“Cantami, o Diva, del Pelìde Achille

l’ira funesta che infiniti addusse

lutti agli Achei, molte anzi tempo all’Orco

generose travolse alme d’eroi,

e di cani e d’augelli orrido pasto

lor salme abbandonò (così di Giove

l’alto consiglio s’adempìa), da quando

primamente disgiunse aspra contesa

il re de’ prodi Atride e il divo Achille.”

(Omero, proemio “Iliade”, VI a.C.)

Come tutti i proemi, al tempo dei Greci, ricordiamo gli anni in cui è stata scritta “L’Iliade”, VI a.C., l’autore aveva l’obbligo di affidarsi al racconto di una musa, o Dea che dir si voglia, in questo caso a Calliope. L’invocazione della Musa serviva a dare credibilità al racconto che traslava la narrazione da un uomo mortale a una divinità, con conseguente obbligo, da parte del pubblico lettore e/o ascoltatore, di dare credito a quanto narrato. L’autore si trasforma in un mero esecutore di una narrazione più elevata, non più frutto della sua mente ma di quella della Musa Calliope, appunto. Questo sradicare sé stessi, riducendosi alla stregua di un medium, per intenderci, poneva il poeta in una condizione intoccabile, ingiudicabile, impossibile da criticare. Ciò che avrebbe scritto, dal proemio in avanti, avrebbe avuto una certificazione di autenticità talmente altisonante, inequivocabile, da rendere, lui stesso, divino. Dopo l’invocazione, il proemio continua con la propositio, o protasi, ovvero una sorta di brevissimo riassunto in riferimento ai fatti che verranno esplicati nel suo proseguimento. Un importante litigio aveva diviso, in modo definitivo, il re dei coraggiosi Agamennone, figlio di Atreo, da Achille, figlio di Peleo. Achille, per questo, aveva scatenato la sua ira sui Greci (gli Achei), gettandoli nell’Oltretomba (nell’Ade, qui detto Orco) prima del tempo, lasciando i loro corpi senza vita alla mercè di terrificanti creature, mettendo in pratica il volere di Zeus (Giove). Questo serve a spiegare l’importanza, attuale, che diamo alle fonti a cui ci appelliamo prima di dire qualsiasi cosa, prima di affermare la veridicità di un assunto, storico o contemporaneo che sia, le nostre Muse moderne sono dei guru, professori, studiosi specifici della materia che stiamo trattando, sono tutti quelli che, in un modo o nell’altro, hanno saputo acquisire credibilità all’interno della nostra sfera sociale. I titoli e le onorificenze, spesso, non sono la cosa più importante, l’importante è avere carisma e rendersi inattaccabili. Una fonte inattaccabile diventa un fondamento sul quale costruire una carriera e una, conseguente, credibilità personale. Omero aveva Calliope, noi, beh, noi chi abbiamo? Noi citiamo i grandi del passato, andando sul sicuro, citiamo i giornalisti più rinomati del presente, andando quasi sul sicuro, citiamo ciò che va di moda e detiene i numeri che fanno la differenza, ovvero i numeri di seguaci fedelissimi, con questo non rischiamo di cadere in alcun errore, ben sapendo, però, che non sono i numeri a rendere attendibile una fonte. Il ragionamento si fa oscuro ma per qualcuno, lo so, è chiarissimo, limpido come una sorgente “altissima, purissima, Levissima”. Lo scopo è, sempre, di arrivare ad essere citati noi stessi per aver avuto le capacità, nonché l’ardire, di scavalcare il muro della plebe per