“I vecchi amano dare buoni consigli per consolarsi di non poter più dare cattivi esempi.”

(François de la Rochefoucauld, “Massime – Riflessioni morali”, 1663-1667)

“Si sa che la gente dà buoni consigli
Sentendosi come Gesù nel tempio
Si sa che la gente dà buoni consigli
Se non può più dare cattivo esempio”

(Fabrizio de André, “Bocca di Rosa”, 1967)

Un plagio durato 330 anni senza che, quasi, nessuno se ne rendesse conto. Una bella rivelazione, non trovate? Viviamo di esempi, di quelli del nostro passato, più lontano, arcaico, e di quelli del nostro presente, vicino, conosciuto. Ci attacchiamo agli esempi e ai consigli dati, e sciorinati, da coloro che riteniamo averne le qualifiche. Non dovremmo mai sentirci superiori, nel nostro intimo non lo facciamo ma in mezzo alla gente siamo sempre dei perfetti numeri uno, ricchi di conoscenze e di buoni consigli, conditi da altrettanti cattivi esempi. Un buon consiglio e un cattivo esempio sono, più o meno, la stessa cosa, sul piano dell’insegnamento cambia ben poco, chi si accorge del cattivo esempio saprà bene come comportarsi per poter dare un buon consiglio, per essere un metro di paragone, per essere il paradigma più adatto alla nostra vita quotidiana. Il gioco di parole si fa sempre più arduo e ardito ma arriveremo, presto, al punto. Nel frattempo mi domando se Fabrizio de André avesse in mente François de la Rochefoucauld, mentre scriveva il testo di “Bocca di Rosa”, oppure no, oppure sì ma ha deciso di far finta di niente. Mi piacerebbe poterglielo chiedere, non sarebbe male, almeno per dare un buon consiglio oppure restare imprigionati nel cattivo esempio, del plagio in questo caso. Non è, per niente, facile, si possono imparare molte cose guardandosi in giro, si possono imparare cose positive e, altrettante, cose negative, si più imparare a mentire e ad essere sinceri, si può imparare dai buoni consigli oppure dai cattivi esempi. I giovani, si sa, sono straripanti di cattivi esempi, non per cattiveria o stupidità ma per mancanza di esperienza, è proprio per questo che i vecchi danno buoni consigli, non hanno più l’età per dare cattivi esempi. Sono ripetitiva? Può essere ma credo che la questione stia diventando molto interessante. Che dite? Bene, siamo partiti da un plagio lungo 330 anni per arrivare ad oggi. Dove possiamo prendere i buoni consigli? I cattivi esempi sono ovunque, in televisione, in politica, nel doping sportivo, nell’ignoranza popolare, sulle prime pagine dei giornali, potremmo scrivere “chilometri di lettere” sui cattivi esempi, sono i buoni consigli ad essere davvero difficili da trovare.

Tang Yau Hoong (Malaysia) Paradigma d'Arte - da Pinterest
Tang Yau Hoong (Malaysia) Paradigma d’Arte – da Pinterest

Prendiamo un bell’ombrello e iniziamo a proteggerci dalle piogge acide e proviamo a guardare il mondo sotto un nuovo punto di vista, forse, saremo in grado di scovare i buoni consigli. Partiamo da un concetto di base: il paradigma. Non grammaticale, non linguistico, per questo basterebbe essere andati alle elementari e aver seguito bene le lezioni, sempre ammesso di aver avuto insegnati ricchi di conoscenza e non intrisi di ignoranza, sarebbe un altro discorso. Diciamo che ci potrebbe bastare un buon libro, di grammatica italiana e latina, potremmo imparare un sacco di cose, dai tabulati verbali alla costruzione di frasi degne di rispetto, all’utilizzo della punteggiatura, fino alla, basilare, dizione. L’apoteosi sarebbe mettere insieme tutto questo in un’unica frase. Ultimamente, leggo e-mail, improponibili, di gente che vorrebbe inserirsi nel mondo del lavoro, o, ahimè, lo è già, non conoscono nemmeno l’ordine tra soggetto, verbo e complemento, figuriamoci se possano avere un’idea di come si debba utilizzare un congiuntivo. Perdonatemi l’inciso ma, in alcune circostanze, mi vengono i brividi. Torniamo al paradigma come modello di riferimento, come buon esempio, come buon consiglio, come termine di paragone tra giusto e sbagliato, tra corretto e scorretto, tra bene e male. Il paradigma, che ben si inserisce in un contesto scientifico, è stato catalogato e definito da Thomas Kuhn, un fisico, storico e filosofo statunitense morto nel 1996. Per lui il paradigma è qualcosa di molto semplice, denota la veridicità di un concetto scientifico, fino al momento in cui non venga superato da una nuova teoria che ne distrugga, o ne accresca, le potenzialità. Quindi il paradigma è un buon consiglio dal quale partire, una base forte sulla quale costruire nuovi pensieri, nuovi studi e nuove, rivoluzionarie, invenzioni. Nel suo testo, del 1970, La struttura delle rivoluzioni scientifiche”, affronta il tema del paradigma scientifico sotto tutti i punti di vista da lui approfonditi e testati sul campo, si tratta di un trattato scientifico che sa molto di filosofia. Franz Kreuzer, nato nel 1929, tutt’ora vivente, dice di Kuhn: Da lui viene l’epistemologia dei «paradigmi». Egli dice che la scienza è un patto di una mafia scientifica, che viene sostituita da quella successiva, né più né meno del reale concetto di paradigma, forse, un po’ romanzato ma corretto, forse, legato ad un cattivo esempio, quello della mafia scientifica, eppure rende l’idea. Formulare un concetto, una teoria, dimostrarne la validità e battersi per la sua valenza, finché altri non riescano a sviluppare qualcosa di più convincente. Non è semplicissimo, è paradigmatico, ovvero fornito di un valore esemplare, categorico, tranchant, istituzionale e, soprattutto, valido. Non viviamo certo in un periodo in cui il valore sia tenuto, molto, in considerazione, eppure ha la sua validità, in alcuni campi di più che in altri. L’esperienza insegna molte cose, insegna a controllarsi e a stabilire un proprio paradigma interiore, secondo il quale proseguire nella propria esistenza senza più dare cattivi esempi.

