“La curiosità non è peccato, Harry, ma dovresti esercitare cautela.”
(Albus Silente, “Harry Potter e il calice di fuoco”, dal film del 2005)
La curiosità muove il mondo, muove l’universo e, perché no, muove anche le stelle. La curiosità, in realtà, senza voler esagerare con l’enfasi filosofica e poetica, spinge l’uomo verso il futuro, oppure lo fa precipitare, proprio come Icaro. Il Sole brucia, non c’è bisogno di andare a verificare, eppure lui lo ha fatto, ha scelto di perlustrare una zona luminosa ma oscura alla conoscenza umana, ha sbagliato e ne ha pagato le conseguenze. Spingersi troppo oltre, con avida curiosità, non può che arrecarci danno. Mantenere salda la mente, scegliere con cura cosa osservare, dove andare, è saggezza, è cautela. Il mito di Pandora ci insegna tante cose ed è da qui che desidero partire, dal desiderio umano, e inumano al tempo stesso, di volere, a tutti i costi, fare qualcosa pur sapendo di incorrere in un dramma preannunciato. Non siamo capaci di stare fermi, non riusciamo ad avere la compostezza, elegante, di uno spirito libero, nel mantenimento del suo equilibrio, in accordo con alcune richieste, basilari, fatte da altri per preservarci e preservare una generale stabilità. Pandora è stata la prima mortale creata da Efesto su richiesta di Zeus. Una donna normale, divina nella nascita ma mortale nel corpo, un miscuglio inspiegabile, incomprensibile ma molto educativo. Il poema di Esiodo, intitolato “Le opere e i giorni” narra una lunga storia di Dei e di mortali, di doni e di avidità, di curiosità estrema, la sola che spezzò l’incantesimo dell’immortalità terrena, della serenità, della bellezza interiore ed esteriore, della pace costante e dell’amore incondizionato. Zeus, prima di Pandora, aveva creato Prometeo, forgiato dalla terra e dalla pioggia, infuso di astuzia, forza inimmaginabile, fiera timidezza e grande ambizione, per dargli vita aveva usato la potenza del fuoco che, mai, sarebbe dovuto scendere sulla Terra, restando un bene, esclusivo, degli Dei. Prometeo, curioso, sprezzante e avido non riuscì a contenere la sua tentazione e rubò il fuoco.

Zeus, privo di comprensione nei riguardi di Prometeo, una sua creatura, gli scagliò addosso una tremenda maledizione incatenandolo sul Caucaso dove, ogni giorno, avrebbe assistito all’arrivo di un’aquila, malefica, che gli avrebbe mangiato il fegato, tra atroci sofferenze. L’organo si sarebbe sempre rigenerato per prolungare il suo dolore, per essere l’emblema della stupidità umana, per insegnare ai posteri ad essere ubbidienti, a limitarsi nella propria curiosità. Cautela e saggezza, prima di tutto.

A questo punto nacque la giovane Pandora, forgiata da Efesto, dotata di tutte le qualità che vorrebbe una donna, di ieri e di oggi. Bella, ricca di virtù, astuta, molto abile, graziosa ed elegante, intelligente, una creatura apparentemente perfetta a cui Zeus fece un dono speciale. Le regalò un vaso, chiuso in modo quasi ermetico, affascinante soprattutto per il giuramento che le venne richiesto. Pandora avrebbe dovuto conservarlo per sempre senza mai aprirlo. Zeus non le spiegò la ragione di questo gesto, non le disse, nemmeno, il motivo per il quale fosse, assolutamente, vietato guardare al suo interno. Pandora strinse questo patto, sicura di potercela fare, non c’era niente di cui preoccuparsi, si trattava solo di un vaso, di un semplice contenitore, a chi sarebbe mai importato conoscerne il contenuto? Passò del tempo, non molto e, lei, mangiata dalla curiosità si lasciò andare, probabilmente pensò alle parole di Zeus, pensò anche a quante cose, meravigliose, le fossero state donate senza volere niente in cambio se non quel piccolo sforzo. Non le fu possibile.

La curiosità era più forte di lei, nonostante la sua intelligenza, la sua grazia, l’eleganza nei movimenti e la sua innegabile astuzia si fece imbambolare dalla curiosità. Nulla sa essere più forte del sentimento bramoso di voler sapere tutto, di voler guardare negli anfratti più misteriosi, a maggior ragione se ci è stato vietato. Da sola, rifletteva, chissà su cosa si stesse concentrando, in quel momento niente era più importante di sapere cosa contenesse quel vaso. Lo aprì e fu la fine di tutta la meraviglia di quella Terra voluta da Zeus, era perfetta. Dal vaso uscirono tutti i peccati e le malvagità più atroci, uscirono i vizi, la cattiveria umana, la pazzia, il dolore e la sofferenza, la vecchiaia che distrusse l’immortalità, la gelosia, non c’era più niente da fare. Pandora provò a richiudere il vaso, provò a ricacciare dentro quegli spiriti maligni ma agli errori, spesso, non v’è rimedio. Chiuse il vaso il più in fretta possibile, sul fondo rimase solo un ultima cosa: la speranza. Lo lasciò chiuso, per un po’, poi decise di riaprirlo con la consapevolezza di aver già compiuto il danno più grave. La speranza prese il volo entrando nello spirito degli uomini ormai mortali, fu l’unico gesto positivo in quell’abominio causato, solo ed esclusivamente, dalla sua curiosità, priva di cautela. Il mondo di oggi, in effetti, sembra costruito su queste basi, pensare che Esiodo visse tra la fine dell’VIII e del VII secolo a.C.