entrare nel popolo dei citati, degli eletti. Ci vuole tempo, Omero ci ha messo parecchi secoli prima di diventare citabile, a prescindere da Calliope, questo solo per coloro che non credono nelle Muse e nei Fantasmi perché in tal caso il suo essere citabile dipende, ancora una volta, dalla cara Calliope, non mi addentrerei nel contesto dei medium moderni. Noi cerchiamo, e speriamo, di metterci un po’ meno, senza cadere nell’egocentrismo, capace di convincerci di avere già tutte le carte per essere, a nostra volta, citati, persino studiati. Anche questo rientra nell’arte, è l’arte di catalizzare, piccoli o grandi gruppi, attorno a noi, alle nostre parole, alle nostre creazioni. Credo che sia tanto bello parlare di arte proprio perché è l’arte stessa a parlare per noi, dal canto nostro possiamo esprimerci, dare delle opinioni, creare dei parallelismi sociologici contemporanei, dando un fondamento di credibilità supportato da immagini visive non di nostra appartenenza. Sembra facile ma non lo è. Ciò che vorrei trasmettere è il senso dell’importanza di una base culturale data dalla continuità nello studio e nell’applicazione. La serietà d’impostazione della propria vita dovrebbe partire dalle famiglie, dall’educazione dei bambini, dalle scuole, dagli insegnanti in generale, qualsiasi sia la disciplina, compreso lo sport in tutte le sue, svariate, forme. Fare Arte di sé stessi è, nella sua apoteosi, non da tutti raggiungibile, farsi citare. Creare degli aforismi tratti dalle proprie parole, non vane, ben indirizzate ad uno scopo più elevato, è Arte, serve a diffondere la cultura in un mondo di sciocca, e vile, apparenza che, nostro malgrado, spesso, ha i numeri. Ora, perché Achille? Sa va sans dire. Perché Omero, o meglio, Calliope, l’ha reso immortale, talmente immortale da vivere nonostante il suo tallone, quell’unico punto debole capace di ucciderlo, in quella storia drammatica, rendendolo ancora più immortale nel ricordo di tutti i posteri, noi compresi. In modo del tutto elegiaco, anche noi, cantiamo l’amore per quel pelide Achille che ha saputo colpire il nostro cuore, per lo meno, quello di alcuni, gli altri non leggeranno questo pezzo quindi è inutile annoverarli nella lista degli affascinati. Ho scelto di parlare di Achille perché, personalmente, amo “L’Iliade”, amo Omero, amo lo stile poetico di narrazione, lo trovo avvincente. L’ho scelto con un ben preciso scopo, spiegare, appunto, da cosa dipende la fama di quell’eroe, dell’influencer di turno, piuttosto che di un altro e, soprattutto, perché citiamo una fonte per esprimere un concetto. Non siamo abbastanza sicuri da farci bastare le nostre parole, le nostre convinzioni, per farci ascoltare. Allora chi cita è un insicuro? Beh, se così fosse, tutti gli edotti sarebbero insicuri. Non è così. Si tratta di creare una amalgama, di pensieri e parole, capace di creare un risultato unico, proprio come l’amalgama dei vari metalli rende unico un singolo materiale. Parliamo di una convivenza epocale di ragionamenti, di racconti, di citazioni, appunto. Parliamo dell’uomo in senso lato. Parliamo di noi. Allora appare logico mostrare dell’arte, anche quando quest’arte si rispecchia in quella di qualcun altro, come ad esempio, nel caso di Roberto Ferri.

