“Invece di cacciar farfalle, caccia il tuo talento” (Alberto Savinio)
Per parlare d’arte bisogna, per forza, cercare nei meandri del talento umano, dell’introspezione espressiva, capace, per ognuno di noi, di osservare differenti punti di vista di un soggetto comune. Vale per tutti, vale per gli artisti; vale per gli individui che sanno di essere parte dell’arte. Quindi: parte integrante della Terra.
“Prima sogno i miei dipinti, poi dipingo i miei sogni” (Vincent Van Gogh)
Un sogno, tanti sogni, vaghi ricordi di una notte travagliata o serena. Poco importa. Le sensazioni, la cultura e la sensibilità ci garantiscono di poter scegliere cosa e come interpretarlo. Scegliere non significa escludere, scegliere vuole dire prendere una posizione nei confronti di qualcosa, qualsiasi essa sia. Scegliere è sinonimo di vita. Partiamo dal presupposto che ci siano soggetti, particolarmente, inflazionati nel contesto dell’arte moderna, così come nell’arte contemporanea. Questi stessi soggetti vengono ritratti in modo diverso a seconda dell’artista, in base alla sua personale scelta espressiva. Partiamo da Giorgio de Chirico, “L’Archeologo”, del 1927

Un uomo senza volto, un uomo solo con la sua cultura, un uomo capace e, allo stesso tempo, incapace, di proteggere quella storia da cui proveniamo; quel passato utile ad aver cambiato tante cose: l’habitat sociale e sociologico, l’approccio al cambiamento, le relazioni sociali, l’intelletto globale, il governo istituzionale internazionale, la politica, l’educazione, e così via. Proveniamo da qualcosa di grande. Siamo frutto di ciò che ci ha preceduto, di ciò che abbiamo passato. Attraversiamo le stesse strade calpestate da coloro che, prima di noi, hanno vissuto il loro contemporaneo. Nessuno arriva dal nulla, sembra scontato, per molti non lo è. “Mi sono fatto da solo”, uno slang orribile sia nel suono che nel significato. Nessuno “si è fatto da solo”, siamo tutti fatti dal nostro passato e da quello di chi ha avuto l’opportunità di nascere in altre epoche. Questa è la base della cultura. L’Archeologo di Giorgio de Chirico prova a dircelo, chissà che qualcuno non abbia capacità di illuminarsi d’immenso. Eppure, lo stesso soggetto ritratto da Filippo de Pisis sembra raccontare qualcosa di molto diverso. Era il 1928, solo un anno di distanza l’uno dall’altro, solo un batter di ciglia, è proprio questo a permetterci di osservare quell’espressione introspettiva capace di rovesciare la medaglia, di raccontare un’altra storia.

Un sogno diverso, un uomo visibile in abiti eleganti, il fruscio del vento tra le foglie, il pigolare degli uccelli in volo e poi quelle gambe, quel volto, quelle rovine abbandonate, distrutte dallo stesso genere umano che le ha realizzate, devastate per dimenticare. Questo quadro è un grido disperato, nessuno deve scordarsi da dove viene, nessuno deve avere la presunzione di credere di essere migliore. Di cosa? Di chi? Quelle statue, quelle sculture, quelle opere d’arte ci rappresentano, raccontano la nostra crescita. Annientarle è l’aberrazione di una società ignorante, inconsapevole, presuntuosa, egocentrica, cieca di una cecità ricercata per non doversi documentare, per non dover studiare. Diavolo, ma chi siamo diventati? Un popolo di inetti, di italiani medi alla J-Ax. Rabbrividisco se penso a “La cura” di Franco Battiato:
“Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie
Dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via
Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo
Dai fallimenti che per tua natura normalmente attireraiTi solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d’umore
Dalle ossessioni delle tue manie
Supererò le correnti gravitazionali
Lo spazio e la luce per non farti invecchiare”
Allora guardiamo “Ritratto dell’antiquario Rocchi”, de Pisis, 1931. Gli anni sono gli stessi, l’argomento non si discosta molto dall’archeologo, anzi, qui ci troviamo di fronte ad un uomo vero, un uomo con l’arte di riportare in vita la storia distrutta, un uomo cosciente, colto, dai valori forti, raffinato nei gusti e, soprattutto, nel cuore. Un uomo capace di superare le correnti gravitazionali per non far invecchiare ciò che siamo stati, solo da lì possiamo imparare come migliorarci.

Quell’eleganza sottile, quello sguardo benevolo, quella posizione accomodante, gentile; ci sta parlando, sta aprendo le porte del suo studio per dirci, cordialmente, quanto sia importante ridare vita al nostro presente grazie al nostro grande passato. Un passato che ha permesso a Pierre-Auguste Renoir di dipingere “Donna con pappagallo”, nel 1871.

Ecco cosa è in grado di fare la storia, per noi e per chi verrà dopo di noi. Ci insegna a vivere, ad osservarci, a capire che, in fin dei conti, non siamo cambiati. Ci piace vestirci bene, ci piacciono le cose eleganti e raffinate, ci piace vivere a modo nostro, seguire le nostre passioni, ci piace avere degli obiettivi concreti. L’uomo nasce per crescere, non si sa spiegare la nascita tanto quanto non si è capaci di spiegare la morte; la sola cosa di cui abbiamo consapevolezza, nonché l’obbligo di una conoscenza storico-culturale, è quel breve spazio di tempo in cui abbiamo la fortuna di stare al mondo. Imparare dal passato, personale ed epocale, non dovrebbe essere difficile, eppure commettiamo sempre gli stessi errori, ci guardiamo vanitosi nei nostri specchi e ci sentiamo migliori di chi ha calcato questa terra prima di noi. L’espressione introspettiva degli artisti ci regala la possibilità di guardare l’evoluzione dell’uomo dall’interno di un contemporaneo sconosciuto; ci permette di capire come e perchè siamo cambiati, ci dà la possibilità di modificarci. Ci vuole sapienza, saggezza e voglia di fare fatica. Nessuno ci regala niente, nemmeno Napoleone Bonaparte, dalla sua grande potenza, è potuto sfuggire al devastante declino.

Da quella sella, sicuro di essere un vincente, all’umiliazione dell’esilio.
“Ei fu. Siccome immobile,
Dato il mortal sospiro,
Stette la spoglia immemore
Orba di tanto spiro,
Così percossa, attonita
La terra al nunzio sta,
Muta pensando all’ultima
Ora dell’uom fatale;
Nè sa quando una simile
Orma di piè mortale
La sua cruenta polvere
A calpestar verrà.” (“Cinque Maggio”, Alessandro Manzoni, 1821)
Ricordiamoci proprio questo, ricordiamoci di quell’orma di un piede nuovo che calpesterà la nostra stessa polvere, attraverserà le nostre stesse strade, abiterà nelle nostre stesse città, nelle stesse case, avrà i nostri stessi sentimenti ma, e qui viene l’espressione introspettiva, avrà occhi diversi dai nostri, altri punti di vista, altri sogni da dipingere, altri desideri, eppure non potrà esimersi da studiare chi, prima di lui, abbia fatto, concretamente, qualcosa per cambiare il suo contemporaneo e, conseguentemente, il nostro.
Dott.sa Arianna Forni
