“Lo scopo del lavoro è quello di guadagnarsi il tempo libero.”
(Aristotele, filosofo greco, 384/3 – 322 a.C.)
La contrapposizione tra oggettivo e soggettivo è un argomento molto difficile da interpretare, soprattutto, inserito in un contesto sociale in cui ciò che è oggettivo dovrebbe, evidentemente, trasformarsi in un corrispettivo soggettivo. Questo per dire che uniformare un pensiero comune significherebbe trasformare l’indole personale in indole di massa, ovvero estrapolare un pensiero comune di alcuni eletti, ovvero formulato da pochi, per renderlo oggettivamente giustificabile, apprezzabile e condivisibile da tutti. L’attuazione di un meccanismo radicalizzante, come questo, denoterebbe la costituzione di una società standardizzata da stereotipi e luoghi comuni, in cui il pensiero umano andrebbe a ricoprire un ruolo secondario. Si tratta di un processo negativo, volto all’impoverimento del pensiero soggettivo, diverso dal comune desiderio di un’imposizione robotica della vita quotidiana. Chi vive in modo soggettivo vive attraverso i propri occhi, chi si afferma nell’oggettiva consuetudine vive attraverso gli occhi di qualcun altro. La situazione potrebbe spaventare ma, pensandoci bene, è proprio quello che ci capita ogni giorno. La televisione ci dice cosa mangiare e quanto farlo, ci dice che l’olio di palma uccide e quindi, nonostante si sia ingerito fino al giorno precedente, ci si tiene lontani dagli alimenti contenenti questo elemento come se fossero portatori di peste. Ecco, questo significa aver reso oggettivo il pensiero di un singolo, il quale, con molta probabilità, aveva la necessità di imporre questo cliché al fine di proporre un’alternativa conveniente, non tanto ai fruitori, quanto ai venditori. Si sta creando un loop infinito all’interno del quale si può o immergersi vorticosamente senza porsi delle domande, oppure fare resistenza aggrappandosi all’unico ramoscello di pensiero personale rimasto illeso alla potatura generale e radicale. Ci stiamo arrampicando sugli specchi per trovare aria pulita e respirare da soli, senza che qualcuno ci dica dove farlo e come. Michelangelo Pistoletto ha trovato un modo per divincolarsi dalle superstizioni rese oggettive, rompendo gli specchi. Diamine, se fossi oggettiva dovrei vedere millenni di sfortune per tutti, con tutti gli specchi che ha rotto:

Mantengo un certa soggettività interpretativa e mi scanso dagli spettri di qualche specchio infranto per mostrarvi il mondo da un punto di vista diverso, personale e personalizzato. Con personale non intendo secondo il mio punto di vista, mi riferisco, più che altro, ad un punto di vista soggettivo ed individuale.