Ferri è un pittore contemporaneo ma le sue opere sono tutto fuorché contemporanee, nello stile, nella forma e nei soggetti. Nasce a Taranto nel 1978, fortemente appoggiato dalla critica di Sgarbi e di altri esponenti del mondo dell’arte, trova il suo spazio, si fa conoscere e rende evidente il suo influsso caravaggesco, classicheggiante:

Roberto Ferri, Fallen Angel, 2011 - da WikiArt
Roberto Ferri, Fallen Angel, 2011 – da WikiArt

Trovo molto incisivi i suoi dipinti sugli Angeli. Angeli diversi da quelli celestiali a cui siamo abituati ma, pur sempre, uomini con le ali, quindi, Angeli. Caduti dal Cielo, come questo, oppure frastornati dal mondo moderno, confusi, incapaci di riconoscere il Bene e il Male, come lei:

Roberto Ferri, gli angeli confusi che non sanno distinguere il Bene dal Male - da Stile Arte
Roberto Ferri – da Stile Arte

Anche in questo caso parliamo di citazioni, visive e non letterarie ma, pur sempre, citazioni. Il suo stile di pittura, davvero formidabile, non è una sua invenzione, è di Caravaggio, è di un periodo classico, neoclassico, non è contemporaneo ma, proprio per gli anni di produzione, non è nemmeno antico, Caravaggio morì nel 1610. Cita e viene apprezzato proprio perché ha scelto di citare un emblema della pittura mondiale mettendosi, da solo, con consapevolezza, sulla graticola. Se non fosse riuscito a rendere merito alla sua fonte d’ispirazione avrebbe generato un flop talmente grande da scomparire, immediatamente, dal contesto artistico attuale. Al contrario, invece, ce l’ha fatta, grazie alle sue impareggiabili doti artistiche si è inserito alla perfezione nella scena mondiale. Ha potuto farlo grazie alla ferma sicurezza nelle sue capacità. Quindi, per tornare alla domanda di poco fa: chi cita non è un insicuro, anzi.

“Citando un verso isolato se ne moltiplica la forza attrattiva.”

(Marcel Proust, “I Guermantes”, 1920 1° vol. e 1921 2° vol.)

I grandi autori ne sanno qualcosa, ci sono frasi che sono, ormai, di dominio pubblico, alcune, per molti, hanno perso la loro identità, hanno perso il loro padrone, l’ideatore, ma hanno saputo mantenere un certo fascino, imprescindibile. Il contesto delle citazioni fa parte dell’arte come l’arte fa parte delle citazioni. Sono due mondi inscindibili l’uno dall’altro. L’autore, se merita, sa di poter essere citato, fino allo sfinimento, sa anche, ahimé, di poter essere copiato ma il plagio, grazie al cielo, è punibile per legge, sempre ammesso che qualcuno se ne accorga in tempo.

Torniamo ad Achille, su di lui si è fatto di tutto, dai dipinti, ai racconti, ai film moderni.

François-Léon Benouville lo dipinse così, nudo, attonito, pensieroso, forse in una fase di ripensamento verso le sue gesta di distruzione o, forse, solo stanco.

La furia di Achille, di François-Léon Benouville (1821–1859) - da Wikipedia
La furia di Achille, di François-Léon Benouville (1821–1859) – da Wikipedia

Ciò che colpisce sono quegli occhi fissi nel vuoto, quella mano sulla testa come a volersi rimproverare di qualcosa, come se stesse rivivendo l’inizio della sua ira, come se stesse pensando di tornare indietro ma, indietro, si sa, non si torna. La contrazione delle dita dei piedi racconta la stessa cosa del suo sguardo vuoto, si nota insicurezza, questo è quello che Benouville ha cercato di trasmetterci e, noi, siamo ancora qui a guardarlo cercando di capire qualcosa in più, cercando di leggere negli occhi del pelide Achille sapendo già di non trovare alcuna risposta, se non vaghe ipotesi.

Poi c’è l’immagine più Pop dell’Universo, “Troy”, film del 2004, in cui Achille è interpretato da Brad Pitt:

Brad Pitt (Achille) in una scena del film Troy, 2004 - da Wikipedia
Brad Pitt (Achille) in una scena del film Troy, 2004 – da Wikipedia

Difficile paragonare questo all’arte, eppure anche la cinematografia rientra nell’arte. Qui si è perso il pathos di Omero, si è perso il mito della musa Calliope, si è perso tutto per concentrarsi sugli effetti speciali, sugli attori hollywoodiani, sulle colonne sonore. Ormai a chi interessa più la cultura del passato? Lo dico mestamente, le antiche storie, le favole dei menestrelli, i poemi, i primi romanzi hanno qualcosa di indissolubile al loro interno. Hanno un cuore pulsante, se letti e riletti continueranno a pulsare, non dovrebbero mai smettere, per farlo servirebbe che qualcuno prendesse in mano la situazione e ricominciasse tutto dal calamaio. Sarebbe pazzesco, torneremmo ad essere un Paese di saggi e sapienti. Torneremmo ad essere un Paese capace di stupirsi come i bambini. Torneremmo ad essere un Paese di intellettuali e studiosi, di artisti e professori, veri, non fasulli. Torneremmo ad essere un Paese citabile.

Arianna Forni

 

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