Il paradigma di Kuhn. Stefano Serretta. Studio02, Cremona & Galleria FuoriCampo, Siena, 2018 - da Artribune
Il paradigma di Kuhn. Stefano Serretta. Studio02, Cremona & Galleria FuoriCampo, Siena, 2018 – da Artribune

In questo caso siamo noi a scegliere cosa leggere: Fever, febbre, oppure forever, per sempre, si lega perfettamente al paradigma di Kuhn, infatti la mostra in questione si basava proprio su questo concetto, mescolando, in modo improprio ma incisivo, la linguistica con la scienza. Il paradigma si lega, in modo quasi inscindibile, all’archetipo, un termine macchinoso che deriva dal greco e significa, semplicemente, modello originale, modello esemplare, inizio perfetto. Un modo come un altro per avere un metro di paragone, al quale appellarsi onde evitare di mettere in pratica il cattivo esempio. L’archetipo è proprio l’inizio di qualcosa, nell’intento, chiaro, di voler cominciare con il piede giusto. L’uomo detesta sbagliare ma, ancora di più, detesta ammettere di aver sbagliato, questo sì che è un buon paradigma, un metodo di paragone forte che agisce, prima, in sé stessi, poi, di conseguenza, in tutti coloro che abbiano il forte desiderio di emularci. Chissà perché: è sempre più semplice copiare i cattivi esempi che farsi aiutare dai buoni consigli. Misteri, forse no, l’indole dell’uomo è quella di credersi perfetto davanti agli astanti, per poi piangersi addosso in solitudine, dopo aver capito di aver sbagliato tutto, probabilmente anche nella scelta delle scarpe, dei vestiti, del taglio di capelli, di tutti. L’uomo medio è abituato a sentirsi fuori luogo, sbaglia, basterebbe restare sé stessi e imparare a vivere, e basta. Un disastro.

Mario Cucinella, Paradigma, Il tavolo dell'architetto - da Arte
Mario Cucinella, Paradigma, Il tavolo dell’architetto – da Arte

Che sia un tavolo, un grande magazzino in miniatura, una enorme scalinata con piccoli personaggi all’interno, un giardino d’inverno, un vaso di fiori originale, un edificio moderno, beh non importa, anche questo è un paradigma. Per essere più chiari: un tavolo dovrebbe essere piano, avere una buona superficie d’appoggio, resistente, lineare, non importa il colore basta che sia funzionale; in questo caso “Il tavolo dell’architetto” non è esattamente un tavolo, eppure è un tavolo altrimenti si chiamerebbe in un altro modo. Chiaro? Ciò che conta non è cosa ma come, non è dove ma quando, non è in che modo ma perché. Viviamo in una società in cui i nostri metri di paragone, o paradigmatici, sono tutto tranne che di buon consiglio, dobbiamo barcamenarci nel bel mezzo dei cattivi esempi sapendo di doverli riconoscere e, successivamente, trovare delle soluzioni, per non essere più indotti in tentazione, caparbi nel portare, almeno alla nostra vita, il buon consiglio di cui abbiamo bisogno per costruire qualcosa di duraturo.

Non è facile, è tremendamente arcigno, pare di stare di fronte ad un ariete pronto a caricarci al minimo errore. Dobbiamo resistere, mantenere alta l’attenzione e trovare un punto di appoggio sul quale sentirci comodi e sicuri, da lì saremo in grado di osservare il mondo da un punto di vista favorevole. Si impara molto per emulazione, purtroppo, però si potrebbe imparare a scegliere chi emulare, tanto per evitare di fare la figura dei somari e assumere le sembianze di purosangue da morfologia. L’intelligenza sta nella scelta, le vie sono infinite ma solo poche avranno tanti buoni consigli da darci e pochi, pochissimi cattivi esempi. Spesso è solo l’egoismo e la tentazione a fregarci. Le partite a scacchi, però, si vincono con la calma, seguendo paradigmi scientifici, logici, provati e comprovati. Facciamo la prima mossa, quella giusta, mi raccomando.

 “Tieni sveglie le leggi, perché il sonno le uccide. Dà vita ai buoni esempi: sarai esentato dallo scrivere delle buone regole.”

(Pitagora)

Arianna Forni

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