“soggettivo (ant. suggettivo) agg. [dal lat. tardo subiectivus, der. di subiectum: v. soggetto2 e cfr. subiettivo]. – 1. a. Che riguarda il soggetto, che ha fondamento nel soggetto: valore s. dei giudizî. Più specificamente, come termine della filosofia e della psicologia, qualifica sia ciò che non si può pensare esistente se non in rapporto con il pensiero, sia ciò che è tipico di un solo individuo cosciente, in opposizione a ciò che è comune a tutti gli individui.[…]”
(Vocabolario Treccani)
Posto l’accento sul termine, inserito in una dottrina filosofica e psicologica, bisogna addentrarsi nella disciplina specifica e capire, compiutamente, cosa sia un soggetto, nell’essenza soggettiva. Soggetto deriva dal latino, da sub, sotto e da iacere, gettare, nel loro insieme formano un vocabolo dal significato contrastante a ciò che riguarda il soggetto moderno, ovvero assoggettare, stare al di sotto. Nel corso del tempo il soggetto ha cambiato spesso di significato, indicando prima un sostrato accidentale, poi una peculiarità singolare, fino ai giorni nostri in cui indica, indiscutibilmente, l’essenza stessa dell’Io, la sua coscienza nella consapevolezza della presenza, individuale, all’interno di una società. Da questo concetto possiamo dedurre cosa sia soggettivo. Se il soggetto è l’Io, puro, la soggettività è il pensiero di quell’Io nella sua azione, psicologica e fisica, individuale. A questo punto, passando dal significato etimologico del termine, alla sua evoluzione, non ci resta che citare Cartesio e il suo “Cogito ergo sum”. Dire “penso quindi sono” ha un significato che, soggettivamente, può essere interpretato, spesso viene interpretato in modo errato proprio perché non se ne conosce l’origine. Cartesio non voleva, semplicemente, dire che l’essere pensante esiste, voleva esprimere una razionalità di un pensiero, condito da un ragionamento, che imponga un giudizio, personale, e uno stato dubitativo dell’Io nei confronti di ciò che gli viene proposto. Ovvero, se venisse dato per scontato che si possano mangiare le pietre sarebbe abbastanza normale che qualcuno si ponesse, almeno, il dubbio dell’effettiva saggezza di provare a masticare un sasso. Ecco, l’individuo che si sta ponendo il dubbio cogita quindi è, esiste, ha una sua dimensione. Per Cartesio il fondamento di un uomo non è la fisicità, bensì, il pensiero, il fatto di poter creare un suo ragionamento capace di condurlo in una direzione, nonostante possa essere differente rispetto a quella della restante massa. Si crea, in questo maniera, una metafisica soggettiva dove la propria coscienza viene preceduta dall’autocoscienza che è il principio con cui si viene al mondo, muniti di una coscienza a priori, come direbbe Kant, personale e inestirpabile.

L’immagine parla da sola. Una sfera gigante posta nel piano tra una scalinata e l’altra, sottopone l’individuo a un dubbio: “Resterà ferma o inizierà a rotolare?” Il dubbio è lecito, nonostante si tratti di un’opera del 2004, costruita apposta per porsi questa domanda, nessuno potrà fare a meno di restare perplesso, attonito, sconcertato, dubbioso e, in quel dubbio, esistente. Possiamo affermare che quasi tutta l’arte si fondi sul “Cogito ergo sum”, quindi sull’incertezza, sulle domande interiori, e sull’incredulità.
Ciò che è oggettivo, invece, non prevede dubbi né domande. L’oggettivo è paragonato all’oggetto, concreto e materiale, palpabile, visibile, vero, quindi inattaccabile. Se un assunto diventa oggettivo rientra, di fatto, nella consuetudine, nella normativa, nella legge. Essere oggettivo significa far parte di tutti, avere per tutti lo stesso significato, eludendo qualsiasi possibilità di interpretazione. Le regole matematiche, logiche, fisiche, tutto ciò che è scientifico appare, presumibilmente, oggettivo. 2+2 fa sempre 4 ma, spostandoci in settori della scienza più complessi, ci accorgeremo di quanto i dubbi di alcuni abbiano condotto altri alla formulazione di nuove teorie che hanno sconvolto dati, fino a quel momento, oggettivi. Questo appare più semplice, sia come ragionamento che come percezione. Ciò che si studia a scuola, elementari, medie, liceo e università che sia, è oggettivo, ovvero, se il professore vuole sentirsi dire una determinata cosa bisognerà impararla alla sua maniera al fine di conseguire il proprio risultato. Solo dopo sarà nostro dovere porci delle domande e costruire un pensiero individuale e soggettivo, grazie alla base oggettiva studiata, a fondo, in precedenza.
