“Say the word and you’ll be free
Say the word and be like me
Say the word I’m thinking of
Have you heard the word is love?
It’s so fine, it’s sunshine
It’s the word, love”
(Beatles, “The Word”, 1965)
Having a Word Order, l’assonanza è agghiacciante ma non è di questo che voglio parlare, non mi addentrerò nei fatti e misfatti di un mondo governato dall’occhio sovrano, è uno stile di vita sano. Mi basta poter parlare di questo, dell’Ordine delle Parole e del suo grande, intrinseco, fondamentale, a volte sconosciuto, significato. Per avere una vita sana bisogna mangiare sano, fare almeno un’ora di attività fisica quotidiana e, ultimo ma non ultimo, bisogna conoscere l’ordine delle parole. Per ordine delle parole non intendo la grammatica, o per lo meno, non intento solo la grammatica. In questo senso dovrebbe essere uguale per tutti, semplice, immediato. la padronanza del linguaggio dovrebbe essere di tutti e per tutti, ma, no, non lo è, con qualcuno bisognerebbe ancora fare della beneficenza, regalare dei termini, dei tempi verbali e qualche, altrettanto sano, momento di respiro. Mi piacerebbe poter dare per scontato che tutti conoscessero i tabulati verbali e le regole grammaticali, almeno, di base, per una buona costruzione di una frase italiana. In nome delle Muse antiche, spargete la dottrina della parola, Paese per Paese. La lingua Italiana dovrebbe essere come la religione: una fede imprescindibile, radicata nei nostri cuori e, fortemente, studiata, voluta. Mi viene da piangere. Ogni giorno devo, malauguratamente, prendere atto di quanto sia difficile incontrare qualcuno che sappia parlare, figuriamoci scrivere. Siamo un popolo di ignoranti inconsapevoli, soprattutto sul piano linguistico, è una condizione, epocale, aberrante ma non è nemmeno di questo di cui vorrei parlare. Chi si sente tirato in causa, per favore, cerchi qualcuno che gli sappia dare una mano, ci sono tanti professori in giro, gente simpatica, a modo, gente alla mano e ben disposta a diffondere la cultura; non abbiate paura, esiste, di certo, una soluzione anche per voi. In ogni caso, l’ordine delle parole è il loro, intrinseco, significato, è ciò che si vuole trasmettere. Con le parole non si può fare come con gli addendi, se invertite l’ordine cambiano di significato, è una legge severa, lo so, ma bisognerebbe prestarci molta attenzione, tanto quanto bisognerebbe conoscere l’uso della punteggiatura, anche qui scendiamo in un meandro colmo di spine, quasi invalicabile. La punteggiatura sembra non esistere, potrebbe essere un personaggio fantastico di qualche romanzetto infantile, un’entità soprannaturale difficilissima da avvicinare, quasi impossibile. L’ordine delle parole è dato anche da un buon uso di punti, virgole, punto e virgola, due punti ma, vi prego, non fate accapponare la pelle degli scrittori, le virgolette lasciatele stare, tiratele fuori solo per le grandi occasioni, per i discorsi diretti e per i titoli, ricordandovi, sarebbe davvero un bel miracolo, di identificarli anche con l’uso del corsivo. Un’estasi, se lo facessero tutti. Peccato che, la regolamentazione inerente alla scrittura, non sia ancora punibile per legge, viceversa credo che, almeno, qualcuno proverebbe a metterci un filino di impegno in più. In un tempo che fu, forse troppo lontano per averne memoria, l’educazione prevedeva una certa etichetta di linguaggio, si cercava di esprimersi al meglio delle proprie possibilità, ci si impegnava per trovare le parole giuste da usare nel