“La televisione non verrà semplicemente sostituita dalla realtà virtuale. La realtà virtuale la mangerà viva.”
(Arthur C. Clarke, Pacific Asia Travel Association, Hong Kong, 1992)
Sono anni che sentiamo dire che la televisione sparirà, che le radio si estingueranno come i dinosauri, che viviamo legati ad un sentimento nostalgico e, per questo, continuiamo ad utilizzare mezzi e metodologie, del tutto, obsolete e poco performanti. Per chi ha vissuto i cambi epocali, tra gli anni ’80 ed oggi, da una parte si sente stufo di dover cambiare la propria routine, dall’altro si mette alla disperata ricerca dell’invenzione secolare, utile a garantirgli di trovare, anzi proprio di inventare, un lavoro economicamente fruttuoso, visto che di assunzioni se ne vedono ben poche in giro. Il mondo cambia, le persone cambiano, la moda cambia ma, se ci fate caso, è tutto, abbastanza, ciclico, la sola cosa a non fermarsi mai, salvo qualche catastrofico flop, è la tecnologia. Ogni giorno scopriamo qualcosa di inimmaginabile, in un attimo entra nelle nostre case e un secondo dopo è già superato da qualcosa di ancora più sorprendente. Ci stiamo svenando, consapevolmente, per rimanere al passo con i tempi, è un bene per le aziende produttrici, è un male per i piccoli risparmiatori che tendono, sempre, a fare il passo più lungo della gamba: “perché anche tu vali”, nonostante sia lo slogan di un prodotto per capelli, beh, calza perfettamente. In un certo senso, iniziamo a renderci ridicoli, in realtà, dall’altro lato, risulta difficile farne a meno, saremmo fuori dai tempi, sarebbe come non conoscere internet e non sapere cosa siano i social network, oppure non avere un cellulare e mandarsi ancora lettere scritte a mano. I paragoni sono diversi ma servono a dare un metro di giudizio temporale, e spaziale, a quanto ci si palesa davanti agli occhi ogni giorno. Detto questo, è dal 1992 che si parla di un’esplosione televisiva, surclassata e spodestata dal web e dalla realtà virtuale, finora non mi pare sia successo niente di drammatico, le tre tecnologie, per quanto facciano parte di tre differenti generazioni, convivono alla perfezione, come nonni, genitori e figli. Appare chiaro che la più anziana, delle tre, sarà la prima a lasciarci, prima o poi, speriamo che quel poi possa avanzare nel tempo con, provvidenziale, immortalità. Il nostalgico ha sempre ragione, ciò che, collaudato per anni, non ci ha mai deluso, non vedo perché debba lasciare il passo a qualcosa di cui non si ha, ancora, una, ragionevole, certezza. Siamo, ormai, schiavi della tecnologia, schiavi degli smartphone, schiavi dei device che ci permettono di fare qualsiasi cosa e di avere a portata di mano il mondo intero, siamo davvero “tutti tuttologi col web”, come dice Francesco Gabbani in “Occidentali’s Karma”, canzone vincitrice di Sanremo 2017. Facile, troppo facile, tanti studenti si chiedono perché andare a scuola con i libri quando basterebbe un tablet per avere “la – nostra – storia tra le dita”, Gianluca Grignani, 1995. Come passa, veloce, il tempo, come cambiano, rapidamente, le cose. Le canzoni si adattano alle nostre abitudini quotidiane, la filosofia cerca nuove teorie applicabili a chi, invece di guardare le stelle, guarda Facebook, le patologie infantili mutano dal bullismo dei più forti a quello dei più tecnologici, per sfociare nella più totale apatia da videogame, da realtà aumentata. Adesso, purtroppo per me, devo dirlo, non avrei mai pensato di doverlo fare, ma è arrivato il momento: Pòkemon Go si è messo al servizio dell’arte; anche l’arte ha subito l’influsso della tecnologia, non so quanto sia positivo e quanto sia, invece, considerevolmente, negativo. Fatto sta che non c’è più niente da fare, arte, cultura e letteratura sono ormai state colpite con la freccia tecnologica più moderna, meno testata, ancora, parzialmente, sconosciuta, priva di vera sicurezza: la realtà aumentata, quella che ti fa vedere cose inesistenti inserite, alla perfezione, nel mondo reale. Nel 2015 era stato proprio un gioco di ruolo fantascientifico a darci il primo indizio, chissà in quanti gli avevano dato retta. Sicuramente i giovani, loro, ormai, sono più avanti di noi. Già, noi, dobbiamo, quasi, ancora, abituarci all’euro.
“Nella realtà virtuale è possibile fare delle cose inconcepibili nel mondo reale. In breve, il mondo virtuale possiede il potenziale per trascendere la realtà. Per diventare qualcosa d’importante.”
(Sword Art Online: Lost Song, videogioco di ruolo, fantascienza, 2015, frase del personaggio Seven)