L’Arte ha una sua base soggettiva, nata nella mente del suo creatore, e una base oggettiva, nata dalle parole dei critici, i quali vorrebbero cercare di trovare una risposta a tutte le domande possibili, inerenti l’opera in questione, rendendole di dominio pubblico, abolendo il pensare soggettivo comune. Lo stesso viene fatto dalle istituzioni; per scopo, di una bassezza infernale, l’abnegazione del pensiero soggettivo e individuale. Creare automi, significa creare alleati fedeli, più alleati si posseggono più si è forti, non tanto in un combattimento, quanto nell’eliminazione diretta degli antagonisti. Tirando le somme di un ragionamento di questo tipo si può comprendere come e perché, spesso, l’arte viene collegata ad un pensiero politico che viene riportato dai giornali politicizzati che, a loro volta, impongono una lettura dettata dal pensiero, primordiale a priori, di chi li paga per scrivere. Un circolo vizioso senza fine a cui appare molto difficile sottrarsi.

Nel 2017, nel corso della Biennale di Venezia, Michelangelo Pistoletto ha avuto l’occasione di tenere una mostra collaterale che raccontasse il suo modo di vedere il mondo attraverso gli occhi di un’arte sociale. Raccontare la società moderna attraverso delle immagini è il sistema meno invasivo e più riflessivo possibile, permettere alle persone di ragionare attorno a opere d’arte, più o meno, incisive garantisce l’elusione di quell’essenza oggettiva, imprinting del nostro contemporaneo. Questa coppia, unita dagli sguardi e dall’intreccio delle mani potrebbe, un giorno, trasformarsi in una famiglia e avere, all’interno del loro nucleo societario ristretto, idee differenti rispetto alla massa. Il problema, e il punto di tutto questo discorso, non è semplicemente saper mantenere equilibrio tra i propri pensieri, i dubbi soggettivi e l’oggettività del mondo ma è saper vivere in un mondo oggettivo sapendo di essere, ognuno per sé, soggetto soggettivo con una sua autocoscienza, a priori.
Guardando “Cappotto 500” è normale porsi una domanda:

“Stiamo guardando un cappotto o una 500?”. Il soggetto, autocoscienzioso, saprà darsi una risposta, non è importante quale sia, è importante che, nel porsela, possa avere la libertà di scegliere cosa rispondere senza che qualcuno, dall’alto del suo potere critico, gli abbia già messo in bocca e in testa una nozione. Ad esempio, tu, che stai leggendo, cosa vedi?
Oggi abbiamo parlato dell’arte di essere, dell’arte del “Cogito ergo sum” di Cartesio, dell’Arte più difficile, quella di rimanere sé stessi all’interno di un contesto sociologico che vorrebbe imporci un pensiero univoco e comune, che ha già stabilito, a priori, delle tempistiche entro le quali, ognuno di noi, dovrebbe portare a termine degli obiettivi, per tutti uguali, senza concessioni. Chi non rientra nello standard viene considerato diverso, diverso dalla massa, non socialmente accettabile. Diverso da cosa, di grazia? Il soggetto, soggettivo, ha un cuore e un’anima che appartengono solo a sé medesimo, non si mescolano con il resto del mondo, sono unici e nella loro unicità creano. Questa facoltà non può, non deve, essere lasciata in mano solo a pochi, deve essere di tutti perché sono quei tutti che costituiscono il contesto democratico in cui stiamo vivendo. Se state pensando all’anarchia vi sbagliate. Le leggi sono uguali per tutti, lo abbiamo visto ieri (“Gli 85 giorni in cui l’Arte muore”) ma niente e nessuno vieta di avere un proprio pensiero, un proprio dubbio e un proprio tempo per metabolizzare.
“Ogni ora di tempo perduto è una probabilità di danno per l’avvenire.”
(Napoleone Bonaparte, “Pensieri Morali”)
Lo ha detto qualcuno il cui ultimo tempo l’ha trascorso in esilio per volere di qualcuno che lo avrebbe voluto assoggettato ad un volere primordiale: chinare la testa e poi soccombere.
Pensa, sii accondiscendente, ma pensa. Il dubbio e la paura salvano sempre.
Arianna Forni