“Questo ragazzo della via gluck
Si divertiva a giocare con me
Ma un giorno disse
Vado in città”
(Adriano Celentano, “Il ragazzo della via Gluck”, 1966)
Siamo davanti ad un grande cambiamento, epocale, un nuovo momento in cui sta per iniziare qualcosa di nuovo e, di conseguenza, sta per finire qualcosa di, ormai, obsoleto. Il cambiamento siamo noi e il nostro modo di porci nei confronti del tempo, dello spazio che ci circonda, del prossimo, di noi stessi e dell’ambiente circostante, della vita generata da questa Terra, dalle condizioni climatiche e spirituali. Il desiderio dell’uomo è sempre stato quello di spingersi verso le novità, verso la rivoluzione delle proprie abitudini, del proprio stile di vita. L’uomo ha paura ma, nonostante questo, brama per un cambiamento. Si ricerca una scalata sociale che possa migliorare il nostro status e quello di coloro a cui teniamo in modo particolare, genitori, figli, parenti, amici intimi. Siamo i soliti animali sociali e, oggi, vorrei guardarci così, come gente capace di convivere nonostante le avversità, come persone buone, positive, ambiziose e dedite alla costruzione e non alla distruzione, perdurante, di quanto costruito da altri. Per cambiare bisogna sapere, prima di tutto, dove vogliamo arrivare e come vogliamo arrivarci. Siamo dotati di un cervello pensante, di un Q.I., più o meno sviluppato ma abbiamo tutti un cuore e un’anima, abbiamo tutti la possibilità di imparare ad essere sensibili ed è con quella sensibilità che potremmo cambiare il mondo, non tutto, almeno il nostro. Le mani di Lorenzo Quinn sono la dimostrazione della coerenza con cui, certi individui, riescono, ancora, ad osservare il nostro pianeta, le nostre città, con l’inevitabile declino causato dall’incompetenza umana, dalla mancanza di responsabilità nei confronti del nostro presente e del nostro glorioso passato:

Queste mani emergono dall’acqua, nel corso della 74esima Biennale di Venezia, per sorreggere gli edifici, i palazzi storici e le persone che abitano la città, con esse, la metafora indica un sostegno globale, rivolto al mondo intero. Sono le mani che aiutano a trovare equilibrio tra il clima, modificato dalle nostre stregonerie tecnologiche, e l’evoluzione stessa. Sono un simbolo, mi chiedo in quanti ne abbiano compreso il significato. Si ritorna, ancora una volta, al desiderio di cambiare, di guardare avanti con fiducia e speranza, con motivazione, con lucidità e convinzione; le cose possono trasformarsi e restituirci ciò che ci spetta: un Paese solido, un modo equilibrato, un Governo plasmabile, in base alle necessità, ma fermo sulle sue forti basi date dalla nostra storia. Possiamo cambiare, avanzare, migliorare solo stabilendo una connessione forte tra l’essere plasmabili pur restando fedeli agli ideali, fondamenta di un mondo forte in cui, per prima cosa, sarebbe importante cercare e trovare affidabilità.
Barbossa: “Quindi tu pensi di lasciarmi su una spiaggia con nient’altro che un nome e la tua parola che è il nome che cerco, mentre io ti guardo andare via sulla mia nave?”
Jack: “No. Io penso sì, di lasciarti su una spiaggia. Ma senza alcun nome, mentre tu mi guardi andare via sulla MIA nave. E allora ti urlerò il nome, ma da lontano. Comprendi?”
Barbossa: “Ma resta ancora il problema che mi lasceresti su una spiaggia con nient’altro che un nome e la tua parola che è il nome che sto cercando”
Jack: “Tra noi due, non sono stato io quello che ha pensato di ammutinarsi. Perciò è la mia parola quella più affidabile”
(“La maledizione della prima Luna”, Barbossa interpretato da Geoffrey Rush, Jack Sparrow interpretato da Jonny Depp, 2003)

