INTERVISTA – Pietro Morello, l’ardore di mantenere la calma
Pietro Morello, 21 anni, un ragazzo giovane, forse, troppo giovane per come si esprime, forse, un alieno arrivato su questa Terra per aiutarci a capire qualcosa che dovremmo già sapere: la cultura è fondamentale, i valori sono indispensabili, la vita è una e bisogna viverla con responsabilità, verso sé stessi e verso gli altri. Parlare con lui è come ascoltare la sua musica, non c’è mai confusione, solo calma, solo pace; questa pace la trasmette con il suo pianoforte, la trasmette durante le Missioni umanitarie, in giro per il mondo; la trasmette perché ce l’ha dentro. Morello è un ragazzo sereno. Al Diavolo l’immagine dell’artista dannato, al Diavolo l’urlo del pubblico e lo strapparsi le vesti per toccare il musicista sul palco, al Diavolo l’idea che avere tanti soldi sia la soluzione alla nostra esistenza; andiamo oltre, ripeschiamo i valori dei nostri genitori, dei nostri nonni, torniamo ad apprezzare la scuola, l’odore dei libri, il sapore della conoscenza. Andiamoci insieme, si sà: l’unione fa la forza. Ecco le sue parole:
Quando sei nato e dove? Da dove nasce la tua passione e quando hai scoperto di essere un vero talento, a quanti anni?
Sono nato il 14 maggio ‘99 a Moncalieri, attaccato a Torino. Attualmente vivo a Torino in un angolo di verde. I miei genitori sono insegnanti di scuola, mia madre insegna al nido, mio padre alle medie, è proprio da qui che nasce il rapporto con i bambini che porto avanti anche con le mie missioni umanitarie. Mio padre è insegnante di Storia dell’Arte, quindi è un grande divulgatore di arte. Abbiamo viaggiato in tutta Italia alla ricerca della grande cultura, ho visto luoghi meravigliosi, le sue parole hanno reso tutto ancora più magico e interessante. Poi, beh, l’associazione arte e musica è facile da concretizzare, è stato un attimo, nonostante nessuno dei miei genitori sia un musicista ho avuto, da subito, questa grande attrazione; mia madre suona la chitarra con i bambini ma è più un gioco che una professione, si tratta di intrattenimento culturale. Il primo strumento che ho preso in mano è proprio la chitarra, ho studiato con un insegnate che poi si è trasferito a Malta, si sà, in italia è dura campare di musica; mia sorella, invece, studiava pianoforte, avevamo una tastiera pesata, quando lei ha smesso io ho iniziato a giocarci guardando video e studiando da autodidatta e ho continuato a studiare da solo, non ho mai dimenticato l’importanza della tecnica che mi aveva imposto il mio insegnate di chitarra, le mie basi teoriche vengono da un numero di libri immenso, continuo a studiare. Ho sempre associato il suonare con la passione per la musica, io adoro la musica classica e scrivo per una rivista di opera, l’espressione più alta della musica stessa. Mi definisco un autodidatta sullo strumento ma per conoscere la musica si deve studiare, non ci sono scorciatoie. Quando, io e la mia famiglia, abbiamo capito che, tutto sommato, avevo delle buone capacità, è arrivato il mio primo pianoforte vero e tra breve mi arriverà quello nuovo che ho preso con le mie forze, ne sono molto orgoglioso. La musica è diventata, conseguentemente a tutto questo, una cura, sfrutto il dialogo musicale e le emozioni che suscita anche durante le missioni umanitarie.

In generale cosa pensi degli artisti di oggi e del mondo dell’arte contemporanea?
Purtroppo raramente la vera arte emerge, esiste un meccanismo socio-economico che regolamenta tutto. Il primo riferimento negativo che mi viene in mente è riferito alla trap, per esempio Madame, una mia grande amica, fa dei testi bellissimi ma spesso cade proprio nell’utilizzo della trap e questo non mi piace. La trap utilizza dei termini sbagliati, privi di contenuto culturale, è una dequalificazione sociale, ridurre la donna a bitch, il bello a money è svilente, si perde quanto abbiamo di veramente importante, quanto esiste nell’anima delle persone e non solo nell’apparenza. Tutto il contrario di quello che era il Punk, un movimento come protesta sociale, un grido di aiuto, di rivoluzione, di cambiamento. Ora si fa musica solo per attrarre gente e soldi, per me la musica deve essere solo musica, uno sfogo personale e un’arte che sappia regalare emozioni nella purezza del messaggio trasmesso.
Se dovessi scegliere un artista a cui ti sei ispirato o dal quale hai appreso parte delle tue conoscenze, chi sceglieresti?
Ne cito solo alcuni. Il primo, sicuramente, è Ed Sheeran, non tanto per il personaggio da idolatrare ma perché è nato per strada, ha avuto un periodo commerciale ma poi ha scelto di tornare alla vera arte rinunciando alla fetta di popolarità e ai soldi che ne conseguono, è, per me, una fonte di ispirazione morale. Ennio Morricone sia dal punto di vista della composizione che come persona, lui ha sempre insegnato agli altri, la ricetta della felicità è darla agli altri, ecco, lo vedo come ispirazione umana. Alessandro Mannarino, invece, ha deciso che la musica si rifletta in uno sfogo, politico, mentale, personale, sociale, si collega molto a De André, lo trovo una bellissima immagine di ciò che dovrebbe essere la musica per ogni musicista.

