“Se oggi vado a letto non avendo fatto niente di nuovo rispetto a ieri, allora oggi è stato sprecato.”
(Bill Gates)
Mai sprecare il proprio tempo, dovrebbe essere una buona regola, un must, per ognuno di noi. Bisognerebbe, davvero, come nella citazione di Bill Gates, fare ogni giorno qualcosa di nuovo, reinventarsi, scoprire il mondo, guardare avanti e costruire. Per fare qualcosa di diverso bisogna avere attitudine al cambiamento, non ce la insegna nessuno, si tratta di una sfaccettatura caratteriale insita nel cuore di alcuni e, totalmente, assente nel cuore di altri. L’attitudine è una capacità, fondamentale e imprescindibile, per affacciarsi alla vita, con speranza, con coscienza, con consapevolezza e con una buona dose di adattabilità. Bisogna saper emergere nell’emergenza, ovvero bisogna saper trovare qualcosa che possa colpire il proprio intimo e quello di chi ci sta guardando, per poterci avvicinare a noi stessi e a loro. Creare attorno al proprio modo di essere un continuo cambiamento, adattabile, plasmabile, stabile ma, verosimilmente, camaleontico pur restando tipico nella sua unicità. In un contesto come il nostro, quello in cui stiamo vivendo attualmente, appare indiscutibile la necessità di reinventarsi, trovare quel qualcosa che possa aiutarci a mostrare ciò che siamo, ciò che siamo in grado di fare e ciò che vorremmo, veramente, con tutto noi stessi. Non è facile, no, non lo è, non lo è mai stato ma, da qualche parte, bisogna pur iniziare e noi vogliamo farlo da qui, da dove ci troviamo, sappiamo cosa potrebbe succedere, conosciamo la cattiveria della gente, sappiamo che potrebbero arrivarci tante parole cattive, forti, spesso talmente affilate da non riuscire ad evitare qualche taglio, profondo. Non molliamo, andiamo avanti perché è solo così che si potranno conoscere le novità e dare alla luce quelle idee capaci di renderci ancora più unici di quello siamo. L’arte, in tutte le sue forme, è una delle prime espressioni di cambiamento, racconta la storia del mondo contemporaneo in cui si vive ed esprime dei sentimenti, spesso comuni a tutti, spesso in disaccordo, quasi fossero provocazioni. Non è affatto un dilemma, l’arte si osserva, chi vuol capire non avrà alcun problema, per gli altri non si può fare molto, esiste il libero arbitrio, nonostante, alle volte, potrebbe essere meglio limitarlo ai ben pensanti. Il problema dell’arte, del nostro contemporaneo, è l’assenza di una vera e forte identità, sia di pensiero che di parola. Non esiste una connotazione che racconti il nostro mondo con un’unica definizione, univoca, chiara, leggibile e comprensibile. Viviamo su di un pianeta che per ognuno è ed ha qualcosa di diverso. Non siamo sulla stessa barca, come si suol dire, siamo su tante barche diverse e questo comporta, oltre alla sofferenza della solitudine di massa, una visione dissociata del contesto in cui stiamo abitando. La conseguenza è un proliferare di artisti emergenti che osservano, vedono, guardano e si concentrano su cose differenti, dando luce a qualcosa piuttosto che a qualcosa d’altro oppure, cosa peggiore in assoluto, buttando su una tela una pseudo idea che, potrebbe anche essere piacevole alla vista, ma è priva di significato. Vendono fumo, vendono colori, pennellate date a casaccio senza una base di partenza solida. Beh, credo saremo tutti d’accordo, cosa c’è di solido al giorno d’oggi? Niente. Non sono più solide nemmeno le famiglie, figuriamoci i punti di vista, gli ideali e i sentimenti. Nemmeno le emozioni hanno più valore, si gioca molto sull’equivoco e si va avanti seguendo un’orda di falsi d’autore, con riferimento netto verso le persone più che le opere d’arte, un’ondata di mistificazione dell’ego di qualcuno che verrà distrutto dall’ego di un altro che subirà la stessa sorte, poco dopo. Ma chi diavolo siamo diventati? Non c’è più nulla, non ci sono più le basi, ci manca tutto; ci manca la cultura per accettare di vivere accanto ad altre persone, le quali, a loro volta, abitano sul nostro stesso pianeta e potrebbero pensarla differentemente da noi. Siamo in guerra, anche, senza spararci addosso con le armi, lo facciamo con le parole, è molto peggio. Lo chiedo anche a voi: chi siete? Chi pensate di essere? Cosa vorreste far credere agli altri, di voi? A volte si ha paura, anche, di rispondere a queste domande. A volte è più semplice far finta di nulla, camminare sguardo a terra e mani in tasca, oppure sprezzanti del pericolo e menefreghisti. Non esistono le vie di mezzo perché non esiste la base su cui mantenersi sereni, né noi, né gli altri nei nostri confronti, né tra di loro. Si fa fatica a vivere così. Siamo un popolo terrificante, bello, raramente, e orrende in svariate occasioni. Gli artisti seguono quell’onda e provano a fare qualcosa di nuovo, spesso di accademico, ma, davvero, ne esistono pochi, troppo pochi, in grado di passare un messaggio, gli altri producono arte, se così possiamo chiamarla. Non ne sono nemmeno tanto convinta, arte è creazione di un’emozione, ci vuole un cuore per poterlo fare, ormai si ricercano solo i soldi e la notorietà. Per carità, nessuno me ne voglia, sono bravi, bravissimi, ma un filino vuoti, è questo il problema.
Cui Jie, artista nel 1983, di soli 35 anni, sta interpretando il suo mondo futuristico secondo i suoi occhi e quelli del suo sponsor e sostenitore, Leo Xu Projects. Cinese di nascita, a Shanghai dove continuerà la sua vita ottenendo una, importante, laurea all’Accademia Cinese di Belle Arti. I risultati delle sue tele sono accattivanti ma totalmente asettici, piatti, privi di emozioni, senza anima, senza sentimenti. Niente. Vi lascio osservare:

