 1837, oppure, ancora, “David Copperfield”, del 1849 non è certo l’emblema della tecnologia ma aveva un’idea molto chiara di quanti sarebbero stati i danni provocati da una crescita “elettrica” e, quindi, meccanizzata delle comunicazioni. Lo prendiamo da esempio solo per comprendere quanto timore fosse collegato alla riduzione dei tempi e degli spazi relazionali. Al giorno d’oggi, purtroppo, facciamo le spese della nostra smania legata ai vari device, di cui non possiamo fare e meno, abbiamo tante facilitazioni, innumerevoli semplificazioni ma altrettante problematiche pratiche. Non ci guardiamo più negli occhi se non in quelli virtuali. Gli schermi riducono i problemi correlati alla timidezza ma riescono a distruggere i più deboli. I social network hanno aperto le porte a nuove StartUp, a nuovi business digitali, a nuovi Vip che di Important hanno, con ragionevole certezza, solo il portafoglio. La tecnologia, torno a ripetere, non è solo negativa, ci ha garantito svariate possibilità a cui mai avremmo potuto ambire, ci ha permesso di realizzare sogni fantascientifici, ha, davvero, ridotto tempi, spazi, distanze, ha avvicinato un mondo lontano provando ad uniformarlo. Ecco, quest’ultimo aspetto è l’unico ad essere, veramente, impossibile, anzi, drammaticamente difficile da affrontare. Popoli diversi, diverse culture, mischiare i vari generi produce incroci non sempre positivi che, troppo spesso, finiscono nel sangue. La tecnologia ha un aspetto sacro e profano, inventata da uomini potenti, intelligenti, militarmente attivi, abili e lugimiranti. Su questo concetto bisogna, per forza, aprire una grande parentesi. Iniziamo con un esempio tra i più noti e esemplificativi, il GPS (Global Positioning System), ben più noto con il suo nome innocuo, ma non preciso, navigatore satellitare, è ormai una dotazione, inclusive, di automobili, smartphone, lettori musicali, sistemi di allarme, ma quello che risulta interessante sapere è come e quando è nato. Erano i primissimi anni Settanta del Novecento, allora il Dipartimento per la Difesa degli Stati Uniti d’America decise di commissionare, a un gruppo di studiosi, l’invenzione di questo utilissimo dispositivo, ovviamente con scopo militare, bellico. Alcuni, ormai, lo vedono come uno strumento indispensabile, forse non sanno che Global Positioning System non è altro che un localizzatore satellitare con le stesse, identiche e perfezionate, funzioni di un tempo: scovare le persone, noi compresi. Ci sono noti fuggiaschi, di cui non occorre fare il nome, non avrebbe senso, fregati dal loro stesso GPS, è chiaro, non si trattava di spie addestrate dal KGB ma, diavolo, ormai è di dominio pubblico il funzionamento satellitare di questo dispositivo, il cui nome stesso indica l’utilizzo: localizzatore. Rendo l’idea? Niente di meno per quanto riguarda i telefoni portatili e, di conseguenza, i touch screen e i moderni smartphone, inventati intorno al 1973. Per non parlare delle ambulanze, del pronto soccorso, dell’immediatezza nel salvataggio di una vita umana, nato, presumibilmente, nel corso delle Guerre Napoleoniche. Lo stesso, ancora, vale per le tecnologie legate al volo, gli aeroplani si sono modificati sulla base di tecnologie provate e sfruttate proprio in ambito militare, così come le automobili. La tecnologia, che ci rende la vita tanto semplice e immediata, nasce con uno scopo totalmente differente, nasce per sconfiggere gli avversari, per avere a disposizione attrezzature capaci di salvare interi eserciti devastandone altri. Non siamo qui a fare del moralismo, le guerre sono guerre, esistono da sempre, da prima che l’uomo fosse dotato di parola. Non è questo il punto, bensì un altro, più sottile, che potrebbe farci sentire leggermente presi in giro dai potenti colossi del military system. Ciò che arriva a noi è ormai superato da anni, da decenni, quando la tecnologia militare avanza ci danno il contentino. Quanti anni sono che viviamo incollati ai modernissimi smartphone? Dalla fine del 2006, 33 anni dopo la loro effettiva invenzione. Immaginate quante altre cose potrebbero essere in uso e non arrivare a noi fino al loro superamento. Immaginate cosa possa esserci oltre lo smartphone, ad esempio. Ho voluto introdurre questi argomenti per essere più circonstanziata nell’associazione di arte e tecnologia, nel raccontarvi cosa siano le installazioni artistiche tecnlogiche e cosa vedano gli autori nell’avanzamento meccanico del nostro mondo. In apertura di questo articolo c’è un bozzetto di Leonardo da Vinci, del 1280 che rappresenta l’idea di un primissimo archetipo di drone, in effetti c’è chi pensa che da Vinci fosse un alieno, oppure che fosse solo un uomo normale con molta fantasia, improbabile, forse, invece, aveva qualche amico capace di viaggiare nel tempo. Chissà, resta il fatto che quel drone non sia ancora in commercio.
Iniziamo con un’installazione dall’effetto splendido, una cascata floreale ideata e attuata da Kido Takashi:

Una stanza fatta di colori, luci, fiori proiettati e rumori, in continuo movimento, qualcosa di magico in un ambiente rarefatto, impalpabile. Riesce a far vivere, un istante o poco più, lontano dal mondo, lontano dai rumori assordanti del nostro quotidiano. Siamo talmente abituati ad un certo sottofondo ambientale da non accorgerci più di nulla, non abbiamo più orecchie adatte al silenzio e ai suoni lievi. Bisogna soffermarsi, ascoltare, guardare, imparare a trovare equilibrio laddove risulta difficile distinguere il terreno dal soffitto e viceversa. Si tratta di un’arte visiva molto diversa da un quadro, è una magia tecnologica. Ritroviamo lo stesso meraviglioso concetto in:

Ciò che lascia basiti è l’insieme della tecnologia, nell’avanzamento di un processo cognitivo legato all’arte e non alla vendita di attrezzature connesse all’etere superiore della rete internet. Relaxing time, contro lo stress tecnologicamente modernizzato.
Anche l’apertura della mostra di Frida Kahlo, a Milano dal 1 Febbraio al 3 Giugno 2018, al MUDEC, apre le sue porte al pubblico così:

Anche questa è un’installazione visiva e virtuale in cui scorrono parole di narrazione in riferimento alla vita dell’artista, compare in svariate pose e immagini addossate allo scorrere imperterrito dello scritto come fosse liquefatto sulla parete. Meraviglioso e psicologicamente avvincente. Si resta impressionati da tanta imponenza, sensa parole, si osserva e poi ci si immerge nello spirito giusto con cui affrontare il resto del persorso iconografico, dagli albori all’inesorabile fine.
Ora, vorrei mostrarvi due opere di Giulio Paolini, differenti l’una dall’altra, la prima “Belvedere” del 1990:

Appare come un insieme di, classico e moderno, avvicinamento all’Universo che sovrasta la Terra. Possiamo scorgere, in secondo piano, una statua in stile romano, vediamo ben poco di quell’immagine, coperta dai pianeti, coperta dalle stelle, da luci potenti e prepotenti che facciamo fatica a distinguere. Questo è il modo con cui Paolini vede l’avvicendamento tra l’arte del passato con un presente in rapida crescita, capace di porci talmente proiettati in avanti da farci toccare persino il cielo, con un dito, senza averne ancora le facoltà mentali per reggere lo sforzo. Siamo prigionieri del nostro stesso progresso.
Ma ora vediamo anche “Air”, del 1983:

Un angelo con le ali ai piedi, più probabilmente, un Mercurio, figlio di Zeus, o Giove, e della ninfa Maia, protettore dell’eloquenza, dei ladri e del commercio, un Dio strano in tutte le sue connotazioni. Si trova lì, solo, appeso a testa in giù, sopra una mattonella di vetro incrinata, l’ombra sulla parete lo fa sembrare un pesce, un tonno, forse, agganciato per la coda, morto. La tecnologia ha distrutto l’arte, ha distrutto le divinità, in un’epoca passata, molto lontana, erano loro ad essere tecnologici, erano loro ad avere quel potere tra le dita che oggi stringiamo, avidamente, nei nostri smartphone, nelle nostre instagram stories, in quel numero di followers capace di renderci, quasi, immortali.
Siamo delle bestie ma qualcuno di noi ha ancora un cuore. Riportiamo a galla le nostre origini. Per quanti followers fedelissimi possiamo avere, noi non siamo Dei, noi non saremo mai immortali.
Arianna Forni