Silenzio, calma, pace, speranza, uno sguardo verso un domani migliore, la voglia di scoprire il proprio futuro, avvolti, ma non oppressi, da quel caos di pensieri che stravolge la nostra mente, ovattati dentro la bolla di un pesce rosso, sicuri di non essere intaccati dal mondo malvagio, certi di poter andare avanti scoprendo ciò che siamo, veramente. Osservare quelle particelle, una dopo l’altra, ognuna artefice di una parte della nostra vita, bella, brutta, forse entrambe, ma, pur sempre, parte integrante di ciò che siamo, della nostra storia personale, del nostro presente e di quell’ignoto futuro, sarà. Indiscutibilmente sarà, deve essere, è così per tutti, sarà così anche per noi. Chissà dove e chissà come, questo non è dato da sapere, lo scopriremo mano a mano, il tempo non si ferma, non ci lascia tregua. Il nostro dovere, però, è soffermarci su quelle particelle, con la lente di ingrandimento della nostra mente, del nostro cuore. Osservare per capire, guardare tutto, anche le cose che non vorremmo vedere, anche quelle peggiori affiancate, grazie al Cielo, a tutte le cose belle vissute e, ancora, da vivere. Un vuoto immenso colma i quadri di Paolo di Rosa, intrisi di sensazioni, di quella calma tanto bramata, di quel desiderio di scoperta, di voglia di solitudine in un mondo costruito nel caos calmo di una routine ossessionante, aberrante. Un vuoto che, di per sé, potrebbe non dire molto, ma in realtà è l’essenza stessa di queste opere. Paolo non è solo un artista, è un mago, un mago che riesce a dipingere l’introspezione di ognuno di noi, degli osservatori profani, dei critici, di tutti. Lui sa, lui sente, lui comunica, lo fa con la pittura, poche parole e tanti silenzi, quella calma di un mondo popolato da personaggi, ogni volta, diversi l’uno dall’altro, eppure uguali nel contenuto. La speranza, la voglia di migliorare e di migliorarsi, di nascondere al mondo i propri pensieri, conservare la propria privacy, tutelarsi dall’oblio guardando, sempre, avanti. Lasciando volare, quei pensieri, sopra la propria mente, come nuvole, come un turbinio di forze esplosive che spingono l’uomo a crescere, a maturare, a capire, a capirsi.

Quest’uomo senza volto è l’umanità intera, avvolta dai propri pensieri, alienata dalle sue stesse preoccupazioni. La solitudine del mondo che non sente, non capisce, non vede e non vuol vedere ma, lui, imperterrito, cammina, prosegue lungo la sua traiettoria, lasciando, dietro di sé, le particelle sensoriali del suo ego, profondo, nella profondità di quei pensieri che lo rendono solo seppur inserito nel contesto moderno, caotico. Osservare il vuoto significa capire il senso dell’opera, osservare il vuoto significa dare un senso al nostro essere fatto di essenza tangibile e astratta, concreta, volumentrica, rarefatta e ignota. Siamo un mistero. Lo stesso mistero che ha reso immortale Dante Alighieri, incompreso, sì, nel suo tempo, ma vivo, vivido, limpido, chiaro e allo stesso tempo confuso nella marea di tecnologia che ci circonda, nei nostri pensieri divaganti, nei nostri smartphone sempre in mano. Chissà cosa penserebbe, il Sommo Poeta, di questo marasma in continua evoluzione involutiva, chissà dove guarderebbe, chissà quali sarebbero i suoi pensieri. Confusi, questo è certo, ma non così tanto da imbrigliarlo nell’inganno del proprio immobilismo.

