Alessio Calega, nato a Firenze nel 1982, è, davvero, il ragazzo dai mille cuori. Vibranti di emozione, pulsanti di quell’ossessione che, ognuno di noi, porta proprio all’interno del nostro organo vitale più importante. Spesso è proprio il pulsare del sangue nelle vene a determinare il nostro umore, a stabilire chi siamo veramente, dove vogliamo andare e come poterlo fare. Il cervello segue, sebbene con un raziocinio differente, a volte catartico, altre ottimo consigliere per evitare il burrone. In fondo, però, è il cuore a comandare l’anima, è il cuore a suggerirci le emozioni, siano esse positive o negative. Il cuore in gola, il cuore teso e sotteso verso un infinito lontano, verso un futuro ignoto, verso un domani di cui, alle volte, non vorremmo avere consapevolezza. Le giornate vanno vissute appieno, vissute con il cuore in mano, a dimostrazione della nostra umana mortalità. Siamo fatti da quel cuore, siamo vivi finché batte; quel battito è un alito di speranza, una fresca brezza primaverile, utile, sempre, a farci sentire indispensabili al mondo, a qualcuno, forse solo a noi stessi. Batte, ed è quel battito animale, di cui tanto ha cantato Raf, a renderci umani.

Lascio la parola ad Alessio, alle sue peripezie, ai suoi sogni e ai suoi albori:
1. Da dove nasce il tuo stile e come hai deciso di svilupparlo?
Da un esigenza di dover dar corpo alle mie ossessioni, renderli messaggi comunicativi. É un’evoluzione continua che cresce insieme a me, non si fermerà mai. Usare diversi tipi di materiali complica il lavoro, lo rende ogni giorno differente, ti pone nuove sfide e il raggiungimento di nuovi traguardi, questo è, davvero, molto importante.
2. Chi sono i tuoi maestri e le tue fonti di ispirazione e cosa prendi da ognuno di loro nella costruzione di ogni opera?
Sono nato e vivo a Firenze. È impossibile non conoscere e studiare chi ci ha preceduto, questo vale, soprattutto, nella prima fase della proprio lavoro, dobbiamo cercare la nostra identità e riuscire a dargli quella credibilità che merita. Mentre parlo non riesco a non pensare agli accostamenti cromatici negli affreschi di Andrea Pozzo, quando costruisco alcune situazioni nei miei lavori penso molto a lui.
3. Credi che l’età possa penalizzare? Il settore artistico è colmo di opere, poche, a mio avviso, sanno trasmettere qualcosa di vero, le tue sanno arrivare, proprio, nel profondo del cuore: come pensi di poterle raccontare? Cosa vorresti che, il tuo pubblico, vedesse?
Non la vedo come una penalità ma bensì una poca messa a fuoco delle proprie potenzialità. Il tempo penso sia di vitale importanza. Spesso il mio lavoro non è immediato, arriva con calma al fruitore. Durante le mie esposizioni c’è sempre l’aggiunta di una performance teatrale che aiuta ad immergere le persone nel racconto che voglio narrare.

4. Se dovessi scegliere un artista a cui vorresti essere paragonato chi sceglieresti?
Sono sempre stato refrattario ai paragoni. Non li faccio mai. Penso che ogni percorso di vita, anche se simile, porterà sempre ad un risultato differente. Sarei comunque molto attento nel rapporto che potrebbe nascere accostando il mio lavoro a quello di un altro artista.
5. Il tuo luogo di nascita ti è utile nel processo cognitivo legato alla nascita e idealizzazione del tuo concetto artistico?
Credo di non aver mai messo a fuoco questo tipo di processo mentale. Non sono sicuro di saperti rispondere con sicurezza, però mi piace pensare che la mia Firenze abbia aiutato e aiuti l’evoluzione del mio lavoro.
6. Vorrei che ci spiegassi il senso espressivo e cognitivo dei tuoi cuori, soprattutto sotto l’aspetto rappresentativo così concretamente fisico:
Questo cuore nato come rappresentazione basilare di un battito è divenuto grafia personale. L’immagine del cuore cardiaco regge molto bene il carico di rappresentare l’anima o un individuo, diventa così matrice di un linguaggio duttile sotto molti aspetti.

7. Potresti raccontarci la storia che ti ha avvicinato a questo tipo di arte?
E’ nata rappresentando l’ossessione, una parte spesso presente nei miei lavori. Nel 2012 rappresentai con una serie di opere il racconto di Edgar Alan Poe “Il cuore rivelatore”, stavo studiando il modo più adeguato per rendere palpabile quel battito accelerato e angosciante che tanto disturbava il protagonista. Nacquero così i primi cuori, ancora non sapevo che mi avrebbero fatto nascere degli interrogativi di ricerca che ancora oggi porto avanti con evoluzioni continue. Un semplice battito è diventato uomo, anima, emozione, sentimento, situazione. Racconto delle storie, penso che ognuno di noi, almeno una volta, lo abbia visto rappresentato nei miei lavori.
8. Come è stato il tuo percorso di studio didattico e personale utile a costruire tutto questo splendore calamitante?
Dopo il diploma di istituto tecnico non ho frequentato il percorso di studi artistici canonici, ho cominciato a lavorare per potermi mantenere e allo stesso tempo ero residente in pianta stabile all’interno dello studio della pittrice Franca Vannoni; sono rimasto con lei per sei anni dove ho appreso le mie conoscenze pittoriche. Ho un ricordo meraviglioso di quegli anni, non sentivo il senso di fatica delle ore passate sia a lavorare che a studiare. Ha fatto si che mi rendessi conto di non poter vivere senza la pittura.
9. Se potessi guardare nel tuo futuro cosa riusciresti e vorresti vedere?
Tendo a non pensarci troppo per evitare di essere influenzato sul mio lavoro. La riconoscibilità, credo sia quello vorrei avere dal mio lavoro, potrebbe essere un bella concessione dal futuro.
Dott.sa Arianna Forni
