“C’è uno spettacolo più grandioso del mare, ed è il cielo, c’è uno spettacolo più grandioso del cielo, ed è l’interno di un’anima.”

(Victor Hugo, “I miserabili”, vol.I, 1862)

Il cielo è arte, è fatto di arte, è fatto di natura la quale è arte di un mondo incatramato nel cemento, costretto dalla tecnologia e sporco, tanto sporco da non esserci più né lo spazio né il tempo per impegnarsi a ripulirlo. Il cielo no, il cielo è pulito, è intoccabile, inavvicinabile ma tangibile, visibile, palpabile nell’aria che ci tiene in vita e fa crescere le piante, i fiori. Il Cielo è qualcosa che vediamo in lontananza, da bambini pensiamo sia irraggiungibile, poi cresciamo e la scienza ci insegna a capirne la distanza, la costituzione, il senso e la funzione. Il Cielo cambia dal giorno alla notte, con lui, cambiamo anche noi, mutano i sentimenti, variano le sensazioni. Può scatenarci immensia gioia e tremenda depressione eppure, lui, c’è sempre. Veglia su di noi, non importa essere credenti o atei, il cielo non cambia, non svanisce, non scompare, ci fa sentire sempre a casa, protetti da una costante: l’atmosfera. Sull’atmosfera potremmo aprire un infinito dibattito. Atmosfera significa un sacco di cose, è una condizione ambientale, sociale, sociologica e emozionale ma, dal punto di vista scientifico, è quel cappotto gassoso che si trova attorno ai pianeti. Quest’ultima subisce delle variazioni, può essere stratificata, come quella della Terra, può essere intaccata in modo irreparabile a causa della nostra, non sempre sana, tecnologia. L’atmosfera fa parte di quel cielo osservato dall’albore dei tempi, ammirato nel bene e, anche nel male. Può fare paura, il cielo, può incutere timore e rispetto reverenziale, può destare sospetti, può anche terrorizzare. Il cielo sa difendersi, sa esprimersi, le sue espressioni sono, quasi sempre, in linea con l’esposizione, interiore, dei nostri sentimenti. Pioggia, tempesta, arcobaleno, sole, un continuo alternarsi di condizioni, proprio come noi continuiamo a variare la nostra predisposizione alla vita. Il Cielo fa parte di noi, come struttura protettiva, come personificazione di un amico fedele o di un acerrimo nemico, come punto di domanda costante, come fede religiosa, come oggetto di interesse, di studio, come compagno di giochi simpatico e divertente oppure antipatico e guastafeste. Il Cielo è arte e in esso, con esso e per esso, tutti gli artisti hanno fatto e dato il loro contributo.

Vincent Van Gogh e il suo “Starry Night”, del 1889, conservato al MoMA di New York è un cult, un emblema iconico del senso stretto, vivace e intenso, che il Cielo ha per l’uomo. Una notte stellata, luminosa, a volte confusa, mischiata nell’ambietanzione sottostante, influenzata e condizionata dalla luminosità delle stelle vicine, rispetto a quelle lontane, le stelle fisse. La storia legata a questo dipinto è molto potente, proprio come il cielo sa essere potente sui nostri sentimenti. Van Gogh si era reso conto delle gravi conseguenze successive alla mutilazione dell’orecchio sinistro, il 23 Dicembre 1888, e si consegnò spontaneamente al centro di recupero psichiatrico Saint-Rémy-de-Provence. Dalla sua stanza riusciva a vedere il cielo, la cosa lo tranquillizzava parecchio, gli dava sicurezza e gli faceva percepire una sorta di libertà interiore, estremamente, potente, appunto. Un giorno, poco dopo il suo ricovero, nel 1889, decise di dipingere gli attimi prima del sorgere del sole, quel momento in cui tutto si illumina, in cui Luna, Sole e Stelle possono convivere, regalandoci uno spettacolo tra i più suggestivi. Per rendere la tela ancora più incisiva decise di completarla con un fittizio villaggio sottostante, serviva a rendere tutto più vero, più umano e sincero, più vicino al mondo fuori da quell’asilo, da quell’esilio forzato. La quiete di questo quadro è impressionante, proprio come il suo stile post-impressionista e credo che queste due terzine dantesche, dell’VIII Canto del Paradiso possano rendere merito alla meraviglia e allo stupore provato nell’osservazione di una delle opere maggiormente riconosciute nella cultura occidentale:

“[…]Noi ci volgiam coi principi celesti
d’un giro e d’un girare e d’una sete,
ai quali tu del mondo già dicesti:

Voi che ‘ntendendo il terzo ciel movete’;
e sem sì pien d’amor, che, per piacerti,
non fia men dolce un poco di quiete».”        

(Dante Alighieri, “Divina Commedia”, Paradiso VIII, vv. 34-39)

Un fotografo moderno, Alex Ruiz, un professionista della tecnologia digitale, ha provato a ricreare un’immagine, digitale appunto, che possa mostrarci quale potesse essere la situazione in cui Van Gogh avrebbe dovuto trovarsi durante l’esecuzione della sua opera. Conoscendo la storia, i retroscena drammatici di quel ricovero, sappiamo non essere credibile ma, allo stesso tempo, riusciamo a renderci conto di cosa sia possibile creare con l’avanzamento tecnologico. Oggigiorno è possibile dare vita a qualsiasi cosa, verosimile o meno che sia. Possiamo far apparire scenografie accattivanti ma non saremo mai in grado di riportare alla luce la mano di Van Gogh, quelle pennellate sicure, quell’emozione nata dal suo cuore, dalla sua anima, dal suo desiderio di tornare libero, dal male di sé stesso, dalle mura di quel ricovero.