Affiancare questi due quadri è una delle magie di questa mostra. Un Dante moderno ma antico, uguale a sé stesso ma talmente plasmabile da saper accettare il cambiamento nonostante quella nuvola di pensieri che lo avvolge, una nuvola lontana, non lo lega, lo segue ma non gli impone solitudine, non la guarda, la sente ma non ne percepisce il peso perché sa convivere con il vuoto attorno a sé, sa di essere sé stesso, uguale a sé stesso, nella sua forza interiore che gli ha permesso di continuare a vivere tra coloro che chiamano “antico” il suo tempo. Nel canto XVII del Paradiso lo aveva predetto e noi, tutti, ne siamo talmente affascinati da volerlo conoscere sempre più a fondo. Al suo fianco, però, vediamo un uomo di oggi, un signore anziano, il suo foglio bianco in mano per creare quella barchetta. Per molti è un gesto automatico, la ripetizione ci rende automi delle nostre stesse azioni, non facciamo più caso al pensiero, concettuale, grazie al quale abbiamo imparato a trasformare un rettangolo di carta in una barchetta. Si vede che sta pensando, sta visualizzando i vari passaggi, mentre lo fa si distrae, il mondo, attorno a lui, confonde l’atmosfera e con essa il ragionamento metodico per giungere al termine di un prodotto semplice. Quel pesce, grande, enorme, lo osserva, si spinge verso di lui, lo porta lontano, ma l’uomo non demorde, fissa il foglio che tiene tra le mani. Deve farcela. Tutti dobbiamo farcela, tutti abbiamo una barchetta da costruire.

Già, tutti. Allo stesso tempo, tutti abbiamo una nuvola pesante da portare a spasso giorno dopo giorno, diventa sempre più grande. Più cresciamo, più le responsabilità aumentano, più aumentano le preoccupazioni e il senso del dovere, con esso cresce la nuvola dei nostri pensieri; non dobbiamo e non vogliamo abbandonarla, fa parte di noi, a volte ci annebbia la vista, altre ci apre degli spiragli di luce e poi si addensa, ancora e ancora, dobbiamo risolvere le nostre questioni interiori, dobbiamo inserirci nel mondo, smetterla di sentirci soli, dobbiamo vivere e condividere, forse, a quel punto, il peso della nuvola diminuirà, verrà stemperata nell’etere del mondo buono in cui abbiamo deciso di inserirci. Calma, pace, serenità e speranza. Un mondo migliore; per chi? Per noi? Per voi? Per le nuove generazioni? Forse.

La scoperta, la gioia di sapere che si sta crescendo, la possibilità di stupirsi, di farsi una grande esperienza varcando quella linea, quella traiettoria, uscendo dagli schemi, guardando oltre. Crescere. Questa bimba non lo sa ancora ma, un giorno, la sua esperienza servirà a qualcuno per capire il mondo, per apprendere e comprendere, allora sì, le particelle prenderanno forma, avranno una continuità tra passato, presente e futuro. Non servirà più la lente di ingrandimento, basterà soffermarsi sui propri ricordi e sarà tutto più chiaro.

Gomitoli di esperienza, colorati dai propri pensieri, dai sentiementi che ci hanno permesso di capire e che, ora, serviranno ad altri, serviranno ad aprire le menti di chi è ancora imprigionato dai propri pensieri, chiuso nella gabbia fatta di vincoli mentali, non fisici. Basterebbe riuscire ad infilare un filo, uno solo, dentro quella cruna, seguire la matassa senza perderne il bandolo, come Arianna e il suo filo, in un dedalo molto simile alla vita che stiamo attraversando, con gioia, con speranza. C’è un inizio e una fine per tutti, non si possono identificare né con la nascita né con la morte. L’inizio è una presa di coscienza, la fine è un abbandono di forze, è il momento il cui la stanchezza prevale sul peso della nuvola, sul senso di solitudine, sull’inesorabile voglia di trovare la propria pace e il proprio equilibrio, il proprio personale sostegno. Non sarà mai chiaro a nessuno chi sorregga e chi sia sorretto, sarà palese agli occhi di tutti, però, che la via della vita è pura magia, proprio come le opere di Paolo di Rosa, proprio come l’esistenza di ognuno di noi.
Arianna Forni
