“Ché nel mondo mutabile e leggiero | costanza è spesso il variar pensiero.“
(Torquato Tasso, “Gerusalemme Liberata”, 1581)
L’Arte dimostra spesso una necessità di ritrovamento, di infittirsi dei pensieri, di amalgamarsi nel proprio mondo attraverso grandi difficoltà. Chi fa arte, l’artista per eccellenza, cerca una strada, una via da perseguire, comoda, sicura per il proprio intelletto, per la persona che abita quel corpo simile a molti ma unico nel suo insieme. Fare arte è fare musica, ogni opera suona una melodia, ogni quadro, ogni statua, ogni palazzo storico, ogni oggetto artistico, tutto suona, noi dobbiamo solo riconoscerne le note, attraverso quell’orecchio assoluto dono di pochi, utile a tutti, utile nel seguire le orme di chi lo possiede ed è ben disposto ad accompagnarci verso il nostro futuro. I bambini imparano presto a camminare senza attaccarsi a qualcosa, senza tenere la mano della mamma, eppure, per camminare, veramente, da soli, servono molti, moltissimi anni. Serve studio, costanza, conoscenza, entusiasmo, esperienza e vitalità. Il giorno in cui si scopre come ritornare alla vita, immergendosi nel proprio contesto, allora, sì, si potrà dire di avere, davvero, imparato a camminare in modo indipendente. Ci vuole forza, non opposizione, ci vuole conoscenza e riconoscenza. Ci vuole rispetto e un forte senso di adattabilità, infatti, come dice Kafka:
“La forza che si oppone al destino è in realtà una debolezza.”
(Franz Kafka)
Forza e debolezza sono due aspetti che si intrecciano, continuamente, tra di loro, all’interno della nostra anima, nel nostro cervello, in quella mente che, a volte, ci consiglia bene e altre ci porta a commettere degli errori, non bisogna mai lasciarsi andare, mai guardare a sé stessi come qualcosa di sbagliato. Siamo tutti uomini giusti, alla nascita, è la crescita a trasformarci in individui veri, caratterialmente e socialmente accettabili, oppure errati, volti al male, dimenticando il bene con cui siamo stati messi al mondo. Dipende da noi ma non solo, dipende da chi ci circonda, dall’ambiente in cui siamo inseriti e nel quale, malgrado i buoni insegnamenti, alcuni si infilano con poche speranze di uscirne indenni. L’arte insegna anche questo, i libri contengono parole utili a capire un’infinità di cose, gli occhi guardano, osservano, vedono e devono, assieme alla conoscenza e all’esperienza, dirci da che parte andare, che strada imboccare, che obiettivo vogliamo raggiungere. Dobbiamo essere volonterosi, capaci di sacrificarci, di scegliere bene a cosa rinunciare, la vita non è solo gioioso divertimento infantile, la vita è responsabilità e soddisfazione, tratta proprio dall’aver preso la decisione giusta. Gandhi sa spiegare questo concetto molto meglio di me:
“La forza non deriva dalla capacità fisica. Deriva da una volontà indomita.”
(Mahatma Gandhi)

Allora possiamo guardare davanti a noi, osservare la natura, quella natura che ha saputo resistere alle intemperie, al passare dei secoli, all’uomo, all’inquinamento, è riuscita a migliorare sé stessa per regalarci, ancora, attimi in cui riflettere sul nostro cammino, guardando avanti con la speranza e lo stupore del fanciullino. Uno specchio d’acqua cristallina può sembrare qualcosa di molto semplice, di naturalmente concreto, in sé ha della magia, una magia che molti di noi non vogliono guardare, gli specchi spaventano, ci mettono davanti ad una visione distorta, riflesso della concretezza quotidiana. Guardiamoci, anche noi, allo specchio e concentriamoci su chi siamo veramente, non su ciò che vediamo nel barlume di una penombra mattutina, mentre ci sistemiamo per uscire di casa. Quello specchio ci sta raccontando la nostra storia che cambia, giorno dopo giorno, dobbiamo imparare a percepire il passare del tempo assumendoci le responsabilità del nostro divenire, del nostro oggi e del futuro domani, attimo dopo attimo. Forse, non siamo pronti, non si fermano gli orologi, non si può tornare indietro, è meglio farsi trovare preparati ad ogni evenienza. A “Un passo dal cielo”, 2011:

