“Posso credere l’impossibile, ma non l’improbabile.”

(Gilbert Keith Chesterton)

Improbabile è tutto ciò che ci circonda e, nonostante potrebbe essere, non è. Impossibile è tutto ciò che non ci circonda e, per questo, non è, non sarà, forse. Impossibile e improbabile sono due concetti diametralmente opposti, l’impossibile è, proprio per la sua natura astratta e, pressoché, inimmaginabile, possibile, si può lavorare per raggiungerlo, si può sperare di dargli una forma. Improbabile è, dal punto di vista statistico, troppo lontano dalle nostre possibilità, difficile da credere, difficile da focalizzare, lontano da un obiettivo concreto. Allora, sì, posso credere l’impossibile, non l’improbabile. Posso sognare di superare i miei limiti, i nostri limiti umani, ma non posso pensare di raggiungere mete già tentate, già percorse e già valutate, appunto, come improbabili, trasformando un significato che lascia alla speranza l’assenza della speranza stessa. Allora, ci spostiamo, ruotiamo la nostra mente e il nostro corpo verso l’impossibile, quella strada mai percorsa; forse, noi saremo capaci di aprirci a nuovi orizzonti, di aprire il mondo a nuove conquiste. Così, e solo così, l’impossibile diventa possibile e l’arte prende forma. Esistono affermazioni contrarie a questo incipit, esortazioni a non mollare mai, l’incentivo dato dallo sport, dalla voglia di vincere, di farcela, costi quel che costi, la voglia di essere presenti negli annali della storia del mondo, non è così semplice, è per pochi, non conta essere i migliori nell’universo, conta essere i migliori per sé stessi, con una soddisfazione intima, personale, insita nel nostro cuore e in quella mente che non smette mai di ragionare, che ci spinge ad andare avanti a crescere, a studiare, a progettare. Impossibile, però, resta, ciò che è, un vocabolo illusorio, aleatorio ma possibile grazie alla propria forza, alle proprie conoscenze, a quella professionalità che si costruisce in anni di sacrifici, di impegno, di dedizione volta all’indipendenza, non solo economica, all’indipendenza mentale, psicologica, capace di rendere un individuo unico e irripetibile, individuabile nella sua stessa individualità. Un punto di riferimento è ciò, o chi, ha saputo superare l’impossibile, raccontando una storia semplice, per tutti utile, da tutti recepibile.

“Impossibile è solo una parola pronunciata da piccoli uomini che trovano più facile vivere nel mondo che gli è stato dato, piuttosto che cercare di cambiarlo. Impossibile non è un dato di fatto, è un’opinione. Impossibile non è una regola, è una sfida. Impossibile non è uguale per tutti. Impossibile non è per sempre.”

(Muhammad Ali)

Federico Clapis, Touch Scream, 2018 - da federicoclapis works
Federico Clapis, Touch Scream, 2018 – da federicoclapis works

Quel grido di speranza, quel grido di sfogo, quel grido di rabbia, quel grido di liberazione, quel grido di gioia, quel grido che sentiamo dentro di noi ogni mattina e ci aiuta a realizzare i nostri progetti con la consapevolezza di incontrare non poche difficoltà, forse, impossibili da superare, ma non improbabili. Quelle mani escono da uno schermo e si cercano, cercano di raggiungersi pur sapendo di essere imprigionate dentro un mondo talmente diverso da non congiungersi mai, come il falco e il lupo di “Ladyhawke”, film del 1985 e ancora attuale nella sua improbabilità, nell’impossibilità di sciogliere un incantesimo, nel limbo delle sofferenze illuminanti, spaesate, perse in un mondo che toglie tanto e rende poco. Cerchiamo di prendere il meglio, non il peggio, cerchiamo di amare noi stessi per ciò che siamo e non per ciò che potremmo essere.