momento più opportuno, si evitavano continue ripetizioni e si formulavano frasi corrette, soggetto, verbo e complemento, senza arricchirle di sproloqui accrescitivi, il massimo del nervosismo e del disappunto veniva espresso attraverso parole, ormai, arcaiche ma dalla forza impagabile: “Perdincibacco, caspiterina, diamine, poffarbacco, mannaggia, accidenti…” e via dicendo. Erano parole musicali, estremamente comunicative e per nulla volgari, anzi, avevano un non so che di aristocratico al loro interno, erano vive all’interno di una terminologia meravigliosa. Oggi? Beh, oggi, siamo degli animali, oggi parliamo a monosillabe, a gesti intercalati da qualche parolaccia, sempre più volgare e gridata sempre più forte. Oggi siamo delle bestie. I ragazzini, qualsiasi scuola frequentino, conoscono un millesimo delle parole di un qualsiasi vocabolario, leggono i testi madre della nostra letteratura nei bigini o sui riassunti trovati navigando nel web, non sanno rispondere ad una domanda senza iniziare con “Praticamente“, sono privi di fantasia e, come prova di tutto questo, non leggono, forse nemmeno sanno leggere. Inizierei a fare delle domande alla carissima ministra dell’istruzione Valeria Fedeli, una sindacalista, appartenente al Partito Democratico, diplomata alle magistrali e maestra di scuola d’infanzia. Proverei a sottoporre un giudizio, inerente alla carica della Ministra Fedeli, a Claudio Marazzini, dal 2014, Presidente dell’Accademia della Crusca, laureato all’Università di Torino, nel 1972, con una Tesi discussa con Gian Luigi Beccaria, spero che almeno Beccaria non abbia bisogno di ulteriori presentazioni. Non sto a citare le illustrissime cattedre da lui, veramente, ottenute nel corso degli anni successivi alla, vera, laurea. Credo si stia iniziando a fare un po’ di confusione. Il Word Order, sempre vista l’aberrante assonanza, sta iniziando a manipolare la mente di chi ha in mano le redini del gioco, il problema, però, è che, purtroppo per loro, ci sono ancora, sparsi per il Paese, sporadici individui dotati di un buon public speaking, grazie ad una discreta, non dico ottima ma discreta, conoscenza della lingua italiana. Meraviglia: lingua italiana, la lingua dei sapienti, una lingua romanza, per l’esattezza, la lingua nata dal latino volgare, trasformato nei vari rami dei volgari regionali, per poi fortificarsi nel volgare fiorentino da cui nascerà l’italiano rinascimentale, fino ad arrivare ai giorni nostri. Il vero italiano è sempre stato utilizzato prevalentemente nello scritto e nel parlato aulico delle classi sociali più istruite, più colte e edotte; si è sempre lasciato che il popolo si esprimesse a modo suo, secondo i propri dialetti e le proprie varianti linguistiche paesane ma, ormai, lasciatemelo dire, siamo nel 2018 e, forse, solo la metà della popolazione (60.446.296) sarebbe in grado di coniugare un verbo in tutte le sue declinazioni, tralasciando il congiuntivo, ormai, poverino, quasi estinto.
I letterati e gli scrittori vivono di parole, la metà vive di parole con un ordine logico e incisivo, l’altra metà possiede dei Santi in Paradiso e viene pubblicato a prescindere dalle, inquietanti, costruzioni grammaticali presenti nei loro testi ma questo, ahimè, è un triste cane che si morde la coda, non v’è soluzione. Alcuni artisti visivi, invece, hanno fatto delle parole la propria arte, nel vero senso della parola. Il gioco ridondante di termini, della frase precedente, è voluto, prima che qualcuno mi salti alla gola.
