“Il diamante riluce solo se tutti i suoi spigoli restano quelli che sono.”
(Adrienne von Speyr, svizzera, mistica e medico, 1902-1967)
L’arte di un taglio perfetto, l’arte di far brillare qualcosa di così, tremendamente, strano da essere solo, ma non solo, fascino. L’arte di creare luce dall’interno di una pietra che, sola, può sprigionare bagliore, intenso, intimo, accecante nell’occhio e nel cuore. Anche questa è febbre, sì, dei diamanti. I migliori amici delle donne, splendenti e risplendenti della loro stessa luce, riflessa, proveniente dal taglio del diamante che le accompagna, che le coinvolge, probabilmente, in un amore, sicuramente, nell’amore per sé stesse. I diamanti sono pietre strane, magiche, basta guardarle per capire, hanno qualcosa di più, sono eteree, quasi impalpabili, eppure indistruttibili. Vuoi tagliare un diamante? Puoi farlo, certo, solo con un altro diamante, con una lama fatta della sua stessa sostanza, come fosse “la stessa sostanza dei sogni”, come avrebbe detto Shakespeare. Strano, forse anche un po’ assurdo, ma vero. La febbre dell’oro è ormai superata, si guarda più avanti, si vuole più riflesso, maggior valore, più coinvolgimento emotivo e artistico. Il taglio perfetto può essere effettuato solo da un vero artista, un errore millimetrico potrebbe rovinare la bellezza della pietra stessa, per grande che sia, potrebbe farne precipitare il valore senza possibilità di rimedio. Quest’arte, si dice sia nata a Firenze nell’Opificio della famiglia De’ Medici dove, pare, sia stato effettuato il famoso taglio Fiorentino, un diamante meraviglioso, acquistato, grezzo, dal Granduca Ferdinando, nel 1608.

Mai confondere Diamante, il nome della pietra stessa, con Brillante, il nome di uno dei tanti tagli che si possono effettuare al fine di ottenere prismi di luce differenti. Il primo brillante è stata opera di Vincenzo Peruzzi, nel 1680 a Venezia. Un taglio perfetto garantisce alla pietra di acquisire lucentezza e valore, ogni taglio ha un significato diverso e una diversa applicazione, se incastonato. La scelta del taglio dipende, esclusivamente, dalla pietra di partenza, dalla sua grandezza, dalla sua purezza e dai carati. Il primo taglio secco, detto clivaggio, è il taglio lungo la linea naturale di divisione della pietra, solo dopo questo primo passaggio il tagliatore potrà decidere che forma conferire, al diamante, per ottenere il miglior risultato possibile. Pare che il numero, perfetto, delle faccette, presenti sulla pietra, sia pari a cinquantasette. Tutto questo permette al diamante di brillare, effettivamente, di luce propria. Una luce scaturita, e scatenata, dall’interno della pietra stessa. In realtà, questo gioiello è, più semplicemente, il risultato di una delle forme allotropiche in cui si può presentare il carbonio, al cui interno, il reticolo cristallino degli atomi è posto in modo tetraedrico, una rarità capace di determinare l’inizio di una perfezione, perfezionata dalla maestria del tagliatore. Grazie a questo posizionamento, degli stessi atomi, seguendo, con finissima precisione, la sequenza di tagli e smussature, si può ottenere la lucentezza richiesta dalla forma prescelta per il diamante in questione. Pare che i primi ritrovamenti risalgano ad oltre 6000 anni fa, abbiamo riferimenti in alcuni testi in sanscrito e in alcune opere buddhiste del IV secolo a.C., Golconda, città indiana, fu per secoli sinonimo di ricchezza, anche nei modi di dire, perché centro di smercio di diamanti allo stato grezzo. Presto i giacimenti indiani furono ridotti all’osso, i cercatori si spostarono altrove ritrovando, tra l’inizio del Settecento e la metà dell’Ottocento, grandi quantità di queste pietre in Sudafrica, in Brasile e nel Borneo. Solo nel XIX secolo i diamanti divennero davvero popolari a livello mondiale, questo grazie ad una maggior richiesta e all’avvio di scuole, specifiche, per istruire i tagliatori, dei veri e propri artisti del diamante, sono loro, infatti, a donare, a queste pietre, il loro immenso valore e la loro splendida lucentezza. Il più grande diamante lavorato, al mondo, è il, così detto, Golden Jubilee, di 545,67 carati, ritrovato in Sudafrica nel 1985. Il diamante, inizialmente innominato, è stato acquistato da un magnate Thailandese. Nel 1995 lo portò a far benedire a Papa Giovanni Paolo II, poi al supremo patriarca Buddhista e infine all’Imam Thailandese per portarlo in dono al re della Thailandia Bhumibol Adulyadej, nel giorno della sua incoronazione e del suo cinquantesimo compleanno.

