“Almost heaven, West Virginia
Blue ridge mountains, Shenandoah river
Life is old there, older than the trees
Younger than the mountains, blowing like a breeze
Country roads, take me home
To the place I belong
West Virginia
Mountain mamma, take me home
Country roads”
(John Denver, “Take Me Home, Country Roads” 1971)
Punto primo, bisognerebbe identificare il senso, stretto, di casa, punto secondo, bisognerebbe stabilire cosa sia, per noi, la casa. Dovremmo capire cos’abbia di, così, importante e, soprattutto, perché si abbia, sempre, il naturale desiderio di tornarci, di rifocillarsi, di stendersi sul proprio divano, camminare sul proprio pavimento e vedere le persone che hanno contribuito a costruire quel luogo magico. Sono le persone a rendere casa una semplice casa, sono i sentimenti, è l’amore verso chi ci abita, ovunque essa sia, qualsiasi cosa sia. Vecchia strada di campagna, portami a casa, aiutami a ritrovare la via, riconduci la mia mente, le mie membra, il mio spirito e il mio corpo dove ho le mie radici, solo così potrò trovare la forza di andare avanti. Ecco, questo è il punto. Ci si allontana, alcuni scappano, altri ricercano, con consapevolezza, un allontanamento, dal nido, per avere maggiore indipendenza, per sentirsi liberi.
“Liberi liberi siamo noi
Però liberi da che cosa
Chissà cos’è, chissà cos’è”
(Vasco Rossi, “Liberi..liberi”, 1988)
Già, liberi da cosa e chissà perché. Liberi di muoversi senza essere giudicati, forse, liberi di avere i propri spazi, forse, liberi di gestire i propri pensieri e le proprie abitudini in modo indipendente, forse. Ognuno di questi punti è un forse, è ovvio che lo siano, in qualsiasi casa che si rispetti, ciascuno di noi, è proprietario di questi beni psicologici, imprescindibili per una vita, per l’appunto, libera sebbene regolare e regolamentata da un codice ben sopra quelle quattro leggi dettate dalla propria famiglia, il quietovivere. La libertà è cosa ardua da accettare, non saremo mai liberi da niente, liberi da che cosa, come dice Vasco. La libertà non è avere quattro mura in cui rientrare da soli, in cui mangiare da soli, in cui rilassarsi da soli, in cui essere sempre e solo da soli, per fare cosa, tra l’altro? La libertà è una conditio mentale, non dipende certo dalla porta della casa che stiamo per aprire, dipende da come sentiamo l’apertura di quella porta, da come veniamo accolti da chi è già entrato, da come accoglieremo chi entrerà dopo di noi. La vita è fatta di vicissitudini, di allineamenti temporali, a volte, astrali, la vita è fatta dalla fortuna che, ognuno di noi, ha nell’incontrare le persone giuste. Allora:
Country roads, take me home
To the place I belong
Non è detto che casa nostra sia il West Virginia, o forse sì, chissà, ma la canzone parla proprio di quella strada di campagna del Virginia Occidentale, con i suoi paesaggi mozza fiato, con la sua, incredibile, sensazione di piena libertà spirituale. John Denver ha scritto questo testo insieme a Bill Danoff e Taffy Nivert, poi pubblicata dallo stesso John Denver nell’album Poems, Prayers and Promises, riuscì ad aggiudicarsi il secondo posto nella classifica statunitense del Billboard Hot 100, del 1971. Solo un anno dopo è diventata, appunto nel 1972, oserei dire fino all’infinito, canzone ufficiale della West Virginia University, suonata, inoltre, in ogni pre-partita di football, dallo stesso anno in avanti. Questa canzone ha qualcosa di attanagliante al suo interno, è forte e dona forza, è commovente e commuove, è allegra e trasmette allegria, è vera e passa un senso di verità, di lealtà, è simbolo di libertà e fa sentire liberi. Chi non ha mai ballato su queste note? Cappello western in testa, pantaloncino corto e magliettina easy, può essere che, qualcuno, la scambi per un simbolo politico di sinistra, o per il partito democratico Americano ma non ha proprio niente di politicizzato, parla di casa, parla di radici, parla dell’uomo e del suo desiderio di sentirsi libero, di essere sé stesso a casa propria. Detto questo, si pensa, si presuppone o, forse, si vuole solo trovare un riferimento concreto, che quella Country road esista veramente e sia stata identificata con la Clopper Road, nel Maryland. Le cose sono cambiate molto rispetto a quella strada, immersa nella natura, di cui cantava Denver, però ha ancora il suo fascino, perché è evocativa e rievocativa. A mio avviso porta con sé una grande serenità e uno spirito molto profondo, racchiuso nel cuore degli onesti, degli eroi quotidiani, dei lavoratori, di tutti coloro che, la sera, tornano a casa, nella loro casa, dalla loro famiglia, a prescindere dal fatto che la strada possa non essere, propriamente, di campagna. L’immagine è stupenda, il Country entra nel sangue di tutti, ancora di più di qualsiasi altro genere, più delle fisarmoniche celtiche, più del rock. Il Country fa parte della semplicità di ognuno di noi e, a qualcuno, potrebbe far venire in mente una cosa che ci terrei a mostrarvi.