L’impressione è quella di un ulteriore futurismo, della necessità di creare altro che possa ancora stupirci, che riesca a farci guardare avanti, che ci regali delle novità utili ad un’ulteriore facilitazione di vita e, perché no, anche piacevoli alla vista. Eppure non sembra un’opera d’arte, sembra un progetto ingegneristico, sembra lo schizzo per un plastico, sembra tutto fuorché un’opera d’arte, è così per tutta la sua produzione, molto ampia, nonostante la giovane età, ma sempre uguale a sé stessa:

Non trovo differenze, a parte il colore delle pareti e qualche piccolo dettaglio. La ragazza disegna bene ma non c’è pathos, non c’è partecipazione emotiva, non c’è coinvolgimento del pubblico, c’è solo bravura accademica, alla fine non resta niente se non un bel quadretto che, per altro, non appenderei in camera mia e nemmeno in soggiorno. Brava, bravissima, forse qualcuno apprezzerà le sue tele più di qualsiasi altra cosa al mondo ma non credo che verranno mai annoverate tra le novità più rivoluzionarie dei nostri tempi, anzi, forse, il concetto potrebbe risultare un po’ obsoleto.
Altra pittrice contemporanea è Claire Moog, di cui trovate una tela in apertura di questo articolo. Bravissima, anche lei, dal tocco delicato, meno incisiva e definita della Jie. Floreale, con un ottimo utilizzo dei colori ma poi?

Poi, per carità, si potrebbe pensare di appendere sulle pareti di una casa marittima una di queste divertenti tele, quasi rilassanti ma senza un concetto, potente, di base. Ripeto, brava, bravissima, anche lei, ma senza anima. Sono quegli artisti che farebbero di tutto per farsi chiamare artisti senza esserlo, nemmeno per sbaglio. Non voglio fare la criticona ma mi pare evidente. Non serve nemmeno fare dei paragoni, posso solo dire: vi ricordate i girasoli di Van Gogh? Mi pare non sia necessario aggiungere ulteriori dettagli e nemmeno fare altri commenti. Cara Moog mi sa che ti manca qualcosa, questa non è novità, è ricerca di una novità che sbatte contro il muro rompendosi la testa.
Oggi ne ho per tutti, vogliamo parlare di Rhys Coren? Considerato un altro tra i più influenti artisti contemporanei sulla scena attuale, insieme alle due precedentemente mostrate:

Sono perplessa; e voi? Questo psichedelico insieme di forme geometriche ha un non so che di digitale, ripetitivo e nemmeno troppo accademico. Privo di tutto, anche dello studio, almeno nelle opere della Moog e della Jie emerge, in modo assoluto, lo studio universitario approfondito accuratamente: qui? No, qui no; adesso mi metto a dipingere anche io, potrei stupirvi, dico sul serio.

Dai, dai, dai, torniamo, proprio, all’arte cinetica mistificando l’uso dei colori, estrapolando da un concetto serio qualcosa di, quasi, comico. Torniamo indietro invece di andare avanti. Bella idea, sicuramente, però basta, l’abbiamo già vista, in altre forme ed altri colori ma è già vista, tra l’altro, in precedenza, le tele di questo genere avevano un fortissimo senso sociale e sociologico, erano viste, osservate e vissute nel profondo. Questa è solo una tela con una striscia arcobaleno, spezzata, spaccata e incompleta. Mah. Sono scettica, forse troppo, ma a me tutto questo non dice niente, io vorrei tornare indietro nel tempo, almeno fino ai primissimi anni Novanta del Novecento, quando gli artisti, quelli veri, avevano qualcosa da dire e, sia che lo dicessero con effetti meravigliosi, sia che lo facessero attraverso quadri scioccanti, parlavano al pubblico, al cuore del pubblico. Questa roba: cos’è? Ma la vendono?
Tutto questo non lo dico per denigrare l’impegno di questi giovani, dalle grandi aspettative, lo dico per affermare quanto sarebbe importante trovare delle novità e portarle agli occhi del mondo. Devono essere novità vere, sincere, profonde, attive e attiviste, devono avere un cuore e un’anima, ecco tutto. Queste sono copie, di copie, di altre copie ricopiate da idee di altri, già viste, già approfondite, già sviscerate e per nulla interessanti. Sono ripetizioni con modifiche ad hoc in modo da rendere unica e originale una tela piatta, scarna e asettica, come l’ingresso di un Ospedale. Ugo Foscolo ci spiega molto bene cosa sia una novità ed è così che vorrei guardare l’arte di oggi.
“L’arte non consiste nel rappresentare cose nuove, bensì nel rappresentarle con novità.”
(Ugo Foscolo)
Arianna Forni