“Potrei ma non voglio fidarmi di te
Io non ti conosco e in fondo non c’è
In quello che dici qualcosa che pensi
Sei solo la copia di mille riassunti
Leggera, leggera si bagna la fiamma
Rimane la cera e non ci sei più”

(Samuele Bersani “Giudizi Universali”, 1997)

Federico Clapis, Existential Question, 2018 - da federico clapis new works
Federico Clapis, Existential Question, 2018 – da federico clapis new works

Le domande esistenziali fanno parte dell’uomo, ognuno ha le sue, nasce con queste domande e passerà l’intera esistenza cercando delle risposte. La ricerca continua ci mette nella condizione, positiva, di dover crescere, di avere la voglia e la necessità di andare avanti, di progredire, di rendere noi stessi migliori. Alle volte, però, serve fermarsi, in una grotta, in un luogo, per noi, sicuro, e pensare, pensare al passato, al presente, al futuro, con la lungimiranza di chi sa di avere un cuore e non vuole, assolutamente, farne a meno. Il cuore non comanda, nonostante il detto al cuore non si comanda, il cuore può consigliare ma è la razionalità a farci prendere le decisioni giuste, chi agisce d’istinto precipita nel baratro, va a sbattere contro un muro e poi? Poi deve ricominciare da capo, raccogliendo i cocci, incollando ciò che ha rotto ma, si sa, riparare non riporterà mai indietro l’originale. Noi siamo originali e ciò che vorremmo non sempre è possibile, a volte è ragionevolmente raggiungibile, nella sua impossibilità, altre è talmente improbabile da farci desistere ancora prima di avere iniziato. La correttezza di vivere è saper riconoscere ciò che è giusto rispetto a tutto ciò che è sbagliato, sapendo che, attorno a noi, sono più le cose malvagie e negative rispetto a quelle positive, predisposte ad aiutarci nel nostro lungo, o breve, percorso. Liberiamoci dal male, come diremmo in una preghiera, affidiamoci a ciò che siamo e andiamo avanti. L’amore per la vita ci pone davanti a delle scelte, spesso difficili, doverose, imprescindibili. Questa è arte e sono molte le opere, esistenziali, a porci di fronte a queste grandi necessità:

William Girometti, C...come condizionamento, 1976 - da Wikipedia
William Girometti, C…come condizionamento, 1976 – da Wikipedia

“E vorrei poterti amare
fino a quando tu ci sarai
sono nato per regalarti quel che ancora tu non hai,
così se vuoi portarmi dentro al cuore tuo, con te io ti prego, e sai perchè…
Vorrei, vorrei…
esaudire tutti i sogni tuoi,
vorrei, vorrei…
cancellare ciò che tu non vuoi
però, lo sai che io vivo attraverso gli occhi tuoi…”

(Cesare Cremonini, Lunapop, “Vorrei”, 1999)

Cesare Cremonini parlava di un amore, difficile, improbabile, io parlo di vita, traslando quell’amore su noi stessi, sulla nostra intima conoscenza di ciò che siamo e di ciò che vorremo essere, nel nostro divenire, nel nostro domani, guardando attraverso i nostri occhi, sfidando le nostre capacità, cercando di superare, ancora una volta, quei limiti che, noi stessi, fissiamo come paletti lungo il nostro cammino. Non siamo nati per avere dei limiti, siamo nati per superarli, per noi, grazie a noi, insieme a noi, con la certezza di essere sempre in compagnia del noi visibile e del noi psicologico, due entità, spesso, in lotta, due entità, spesso, in unione. Amiamoci.

“E poi, lo sai, non c’è
Un senso a questo tempo che non dà
Il giusto peso a quello che viviamo
Ogni ricordo è più importante condividerlo
Che viverlo
Vorrei ma non posto”

(Fedez, “Vorrei ma non posto”, 2017)

Forse, allora, sarebbe meglio non “postare”, eppure anche questo è uno stratagemma per vederci da fuori, per avere un responso, per capire come siamo visti, come siamo in grado di osservarci dall’esterno tramite un mezzo digitalizzato in grado di raccontare una vita reale. Siamo sempre più digital, social, e sempre meno veri, la carta muore e noi trinceriamo noi stessi dietro ad uno schermo asettico, eppure ci guardiamo, ci riguardiamo, fino ad avere la nausea di quell’immagine sempre diversa, giorno dopo giorno. Qui, in questo punto, arriva l’esplosione dell’intima comprensione di ciò che siamo e di ciò che vorremmo essere, avere. Siamo noi, ed è ciò che ci muove, ci smuove, vale per me: e per voi?

“i’d like to make myself believe that planet earth turns slowly.”

(Owl City, 2009)

Arianna Forni

 

 

 

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