“Si dice che l’arte è lunga e breve la vita: Ma lunga è la vita e breve l’arte. E se il suo soffio ci eleva fino agli dèi – Non è che per un istante.”
(Ludwig van Beethoven)
Quell’istante, di cui parla Beethoven, è la vita, la nostra vita, l’arte, non di tutti ma per tutti, l’arte di saper trasmettere delle emozioni capaci di insinuarsi in un pensiero, condivisibile o meno ma che, in ogni caso, sa generare un ragionamento, una grande introspezione, un chiarimento interiore per rendere lucido quell’obiettivo scelto, prescelto per fare della propria esistenza l’arte di sé stessi. Questo è il ritorno alla vita, capire e capirsi, comprendere e comprendersi. Siamo umani, spesso, però, non siamo capaci di dimostrare umanità, sensibilità, partecipazione, solo l’arte è tutte queste cose messe insieme; abbiamo milioni di prove capaci di dare dimostrazione di questo concetto, semplice, vero. Guardiamo, per un attimo “Madame Monet e suo figlio”, di Claude Monet, 1875:

Ecco la vita, ecco il vento tra i capelli, il respiro della natura e dell’uomo, la crescita, la nascita, il divenire e il passaggio temporale tra la fanciullezza e l’età adulta, tra l’essere infantile, il gioco, e la responsabilità di un adulto che non vive più solo per sé stesso ma vive per la vita di una famiglia, nell’unico obiettivo di stare bene, in pace, sereni. Sotto quel sole, in quella campagna fiorita, primaverile, si sente il calore dei raggi del sole e il fresco dell’aria, si sente l’amore, la partecipazione e la responsabilità di prendersi cura di chi ne ha più bisogno, in quel momento. Il tempo passa, le cose cambieranno, chissà quando e chissà come, non è possibile conoscere il proprio destino ma è possibile scrivere le pagine della propria storia con la lungimiranza di cui siamo tutti portatori sani. Monet è un genio, nonostante non sia più in vita, vive nella sua arte. Quest’opera è una delle mie preferite perché racconta una storia concreta, moderna, passino le ninfee, belle, meravigliose, ma statiche, qui si vede il passare dei giorni, del tempo, degli anni, dei momenti belli, anche di quelli brutti, si vede la vita vera, si vedono colori sinceri, si vedono le ombre, il riflesso, lo stesso riflesso del lago di Braies, proietta un mondo vero rendendolo fiabesco ma da una fiaba, si sa, è sempre possibile trarre una morale ed è proprio quello che possiamo fare attraverso l’osservazione, attenta, di questa tela. Le delicate pennellate che raffigurano le nuvole in un cielo mosso dall’aria, dallo stesso vento che smuove gli abiti di Camille Monet, l’erba dipinta attraverso lo stesso stile, semplice ma incisivo, un tratto, questo, che non distoglie il pensiero dall’insieme dell’immagine, rendendo unico e univoco il pensiero a riguardo. Monet dipinge la sua famiglia, sua moglie, suo figlio Jean, lo fa con amore, lo fa per raccontare la vita, la sua evoluzione, immaginando quel futuro ancora intoccabile ma tangibile attraverso la stessa fantasia di un divenire in crescita, migliore rispetto al passato e diverso rispetto all’attimo presente.

Come l’acqua, scorre, fluisce, si muove, aumenta, diminuisce, si sposta e cambia, cambia continuamente, è solo il nostro istinto a garantirci di scegliere il meglio per noi e per tutti coloro che ci stanno accanto:
“Solo l’uomo istruito è capace, senza un reddito permanente, di avere una mente perseverante. Il popolo, se non ha un reddito permanente, non ha una mente perseverante. Quando non ha una mente perseverante, non c’è nulla che eviti in fatto di rilassatezza, di dissolutezza, di depravazione e di licenza.”
(Mencio, filosofo cinese)
In conclusione vorrei lasciarvi con un proverbio toscano, richiamando l’immagine in apertura, un proverbio ricco di significato, capace di smuovere il nostro inconscio come l’acqua di un lago, capace di farci capire, forse, cosa sia giusto e cosa, invece, sia del tutto errato:
“Dio ti salvi da un cattivo vicino, e da un principiante di violino.”
(proverbio toscano)
Arianna Forni