Eppure, quanti sono gli ammutinati? Quanti? Quali? Chi? Perché? Possiamo fidarci di un ammutinato? No, certo che no, non lo ha fatto Jack Sparrow, non vedo proprio il motivo per cui dovremmo farlo noi. Si ritorna alle origini del nostro mondo evoluto, si torna al principio della svolta tecnologica, del Movimento Futurista, dell’intromissione e la contaminazione degli stili artistici, architettonici, cinematografici, ci si guarda alle spalle, non per controllare le pugnalate in arrivo, per quelle non c’è nulla da fare, ma per scoprire cosa ci abbia resi ciò che siamo, quale sia, veramente, il nostro scopo sulla Terra. Dobbiamo mantenere equilibrio, dare per avere, creare interscambi globali e globalizzati, non chiuderci in casa e aspettare l’Apocalisse. Non basta, però, dare il contentino, quel nome che Barbossa vorrebbe sapere, del quale non avrà mai la certezza che sia proprio quello che sta cercando e, pur con questo dubbio, riflette, discute, si lascia intortare dal pirata buono, colui che cerca un tesoro diverso da quello fatto di dobloni. Vale la pena lasciarsi abbandonare su di un’isola deserta con niente in mano, vane possibilità di uscirne e solo un nome? Può darsi, dipende dai propri punti di vista, ma non solo:
“Io sono un disonesto, e da un disonesto puoi sempre aspettarti che sia un disonesto, onestamente e dagli onesti che devi guardarti perché non puoi mai prevedere, quando faranno qualcosa di incredibilmente…stupido!”
(“La maledizione della prima Luna”, Jack Sparrow interpretato da Jonny Depp, 2003)
Questo è un film che va ascoltato molto attentamente, bisognerebbe riuscire a non focalizzarsi sugli effetti speciali, concentrarsi solo sulle battute. C’è molto da imparare, c’è molto su cui riflettere. I protagonisti, non solo loro, tutti i personaggi, sono alla ricerca di un cambiamento, tutto è una metafora viva e vivida del mondo in cui abitiamo. Alla fine la scampano sempre i buoni, alla fine, in questo contesto, ci si accorge di quanto, anche, i cattivi abbiano un cuore, pur nelle loro lotte, nelle aspre battaglie, nelle battute pungenti. Siamo noi, noi in un mondo di pirati, è sempre meglio del mondo di squali, o meglio di volpi, alla “The Walf of Wall Street”, interpretato da Leonardo di Caprio nel 2014. Poi, però, c’è un artista, contemporaneo, giovane, sicuro di sé che ha inventato un modo strategico per far parlare di sé e guardare avanti, proprio verso il cambiamento. Non è, così, immediato da comprendere ma, infondo, trasforma l’arte moderna in immediatezza, in lampi di luce nel mondo di cemento, di drammatiche trasformazioni climatiche, in cui stiamo vivendo. Lui è Sean Yoro, colui che riesce a dipingere volti umani nei luoghi più impensabili:

Il suo scopo? Dimostrare che l’uomo è ovunque, che l’uomo è l’artefice dello scioglimento dei ghiacci e dell’inquinamento atmosferico, delle costruzioni opprimenti che danneggiano la natura e soffocano l’ossigeno. I suoi volti, spesso, sembrano galleggiare nell’acqua, alla ricerca di respiro prima di essere definitivamente sommersi, distrutti, morti.

Sean Yoro ha origini hawaiane ma vive a New York, ha rivoluzionato il concetto di Street Art. Si fa chiamare Hula, cresciuto in mezzo alla natura e all’oceano, ha una netta predilezione per l’acqua. Attraverso i suoi murales, al limite del respiro, cerca di trasmettere la necessità di preoccuparsi di mantenere viva la nostra terra e tutti i suoi elementi. Lavora in piedi su una tavola da surf, gli permette di avere una posizione ideale per realizzare le sue opere a pastelli, destinate a morire, affogate dalla stessa acqua che le rende tanto avvincenti.

Trovo che sia un metodo davvero incisivo, colpisce il cuore e va dritto al punto: cosa stiamo facendo? Sappiamo di vivere in un mondo in cui vige lo spreco, a tutti i livelli, in tutti gli ambienti. Yoro si sta chiedendo, e ci sta chiedendo, se non pensiamo, anche noi, di essere giunti al limitare massimo, oltre il quale si possa, davvero, solo affogare.
“Voglio andare a vivere in campagna – voglio la rugiada che mi bagna – ma vivo qui in città, e non mi piace più – in questo traffico bestiale – la solitudine ti assale e ti butta giù”
(Toto Cutugno, “Voglio andare a vivere in campagna”, 1995)
I compromessi sono sempre, da sempre, la soluzione migliore ma sono, terribilmente, difficili da trovare. Non è facile rinunciare a qualcosa a cui siamo abituati, non è facile, nemmeno, capire a cosa dovremmo rinunciare. Forse ci servirebbe una mano, un aiuto e una compartecipazione mondiale, volta alla buona riuscita di questo cambiamento. Potremmo rendere il futuro della terra migliore, darle, e darci, una maggiore longevità. Bisognerebbe provare, sta di fatto che nessuno, fino ad ora, si sia impegnato per stabilire, almeno, un buon punto di partenza.
Arianna Forni