Guardiamo qualche esempio tra i più significativi e, maggiormente, inseriti, nel nostro contemporaneo:

“Tutte le arti si fondano sul lavoro manuale”, in effetti non fa una piega, la frase è ben costruita, è breve, ha un significato profondo ma conciso che riesce a rendere arte la parola stessa. Maria Lai nasce nel 1919 e muore nel 2013, lasciando un grande vuoto. Una delle sue citazioni più famose è: “Giocavo con grande serietà, a un certo punto i miei giochi li hanno chiamati arte”, come non darle ragione. Tutti gli artisti, tutti i letterati, tutti gli scrittori giocano con le parole e tutti, allo stesso modo, vorrebbero fortemente essere considerati artisti, nel loro settore, nel loro genere, ma artisti. Artista ha un significato profondo. Essere Artista significa poter dire qualcosa che venga, davvero, ascoltato e apprezzato, da molte persone, significa avere carisma, essere riusciti a convincere qulacuno di una propria peculiarità, di una propria idea. Puoi essere un artista solo se, un giorno, quando meno te lo aspetti, arriva qualcuno a dirti di averlo colpito nel profondo dell’anima e quel qualcuno va a dire ad altri quanto tu sia bravo. Il passaparola continua e tu potrai, finalmente, essere sicuro di avere un posto in quella schiera chiamata Mondo dell’Arte. Maria Lai ci è riuscita, ne aveva le capacità:

Un groviglio di muschio, alghe e licheni avvolgono le pagine di un libro fatto di stoffa. Le parole non si cancellano, si mantengono, sono lì nonostante gli anni trascorsi, metaforicamente, nel profondo degli abissi. Le parole non muoiono mai, non possono morire, continuano a vivere nella mente e nel cuore delle persone. Il loro Ordine ha un significato che continua imperterrito il suo lungo cammino, ha una meta, qualsiasi essa sia, siamo noi a doverle spianare la strada, imparando, parlando bene, comunicando bene, lasciando che la lingua continui il suo percorso come fosse un elegante linguista vestita di rosa, con i suoi guanti di seta e l’ombrellino per ripararsi dal sole e dalla pioggia. Le parole vivono, lasciamole vivere, vi prego, ogni congiuntivo sbagliato è una stilettata al Dizionario della Lingua Italiana Petrocchi, la cui prima edizione è del 1912. Il sapere, la sapienza, la saggezza, non permettiamo che ci sfuggano dalle mani, possiamo ancora salvarci dall’oblio del Grande Fratello Vip.
Un altro artista che gioca molto con le parole è Giorgio Milani:
Tutte le sue opere sono fatte di lettere, di vocaboli, più o meno leggibili, comprensibili ma, pur sempre, letterari. Le parole hanno un fascino incredibile, sia che si legga un libro, vero, sia che si guardi una rosa in cui sono racchiuse milioni di rose, milioni di parole; oppure un proprio un tomo, come il suo “Libro dei Libri”.
Non c’è che dire le parole sono arte e chi le sa usare non può che essere un artista, un uomo di sapere, un uomo buono, un uomo dai sani valori e dalle grandi prospettive. La cosa più difficile è vivere in un mondo in cui chi conosce l’Ordine delle Parole, spesso, non è compreso ne comprensibile da nessuno, diventa difficile comunicare, diventa impossibile farsi capire, diventa struggente, straziante, avvilente, frustrante, vivere nel proprio mondo fatto di belle parole ordinate, con un grande significato, raggiungibili solo da pochi eletti i quali, tra l’altro, dovranno avere la grande fortuna di incontrarsi, guardarsi e parlarsi.
Concludo con alcuni versi. Li ho scritti poco tempo fa, era il 17 Aprile 2018, racchiusa nell’assurdità di un mondo generatore di arte incomprensibile ai più. Avevo bisogno di uno sfogo. Eccolo. Non sono una poetessa, anzi un poeta, sono un’amante delle cose belle, dell’arte e di quella lingua italiana, strepitosa, con i suoi “diamine, accidenti e pofferbacco”:
“L’arte di fare arte,
Consapevole destrezza di un Ego
Potente, struggente, autorevole
Autoreferenziale. L’Arte
di fare arte;
è arte l’essenza dell’essere
tale quale sé stessi
nel mondo.
In un mondo di modo
a modo
unico.
Irripetibile alienazione mentale
Arte, emozioni, lacrime
e sangue
che scorre
nelle vene di chi ha
l’arte, con sé, per sé,
per gli altri, in misura
di una psiche sociale
Labile, instabile
Condizionata, mutilata
Manipolata nel marketing
di un sociale social,
di un locale vuoto
dai pensieri tristi,
Avvolgenti, caldi di Spes,
Speranza in un domani
che faccia dell’Arte
Solo Arte”
Arianna Forni