Per concludere i cenni storici e tecnici che determinano il valore di un diamante non si possono che citare le quattro C: Colour, Clarity, Cut, Carat.
Il Diamante Hope è uno dei più famosi al mondo, di un insolito blu profondo, dal peso di 45,52 carati, che equivalgono a 9,1 grammi, attualmente si trova presso lo Smithsonian Museum di Washington:

Il Diamante grezzo Cullinan è stato, per molto tempo, il più grande mai ritrovato, dal peso grezzo di 3.106,75 carati, equivalenti a 621 grammi, più o meno. Si è deciso di tagliarlo in tanti diamanti più piccoli, 105 per l’esattezza, dalle differenti forme. Il ritrovamento risale al 1869, in Sudafrica, nessuno ci mise mano fino al 1908 presso la ditta Asscher di Amsterdam. I tagli più importanti fanno, oggi, parte della corona della Regina Elisabetta di Inghilterra.

Tutto questo è stata l’anticipazione al vero soggetto di questo articolo: l’Oppenheimer Blue, unico diamante in grado di oscurare la bellezza, e il prezzo di vendita all’asta di Sotheby’s, dell’11 Novembre 2015, del Blue Moon. Questo splendido diamante, dall’insolito colore, è stato, infatti, battuto per 50 milioni di dollari:

“Se ho scelto il diamante è perché, con la sua densità, rappresenta il valore più grande espresso nel volume più piccolo.”
(Coco Chanel)
Coco Chanel aveva proprio ragione, mi permetto di aggiungere: non si finisce mai di stupire e di stupirsi. Così ha saputo fare proprio l’Oppenheimer Blue, dal taglio Smeraldo, di un colore incredibile, con un riflesso interno camaleontico, di un blu intenso ma illuminante a seconda della faccia da cui viene osservato. La luce fuoriesce da un nucleo intenso e corposo, rilasciando, nell’aria circostante, un alone di mistica superbia. Appare altezzoso, potente e infonde sicurezza in chi avrà l’opportunità, più unica che rara, di vederlo da vicino, di prenderlo, delicatamente, in mano:

Dal peso di 14,64 carati è stato battuto all’asta da Christie’s, il 18 maggio 2016, per ben 57,5 milioni di dollari, esattamente 3,9 milioni di dollari a carato, sbaragliando qualsiasi altro record precedente.

Già, Un Diamante è per sempre, mai slogan pubblicitario fu più azzeccato, inventato da Frances Gerety, nel 1947, per la De Beers, un colosso dell’oreficeria, una di quelle aziende che bisogna accontentare, per la quale niente è mai sufficiente. In questo caso lo è stato. Lo slogan è diventato di dominio pubblico, entrando a far parte del parlare comune, ricollegandolo direttamente all’azienda di riferimento. La stessa De Beers, nel 2015, ha deciso di riprendere in mano lo stesso slogan di 68 anni prima, sicura di non sbagliare. In effetti, oltre ad essere il migliore amico delle donne, un diamante è davvero per sempre.
In ogni caso, potremmo decidere di dar retta a James Bond:
“[Il diamante] è la più dura sostanza che si trovi in natura, ci si taglia il vetro, invita al matrimonio ed è il migliore amico della donna come il cane lo è dell’uomo.”
(Agente 007 – Una cascata di diamanti)
D’altra parte, agli uomini manca quella finezza per apprezzare un diamante, eppure, mentre giocano con il cane, adorano vederli brillare sulle dita delle proprie mogli. Tutte le donne aspettano l’uomo giusto da sposare; perché sia, a tutti gli effetti, quello giusto deve sapersi inginocchiare con eleganza, aprire una scatola di velluto, adeguatamente riposta nel taschino della giacca, fiore all’occhiello, un doppio petto non guasterebbe, all’interno della quale può esserci solo una cosa, tanto lucente quanto commovente: un diamante. La domanda che seguirà è solo un mero proforma, così come la risposta.
Arianna Forni