“Il whisky non cambia sapore a seconda della simpatia di chi lo offre.” (Tex Willer: da “La lunga pista”, n.º 473, p. 59)
“Dark and dusty, painted on the sky
Misty taste of moonshine, teardrop in my eye”
(John Denver, “Take Me Home, Country Roads” 1971)
D’altra parte il moonshine che Tex adora è proprio quel whisky prodotto illegalmente, distillato a mano e dal sapore inequivocabile, unico, forte da risvegliare, persino, i morti, o almeno così dicono. Tex Willer è più vecchio di “Take Me Home, Country Roads”, la sua prima apparizione risale al 1948, su invenzione di Giovanni Luigi Bonelli e del disegnatore Aurelio Galleppini, ancora oggi l’editore è rimasto Bonelli, nel rispetto della tradizione, nella consacrazione di un mito moderno che fa compagnia a un numero indeterminato di persone. Tex è famoso per le sue frasi agghiaccianti, per il suo amore per i cavalli, per le relazioni con gli indios americani, per il suo essere sempre nel posto giusto al momento giusto e, beh, anche per la sua presenza scenica. Pare che per disegnare il primo Tex l’ispirazione arrivò da un attore, all’epoca di spicco:

Sembra strano dover guardare Tex sottoforma di un umano, vero. Eppure da qualcuno, Galeppini, avrebbe dovuto trovare ispirazione. Eccolo, ora ha un volto vero per tutti. Certo è che Gary Cooper non avrebbe mai detto: “Corna di satanasso!”, oppure “Stanco di vivere?”, o ancora “Vecchio cammello”, queste sono solo alcune delle brevi battute ripetute, e ripetute ancora, all’interno dei suoi fumetti. Possiamo dire che l’aura di Tex Willer sia la stessa di “Take Me Home, Country Roads”, anche lui ha qualcosa di evocativo, di rilassante, di libero. Tex è libero, è una leggenda che richiama la libertà. Leggendolo, guardando quei disegni meravigliosi, inserendosi all’interno del polverone di ogni storia, ci si sente parte di un mondo fantastico distante dal nostro quotidiano ma vicino a ciò che sentiamo come casa: la libertà di essere ciò che siamo, senza pensieri, senza preoccupazioni, senza stress. Sembra quasi di stringere tra le mani quel fucile o la sua Colt Peacemaker

per andare a combattere i cattivi e riportare la pace, salvare qualche donzella e poi mettere le gambe sotto qualche tavolaccio, in qualche taverna sperduta nel West e mangiare:
Più semplice di così, più reale di così, più libero di così, non si può. Ecco che riesco a creare un’associazione vincente tra l’arte di “Take Me Home, Country Roads” e quella del fumetto di Tex Willer. Il gioco è fatto, siamo caballeros in sella al nostro mustang, o al nostro, ben più veloce, quarter horse, alla ricerca di un luogo sicuro, alla ricerca di un luogo che ci faccia sentire a casa e ci renda quella forza per affrontare la giornata successiva con più vitalità e tanta, tanta, speranza.
A meno che non si entri nella cerchia di coloro che, prima o poi, saranno inquadrati nel mirino della Colt di Tex Willer, e allora:
“Da questo momento, io non avrò pace sino a che non avrò ucciso tutti coloro che hanno mandato la morte a tagliare i fili che legarono le nostre vite.
Da questo momento, io sarò la vendetta che segue implacabile le orme dei nostri nemici… Al mio fianco marceranno l’odio e il terrore… e dietro di me lascerò tracce bagnate di lacrime e di sangue.” (Tex Willer: da il Giuramento, n.º 104, pp. 78-79)
Mai pestare i piedi a quello sbagliato, mai farsi strada a sgomitate, mai cercare di prevaricare il prossimo, mai sentirsi migliori e sopra le parti, altrimenti il destino è quello di soccombere, anche se, fortunatamente, solo in senso metaforico.
Ma questo, signori miei, fa parte della vita.
Arianna Forni