La curiosità è molto comprensibile nei bambini, anche negli adolescenti, più si avvicinano al mondo, vero, e più vogliono farsi trovare preparati. Fanno domande in continuazione, girano senza sosta con l’energia e la vitalità di chi ha la necessità di scoprire qualcosa che gli permetta di crescere prima degli altri, di potersi distinguere in un mondo di automi governati dalla paura. Altresì, sono convinta di una cosa, non è così importante conoscere tutto e sbirciare dentro qualsiasi mistero, non è così importante addentrarsi nell’ignoto, è importante, invece, essere pronti, preparati e perfettamente istruiti riguardo a poche cose, indispensabili, che ci permettano di costruire un nostro percorso individuale caratterizzato da una partitura personalizzata. Tutti possono scrivere, tutti possono cantare, tutti possono suonare uno strumento ma solo qualcuno riuscirà ad emergere nel gran caos che ci circonda. Purtroppo, risultano sempre importanti i Santi in Paradiso ma non escludo la possibilità di farsi conoscere, solo, in base alle proprie conoscenze, in base a dei meriti, veri, quelli ottenuti sul campo. Sembra una battaglia, in effetti lo è, basta avere le armi giuste con cui combattere e si avranno anche le soddisfazioni sperate. La prima arma? Beh, l’insistenza, la caparbietà, lo stacanovismo, l’estrema fiducia in sé stessi e il governo, saggio, della propria curiosità, del proprio equilibrio.
“In bilico
tra santi e falsi dei
sorretto da un’insensata voglia di equilibrio
e resto qui
sul filo di un rasoio
ad asciugar parole
che oggi ho steso e mai dirò”
(Negramaro, “Estate”, 2005)
Nessuno di noi vorrebbe finire come Prometeo, distrutto da quella sua avidità inutile. Aveva tutto, gli era stato donato tutto ciò che un uomo potesse desiderare. Tutto. Eppure non gli è bastato, voleva di più, voleva il fuoco, voleva il simbolo della potenza degli Dei che lo avevano generato perché non gli era sufficiente essere sé stesso, aveva bisogno di avere qualcosa che lo distinguesse, ulteriormente, dal paragone che aveva con l’immagine di sé. Il fuoco arde, brucia, può far male, bisogna essere in grado di tenerlo a bada altrimenti si rischia il disastro ma a lui non interessava, voleva solo farsi beffa di chi gli aveva dato una vita perfetta, voleva dimostrare di essere più furbo. L’ha pagata cara:

Chi l’avrebbe mai detto? Probabilmente, tutti, guardando la storia dall’esterno avrebbero avuto almeno il sospetto di questo esito nefasto ma, pensiamoci bene, noi non saremmo stati incuriositi da quel fuoco divino?
Con l’avanzare dell’età si impara a mantenere la calma, si apprende cosa sia giusto e cosa, invece, non lo possa essere, eppure si continua a cadere negli stessi errori, ci si guarda allo specchio dandosi degli stupidi, con la consapevolezza di andare incontro ad altri sbagli, ad altre sberle, ad altre cadute. Di cosa siamo fatti? Non certo della sostanza immortale degli Dei che forgiarono Prometeo e Pandora, noi siamo fatti degli stessi difetti sia dell’uno che dell’altro, l’unica consolazione è non incorrere in punizioni tanto atroci, finché rimaniamo in vita possiamo stare, quasi, sereni, per il dopo possiamo affidarci alla fede oppure alla “Divina Commedia”. Nel secondo caso non so quanti di noi siano proprio così sicuri di non fare, almeno, un breve transito dal Purgatorio.
Consoliamoci con la Speranza, l’unica personificazione che Zeus aveva lasciato in quel vaso orribile, meno male che la curiosità di Pandora non si sia sentita appagata aprendo il vaso una volta soltanto.
“Senza la speranza è impossibile trovare l’insperato.”
(Eraclito, “Sulla Natura”)
Arianna Forni

Molto bello questo racconto di miti. In fondo, qualcosa di simile accadde nell’Eden, con la proibizione, da parte di Dio, di mangiare i frutti dell’albero della conoscenza del bene e del male. Anche qui giocano tanti elementi, tra cui la curiosità.
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