Dopo questa nostalgica introduzione mi porto sul terreno battuto dal titolo di questo articolo. In ogni caso, per intenderci, in fin dei conti, vorrei non doverlo dire, quindi utilizzo escamotage letterari per prolungare l’agonia di questa frase, faccio parte, anche io, di quelli che si sentono modernissimi perché usano Instagram ma, allo stesso tempo, sono scettici riguardo ai film tridimensionali e agli smartphone / visori per immergersi nella foresta pluviale o direttamente in un videogame. La cosa è assurda, fuorviante e, soprattutto, pericolosa per i deboli di cuore e di mente, sono meccanismi che possono condizionare le personalità più consolidate, figuriamoci cosa potrebbero essere in grado di fare con i bambini, con gli ingenui, con coloro i quali pensano di avere reali superpoteri, si scattano selfie sul filo del precipizio e poi muoiono. Come se i telegiornali non li guardasse nessuno. Chiedo venia, per questo inciso, e torno sull’arte, un’arte nuova, anzi, antica ma guardata con occhi nuovi, nel vero senso della parola. La prima mostra d’arte, realizzata attraverso la realtà aumentata, risale al 6 Luglio 2017, chiusa l’8 Aprile 2018, tenutasi a Toronto, in Ontario, creata, come è ovvio che sia, da un giovane visionario, Alex Mayhew (sul fondo dell’articolo troverete il link al suo sito con il video relativo alla mostra in questione):

La realtà aumentata, o realtà mediata dall’elaboratore, è esattamente un mezzo attraverso il quale poter, realmente, aumentare, arricchire, ingigantire, l’apparato sensoriale umano, con l’aggiunta di qualcosa, movimenti, oggetti, personaggi, interazioni di qualsiasi genere, per manipolare e coinvolgere, in modo elettronico, i nostri cinque sensi. Ciò che non avremmo mai pensato di poter percepire diventa realtà. Immaginatevi di trovarvi dentro Hogwarts e dialogare con i quadri, camminare su scalinate in continuo movimento, volare sulla Nimbus 2000 e poi sedervi a cena accanto ad un tavolo dove il cibo si materializza se, e quando, richiesto. Fino a ieri era solo un libro, un film, grazie alla realtà aumentata è, finalmente, o malauguratamente, possibile. Al ReBlink, la mostra realizzata a Toronto da Alex Mayhew, è stato possibile vivere qualcosa del genere. Mayhew, questo visionario tecnologico, ha reso possibile una reale, seppure virtuale, interazione con le opere esposte:

Non solo, camminando tra le varie sale, è stato possibile incontrare svariati personaggi, storici, moderni, futuristici, parlare con loro, ricevere delle risposte, guardare, davvero, oltre il tangibile. Un’esperienza incredibile, forte, potente e nuova, però, io, personalmente, faccio fatica a creare complementarietà tra questo e l’arte, tra un videogioco da parco dei divertimenti e una mostra artistica. La “Gioconda” è stata dipinta immobile, con quel suo sorriso enigmatico e con tutti i misteri che la avvolgono: perché volerla guardare attraverso un visore mentre, ad esempio, si pettina o si lima le unghie. Non è arte, è uno scempio dell’arte stessa. Non condivido, tanto per restare in tema di social network.

Credo proprio ci sia da indossare la maschera antigas e la tuta ignifuga, siamo di fronte ad un passaggio che invece di accrescere le nostre potenzialità sensoriali, le sminuisce, mettendoci di fronte ad una, consapevole, presa in giro. Siamo adulti, eterni Peter Pan alla ricerca di Trilli e di Capitan Uncino. La finzione non è arte, è solo finzione, soprattutto se cerca di convincerci di avere dei sensi da super-eroe. Non ci basta più guardare Flash, Superman, Supergirl, Iron Man, I Fantastici Quattro, Harry Potter e via dicendo, dobbiamo immedesimarci fisicamente nella parte. Una volta i bambini sapevano sognare, immaginare, giocare fingendo di essere più di semplici bambini, gli adulti, giustamente, perdevano questa ricerca sensoriale, suprema e fantastica, per mettere i piedi a terra e ancorarsi alla realtà. Tutto questo sta ribaltando la normalità, la consuetudine di vivere la propria infanzia ed evolversi in una crescita concreta e razionale. L’ho già detto ma lo ripeto: è pericoloso. Non tanto perché sia pericoloso guardare in un visore e vedere apparire i Pòkemon, tanto per tornare al gioco che ha fatto impazzire il globo, ma perché è una tecnologia difficile da controllare, con evoluzioni, purtroppo, non, esclusivamente, positive.
Non mi esprimo oltre ma concludo con un’opinione: l’arte è fatta dalle mani di un uomo che si sporca con i colori, si graffia con lo scalpello, si riempie di polvere e suda, di fatica, di concentrazione, l’arte è una produzione fisica ed è la sua concretezza a determinare lo stupore negli occhi di chi osserva. Per tutti coloro che preferiscono aumentare la propria realtà ci sono sempre i cinema, i videogiochi, i parchi a tema, non hanno bisogno dell’arte, a loro basta un po’ di magica finzione e, per questo, la tecnologia moderna non potrà mai deluderli.
Arianna Forni
https://player.vimeo.com/video/223223058“>Realtà Aumentata, ReBlink, Toronto (Ontario), ad opera di Alex Mayhew