“L’arte non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile.”
(Paul Klee)
Innanzi tutto, bisognerebbe essere in grado di definire se arte, bellezza e immaginazione, siano concetti assoluti o relativi, obiettivi, oggettivi o soggettivi dell’animo umano. Cosa può essere assoluto? Cosa può essere relativo? Dipende, dipende da noi, dipende da ciò che ci circonda, dipende dal contesto. Dipende, e basta. Non esiste scienza che definisca l’assoluto totale, in arte, così come il relativismo. Le opere sono tanto assolute quanto relative, è il cuore e l’emozione di chi osserva a determinarne la differenza. Spesso, purtroppo, l’assoluto coincide con le quotazioni, con gli investimenti, il relativo, invece, con un senso emozionale, privo di rivalutazione; per farla breve, l’arte commerciale, POP, è assoluta, tutto il resto è relativo. Beh, ecco, non è esattamente così, questo significa ridurre all’osso dei concetti elevati, quasi spirituali, questo significa voler, forzatamente, inserire l’arte nel contesto, gretto e ignorante, della nostra società moderna, legata al denaro più che ai sentimenti. Non si tratta di questo, per lo più, si tratta di comprensione, l’assoluto è più facile, il relativo è più complesso, merita più attenzione, più spiegazioni e tanto studio. In questo senso, mi viene in aiuto Giuliano Ferrara:
“Il relativismo è una forma di dogmatismo laico, perché affermare che non esiste una verità assoluta equivale ad affermare una verità assoluta.”
(Giuliano Ferrara, da Tempi, 28 aprile 2005)

Il relativismo ha svariate connotazioni, la principale, però, è filosofica, e, per l’appunto, si riferisce alla negazione di verità assolute, aprendo il mondo della concezione mentale, umana, ad una scelta personale, soggettiva, differente, quindi, dal resto del mondo, unica nell’introspezione di un certo individuo o di un determinato gruppo sociale. Guardare un’opera significa farsi un’idea dell’opera stessa, bisogna decidere se fidarsi della spiegazione di qualcuno, oppure scegliere di costruirne una propria. Un esempio lampante è questo quadro di Sandro Sabatini, il cui titolo, “Mickey Mouse”, dovrebbe far pensare di trovarsi davanti a Topolino, al centro dell’opera, in realtà se ne sta ben nascosto in un groviglio di parole, di grafemi, di simboli, va trovato e identificato all’interno di quel marasma, quella confusione rappresentativa del contesto in cui stiamo vivendo. Qualcuno potrebbe pensare ad una presa in giro, una satira pesante, altri potrebbero voler vedere il fanciullesco in un mondo oppresso dalla presenza di troppi elementi, capaci di deconcentrare, di distogliere la mente dall’oggetto, soggetto, principale. In sostanza, bisogna scegliere da cosa farsi attrarre, se dai dettagli, spesso inutili e fuorvianti, oppure allenare la mente a carpire l’essenziale suddividendo in piani, ben differenziati, l’importanza dei vari elementi. Il problema è decidere cosa siano le cose imprescindibili da quelle futili, non è semplice, ognuno ha un suo modo di guardare al mondo, ognuno ha delle priorità che, sebbene per altri rientrino nell’inutile, possono essere fonte vitale dell’essere essenziale di qualcuno. Questa è la ragione principale per cui diventa, quasi, impossibile decifrare l’assoluto dal relativo, l’oggettivo dal soggettivo.
“Oggi la relatività delle cose visibili è nota, di conseguenza consideriamo come un articolo di fede la convinzione secondo la quale, in rapporto all’universo, il visibile costituisce un puro fenomeno isolato e che ci sono, a nostra insaputa, altre numerose realtà”
(Paul Klee)

Ecco emergere Paul Klee, il pittore del relativismo oggettivo, nel senso, inestimabile, di non dire cosa osservare e come, lasciando al suo pubblico una possibilità enorme: scegliere, decifrare, assimilare ciò che preferiscono. Il titolo dell’opera è “Red Bridge”, per Klee quel ponte rosso è il centro focale dell’opera ma niente preclude il fatto di concentrarsi sul sole, o luna che dir si voglia, oppure sulla torre, sulle casette abbozzate, su quel cielo azzurro avvolgente, sui colori stessi, sulla geometria infantile con cui ha costruito gran parte della sua produzione.

