[Ultime parole famose, 1916] “Il cinema è poco più di una moda. È dramma in scatola. Ciò che gli spettatori vogliono vedere è carne e sangue sul palcoscenico.”
(Charlie Chaplin – The cinema is little more than a fad. It’s canned drama. What audiences really want to see is flesh and blood on the stage)
Finzione e realtà, verismo, realismo, una combinazione perfetta di componenti essenziali della vita di tutti noi, del quotidiano e del sogno, del tangibile e dell’astratto. Al cinema tutto è possibile, al cinema puoi vivere una storia che non fa parte della tua, puoi immedesimarti nei tuoi eroi, puoi avere una chance, in più, per sognare momenti di gloria, di rivalsa, di successo. Puoi guardare in un futuro consapevole ma incerto, verosimile oppure fantasioso; puoi sentirti ciò che desideri, puoi scegliere, ad ognuno il suo genere, ad ognuno il suo idolo, ad ognuno la propria pellicola. Cinema d’amore, d’azione, di guerra, fantasy, fantascientifico, realistico, documentarista, cinema, e basta, un paio d’ore di evasione totale, al buio di un mondo, concreto, illuminato da un mondo virtuale, interpretato, costruito, grazie alla sapienza degli esperti attori, registi, sceneggiatori, un cast che, solo, potrà permetterci di entrare in un sogno o di vivere l’avventura come fosse nostra, davvero. Questa è arte, è l’arte cinematografica, ha una storia magica, quasi di più rispetto al risultato finale. Il cinema non si ferma mai e con esso non si ferma il progresso, la tecnologia, i colpi di scena, gli effetti speciali, sta diventando tutto sempre più esagerato, più americano, nel senso di pomposo, pompato, cresciuto, prima nella testa di chi crea e poi nella nostra, noi, gli spettatori. Spettatori che aspettano l’uscita del prossimo colossal, del prossimo film con i nostri attori preferiti, a reggere la scena, noi che vorremmo essere come loro, forse, non nella vita privata, ma, proprio, in quella pellicola, in quello schermo, che sia televisivo o, proprio, cinematografico, non importa, ormai abbiano teleschermi talmente sofisticati da permetterci di entrare, quasi fisicamente, nella storia, sognare, ad occhi aperti, di essere lì, vivere quei momenti esaltanti o romantici da strapparci il cuore e lasciar scorrere lacrime su lacrime sul nostro volto, tant’è grande la partecipazione. Il cinema è emozione, è un connubio di suoni, di immagini, di flashback, di parole, di dialoghi e di silenzi, è un gioco sottile tra l’essere e il non essere, è un gioco di inquadrature, di riprese, di sovrapposizione dei piani visivi che garantiscono quella stessa visione d’insieme di cui, noi spettatori, abbiamo bisogno. Dietro tutto questo c’è un lavoro infinito, di riprese, di montaggio, di studio legato alle colonne sonore, ai colori delle scene, al trucco degli attori, alle battute, alla composizione finale di un prodotto che deve rasentare la perfezione, deve essere appetibile, deve richiamare folle di spettatori paganti, per coprire i costi di produzione e per spianare la strada al prossimo film.

Ricciotto Canudo, critico cinematografico e scrittore, nel 1921, definì il cinema come la settima arte, non si sbagliava, chi sa fare cinema è un artista, sia chi sta davanti alle telecamere sia chi sta dietro di esse. Tutto ciò che contribuisce alla creazione di un film è arte, è studio, è fatica, è dedizione, una passione che non può mancare perché, altrimenti, quella stessa fatica potrebbe essere insopportabile. Noi vediamo solo il prodotto finito ma la vera arte è il dietro le quinte, è la produzione, la sceneggiatura, lo studio dettagliato di ogni singolo passo che dovranno fare, gli attori e le comparse, in quei trenta secondi di scena, poi in quelli successivi, e ancora e ancora. Il cinema è costruito attimo dopo attimo, ogni attimo è eterno, già, eterno finché dura, come si sul dire, eterno finché non verrà lanciato nei cinema, venduto alle televisioni, impresso sulle videocassette, prima, e sui DVD, adesso. Il cinema, la magia per eccellenza. Un fascino senza tempo che non smette di portare con sé schiere di appassionati, di fan sfegatati, di cultori di questa, strepitosa, materia. Pensate, il primo tentativo di filmato risale al 1873:

Sembra un filmato vero e proprio, in realtà è una composizione di una sequenza fotografica, questa:

Pensate allo stupore di vedere un cavallo galoppare su uno schermo, guardare qualcosa di vivo riflesso su qualcosa di inanimato, era il 1873, la preistoria del cinema, l’inizio di un perorso che stiamo ancora percorrendo.
“Data l’esistenza della fotografia e della cinematografia, la riproduzione pittorica del vero non interessa né può interessare più nessuno.”
(Giacomo Balla)
Giacomo Balla era, probabilmente, spaventato da questa nuova arte, aveva visto un nemico, nel cinema, perché assommava tutte quelle caratteristiche private all’arte com’era nota e apprezzata fino a quel momento. Le novità spaventano sempre, soprattutto per coloro che cercano di vivere attraverso la propria professione, soprattutto se si tratta di qualcosa di estetico e non, per forza, necessario al sostentamento quotidiano. Eppure, per fortuna, si sbagliava, l’arte, rispetto a molti altri settori, sa fare delle distinzioni, sa creare una diversificazione di prodotto e sa determinare bellezza, concretezza e posizionamento di ciascuna disciplina. Chi ha avuto notevole fortuna, grazie alla nascita e allo sviluppo del cinema, è la musica, parte integrata e integrante di qualsiasi film, infatti, già Luigi Pirandello ne vide un nesso logico e inscindibile:
“La cinematografia è il linguaggio di apparenze, e le apparenze non parlano. Il linguaggio delle apparenze è la musica. Bisogna levare il cinematografo dalla letteratura e metterlo nella musica, perché deve essere il linguaggio visivo della musica.”
(Luigi Pirandello)
Il cinema ci permette di volare via con la mente, di osservare le cose sotto nuovi punti di vista, a volte è illuminante, può anche essere educativo ma, altresì, diseducativo, in alcune circostanze troppo violente o troppo legate ad ambienti malfamati, spacciati per eroici agli occhi di chi osserva e si appassiona. Però, davvero, attraverso i film possiamo volare, veramente, concretamente, ad occhi aperti, come loro:

A prescindere dal cinema moderno, di cui non credo nemmeno di dover far menzione, data la notorietà, vorrei tornare un attimo indietro nel tempo e mostrarvi qualcosa che, agli occhi di tutti i veri appassionati, è, e resterà per sempre, un capolavoro assoluto del cinema mondiale. “The Great Dictator”, del 1940, interpretato da un grandissimo Charlie Chaplin, non solo interpretato ma vissuto in prima persona, con lo scopo di trasmettere un concetto importante ai suoi spettatori dell’epoca e che, ahimè, potrebbe essere trasmesso ancora oggi con lo stesso scopo. Partiamo dall’inizio, dall’incipit:

N.B.:
QUALSIASI SOMIGLIANZA
TRA IL DITTATORE HYNKEL
E IL BARBIERE EBREO È
PURAMENTE CASUALE
Questa storia si svolge
tra le due guerre mondiali in
un periodo in cui la pazzia prese
il sopravvento, la libertà fu calpestata
e l’intera umanità gravemente
bistrattata.
(Incipit The Great Dictator, 1940, dopo i titoli di testa)
L’apertura è concreta e disarmante, non c’è scampo, ci si aspetta il peggio, si guarda, si osserva una storia evolversi proprio come nella realtà, proprio come non sarebbe dovuta andare, forse, eppure la storia è storia, va presa per quello che è, resta, non cambia ma insegna ed è dalla storia che bisognerebbe avere la lucidità per imparare. Non a caso la conclusione è proprio un augurio di speranza, uno stimolo a non mollare, un incentivo alla crescita, per il popolo, per le genti, per l’Europa, per tutti. Questo film ha lanciato il concetto di colpo di scena non tecnologico ma concettuale, elevandosi a livelli super partes, riconosciuto, studiato, approfondito ancora oggi, perché, ancora oggi, si fa fatica a capire come sia stato possibile che Charlie Chaplin, regista, sceneggiatore, produttore e protagonista della sua stessa pellicola, abbia avuto un’idea così geniale, così ben riuscita.

Non esiste miglior conclusione a questo articolo se non, parte, della sua stessa conclusione, lascio a voi l’interpretazione, la comprensione e l’attualizzazione di queste parole, forti, incisive, spiazzanti, parole umane:
“La macchina dell’abbondanza ci ha dato povertà; la scienza ci ha trasformato in cinici; l’avidità ci ha resi duri e cattivi; pensiamo troppo e sentiamo poco. Più che macchinari, ci serve umanità; più che abilità, ci serve bontà e gentilezza. […] Combattiamo per un mondo nuovo che sia migliore! Che dia a tutti gli uomini lavoro; ai giovani un futuro; ai vecchi la sicurezza. Promettendovi queste cose dei bruti sono andati al potere. Mentivano! Non hanno mantenuto quelle promesse, e mai lo faranno! […] Prima o poi usciremo dall’oscurità verso la luce, e vivremo in un mondo nuovo: un mondo più buono, in cui gli uomini si solleveranno al di sopra della loro avidità, del loro odio, della loro brutalità”
(The Great Dictator, 1940, Charlie Chaplin nei panni del barbiere ebreo, scambiato per il dittatore Hynkel)
Arianna Forni