Van Gogh Digital Art - Starry Night by Alex Ruiz - da Fine Art America
Van Gogh Digital Art – Starry Night by Alex Ruiz – da Fine Art America

Alex Ruiz ha fatto, di uno studio scientifico tecnologico, un nuovo modo di generare immagini avvincenti, ha dato vita ad un fattore spettacolo diverso, forse, sufficientemente, incisivo per far parlare di sé. Restano, sempre, immagini, digitali, prive di quell’anima emozionale tipica dell’artista vero, quello che lavora con le mani, quello che dipinge con la sua anima, quello che mette in pratica degli studi approfonditi ma, poi, sa mutarne la combinazione, giungendo alla produzione di capolavori mai visti, né prima né dopo. L’artista si sporca le mani con i colori, si stanca fisicamente e mentalmente. L’artista gioca con la sua arte, sperimenta, crea e non smette finché non è appagato dal risultato. La tecnologia fa da sé, basta dirle cosa fare e lei fa, se il risultato non ci piace cancelliamo tutto e ricominciamo da capo, i tempi si restringono e le prove possono diventare milioni e milioni. “Starry Night” di Van Gogh è una sola, chissà quante pennellate avrà dato prima di giungere a questo, chissà se ne era, veramente, soddisfatto o, tra sé e sé, aveva pensato che avrebbe potuto fare meglio. Chissà.

Non è l’unico cielo degno di nota:

tardogotica cappella di San Biagio nella Cattedrale di Toledo - da Didatticarte
tardogotica cappella di San Biagio nella Cattedrale di Toledo – da Didatticarte

La Cappella di San Biagio, nella Cattedrale di Toledo è un esempio fenomenale. Costruita nel 1226, durante il regno di Ferdinando III, è un capolavoro di stile gotico e questo cielo, beh, è proprio il Cielo, quello religioso, quello legato alla fede, quello che illumina il mondo e porta grande conforto. Infondo, questo è ciò che il Cielo dovrebbe fare, dare conforto ai popoli, rassicurare, farci sentire parte di un Universo globale. Ormai sappiamo che oltre ciò che possiamo vedere c’è dell’altro ma, nonostante tutti gli studi fatti, siamo ancora fermi al palo, con le nostre domande esistenziali, con la nostra incapacità di dare un senso all’infinito. Il Cielo è l’infinito, nello spazio e nel tempo, noi non siamo niente e nessuno per poterne dare spiegazione, ci limitiamo ad osservare, gli studiosi studiano e gli astronauti perlustrano, nei limiti del possibile, nei limiti concessi dalla nostra tecnologia attuale. Anche questo è arte, arte di sapere che, domani, forse dopo, scopriremo dell’altro, faremo altre valutazioni e, nell’immaginario fantascientifico, riusciremo anche a darci quelle risposte tanto bramate sebbene prive di un raffronto tangibile. Intanto guardiamo in alto e ci lasciamo trascinare da meravigliosi pensieri o terribili angoscie.

Karl Friedrich Schinkel, nel 1815, in onore del Flauto Magico di Mozart dipinse il fondale del Palazzo della Regina della Notte:

Salone delle stelle nel palazzo della Regina della Notte, Karl Friedrich Schinkel, 1815 per il Flauto Magico di Mozart - da Didatticarte
Salone delle stelle nel palazzo della Regina della Notte, Karl Friedrich Schinkel, 1815 per il Flauto Magico di Mozart – da Didatticarte

I richiami religiosi sono presenti anche in questo caso ma vorrei soffermarmi sul posizionamento delle stelle. Le stelle fisse sono, ed erano, anche per Dante un enigma incredibile, lo sono anche per noi nonostante, qualcuno, ci abbia dato delle logiche spiegazioni in merito. Le stelle fisse sono quelle lontane, talmente lontane da non cambiare mai la loro posizione, ai nostri occhi, sono quelle che ci appaiono sempre uguali, che non mutano mai. Eppure, ormai si sa, cambiano eccome, nascono, vivono e muoiono, proprio come noi, ma sarà quasi impossibile, per noi comuni mortali, vedere il loro ciclo vitale, noi che osserviamo un cielo sempre uguale, noi che riconosciamo dei punti fermi, nelle costellazioni, le stesse con cui si orientavano nella più remota antichità. Quelle stelle sanno tutto dell’uomo, sanno tutto di questa Terra e sapranno tutto anche della Terra futura.

Sono stelle sapienti, sagge, che potrebbero rivelarci tutto, darci tutte le risposte che cerchiamo ma non parlano, o per lo meno, non sappiamo capire la loro lingua, non le conosciamo a sufficienza per entrare in confidenza e farci spiegare. Sarebbe così bello, sarebbe così fantastico e fantascientifico; una rivelazione. Siamo pronti per questo? Non siamo pronti, nemmeno, per regolamentare il nostro Pianeta secondo delle leggi consone ad una vita pacifica, figuriamoci scoprire gli arcani e parlare di futuro. Meglio restare nell’ignoranza e nell’incertezza, manteniamoci sull’attenti, forse, almeno questo, risulta utile a preservarci. Non si sa mai, un giorno, quelle stesse stelle, troveranno un punto di incontro con questo mondo e, chissà, quel giorno, l’uomo, sarà, finalmente, pronto alla sapienza e, la luce parlerà e noi, del futuro, saremo in grado di capire. L’arte è anche questo: saper attendere.

“Che cos’è il cielo? Dove si trova? Il cielo non si trova né sopra né sotto, né a destra né a sinistra; il cielo è esattamente nel centro del petto dell’uomo che ha fede”

(Salvador Dalí)

Arianna Forni

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