In apertura abbiamo un suo quadro dal titolo “Eros”, in realtà non ha nulla di erotico, è una piramide, incrociata con una più piccola, completata con la presenza di tre frecce, due nere e una rossa. La piramide è l’organizzazione sociale del mondo, le frecce indicano una strada, l’eros è la strada che si sceglie di percorrere, risiede nella capacità di giungere a destinazione, di colpire un desiderio, di ottenere un successo personale. Sta a noi scegliere cosa sia quell’obiettivo, quale possa essere il nostro, soggettivo, ideale di affermazione. In questo senso, la parola eros, cambia di significato, si sposta nella mente e non nel fisico, lascia che sia il pensiero a soddisfare l’individuo e non il suo piacere erotico. Può essere un concetto complesso, difficile da assimilare ma, osservando bene i colori, l’andamento schematico dell’opera, dovrebbe risultare illuminante. Saper guardare avanti, scegliere dove andare e come, proseguire dritti verso una meta stabilita, a priori, senza lasciarsi distrarre dai colori, simboli degli ostacoli che la vita non smetterà mai di metterci davanti. Siamo noi a dover decidere, siamo noi a dover vivere secondo la nostra educazione, le nostre idee e i nostri ideali, senza lasciarci vivere dal condizionamento creato dal sistema politico, religioso, governativo che ci circonda ma, punto fondamentale, restando nei limiti del consentito, nei limiti di una vita che ci renda felici senza intaccare la gioia altrui. In questo senso vorrei richiamare un’opera di Sabatini:

Il negozio di colori se ne sta lì, in basso, al centro del quadro, silenzioso, solitario, sovrastato da una pioggia incessante di altri colori, capaci di distrarre, di distogliere nuovamente lo sguardo dall’oggetto simbolo del suo stesso quadro, La Coloreria. Cosa riuscite a vedere? Una casa, forse, un muro con una mensola, forse, un atelier di un artista, forse, delle finestre, forse, o forse proprio la coloreria. A voi la scelta, nessuno vi sta imponendo cosa guardare ma sarà ciò che riuscirete a vedere a dirvi chi siete, a stabilire quanto siate in grado di scindere i dettagli dall’assoluto essenziale.
“La curiosità, questo bisogno insaziabile di conoscenze.”
(Étienne Bonnot de Condillac, 1715-1780, filosofo, economista francese)
Viviamo in un mondo dove le cose importanti, nella maggioranza dei casi, non si vedono, sono celate, nascoste ai nostri occhi. La relatività si vede, ed è per questo che si trasforma in relativismo, perchè ogni occhio che osserva vede qualcosa di diverso, interpreta secondo un proprio metro di giudizio. La politica dovrebbe rientrare nel concetto di assoluto perché, il suo scopo, l’obiettivo principale, dovrebbe essere quello di rendere assoluto il benessere di un Paese ma purtroppo è gestita da uomini che, come tali, non sono possessori dell’assolutismo, sono relativi, ognuno lo è, non si potrebbe fare altrimenti. La mente ragiona a suo modo, essere inflessibili non è possibile, nemmeno la legge ha la facoltà di essere assolutista, ci sono sempre cavilli capaci di rendere relativa qualsiasi sentenza, qualsiasi decisione. La grande capacità dell’uomo saggio è quella di saper scindere dall’essere egocentrico, che lo guida, per rendersi super partes nei confronti del mondo che si fida di lui, che da lui deve trarre una guida, unica, univoca per vivere bene, per vivere in un mondo non anarchico, per vivere in pace. D’altra parte, la vita è una sola, non è possibile blindare il proprio istinto e reprimere le proprie inclinazioni ma bisogna avere chiara in mente una cosa: riconoscere l’essenziale all’interno delle cose tangibili, la mente saggia, poi, saprà prendere le decisioni migliori.
Arianna Forni