Da dove si sviluppa il tuo processo cognitivo legato al tuo concetto musicale e stilistico?
Non devo cercare mai l’ispirazione, io scrivo per sfogarmi, per dare emotività a quello che voglio fare. Quando mi viene voglia di urlare al piano lo faccio, sento quando è il momento e suono. Suono e basta.
Essere un musicista, al giorno d’oggi, soprattutto un “solista” è molto difficile, la gente non si lascia più catturare dal classico ma vuole effetti speciali, grandi show, tu riesci a coinvolgere e commuovere il tuo pubblico: come ci riesci?
Per prima cosa è la legge dell’adattarsi, la cosa che sbagliano i musicisti di oggi è criticare i social invece di cercare di cambiarli, io ho investito moltissimo nei social, per esempio TikTok, so di dovermi mostrare nel modo giusto perché la gente si interessi a quello che faccio, allo stesso tempo, però, cerco di farlo trasmettendo valori importanti e passando dei messaggi sani. Proprio su TikTok mi segue poco meno di un milione di persone, sono numeri da capogiro raggiunti solo grazie al fatto di aver trovato la chiave giusta con cui propormi alle persone. Parlo di cultura, suono la mia musica e lo faccio in modo leggero, la gente mi ascolta perché ho trovato un punto di incontro tra i loro interessi e i miei. Su Instagram cerco di raccontare più cose, anche in modo più specifico ma mantengo un atteggiamento simpatico e divertente in modo che ogni messaggio arrivi a chiunque decida di seguirmi. Io sono molto meno bravo di tanti altri musicisti, sia a suonare che a comporre, a differenza loro, però, ho saputo adattarmi al mondo in cui vivo sfruttando i canali che abbiamo a disposizione.

Che rapporto hai con i Social Network e con i tuoi followers? Credi sia un mezzo di comunicazione importante in ambito artistico?
La mia speranza è proprio che i miei followers vadano oltre, il fine ultimo è far sì che i valori che cerco di passare, arrivino al cuore delle persone. Mi capita raramente di fare delle critiche, se lo faccio è solo se sono in grado di argomentare. Vorrei riuscire a trasmettere cultura, arte, accettazione, rispetto, insomma tutto ciò che si sta perdendo nella notte dei tempi. I social, in ogni caso, danno un sacco di contatti e un sacco di esperienza, raramente danno soldi, io forse guadagno 80 euro al mese, non svendo mai quello che faccio solo per i soldi, mi fanno schifo i soldi, c’è gente che vive solo per quello, non sono io. Sarebbe fondamentale far capire alle persone che strumenti abbiamo a disposizione, i social sono una macchina straordinaria, una macchina infernale che può essere cambiata in un mezzo di trasmissione culturale, un nuovo divulgatore, utile a cambiare la società attuale. Non è facile ma se lo capissero tutti sarebbe la rivoluzione perfetta. Io voglio regalare l’arte vera, io faccio arte, vorrei che la gente tornasse ad apprezzarla per quello che è, cancellando i contorni da show da milioni di euro e via dicendo. Non voglio criticare le persone, Angela Mondello non mi ha fatto del male ma sta facendo del male alla società, credo che ne parlerò presto in uno dei miei video. Per esempio, tanti mi chiedono perché abbia i capelli bianchi, molti pensano lo faccia perché fanno “personaggio”, in realtà no, li ho così perché piacciono tanto ai bambini.

Cosa vuoi trasmettere attraverso la tua musica? La musica, si sa, è magia per eccellenza, è poesia, è storia, cosa significa per te?
La musica è sfogo ma non è solo quello, è anche fama, è far ascoltare la propria musica alle persone, è scriverla per qualcuno, è un regalo che puoi fare a qualcuno senza incartarlo. Quando suono è spesso per me, quando improvviso è solo per me, quando scrivo è sempre un regalo per qualcuno.
Chi è stato il tuo maggior sostenitore/trice e chi, invece, ha cercato di farti desistere?
I miei genitori mi sostengono al 100%, da sempre. Mi hanno sempre aiutato, mi hanno sempre comprato gli strumenti, non era un capriccio e nemmeno un viziarmi, da parte loro, era un modo per riconoscere il fatto che ne valesse veramente la pena. Mi hanno anche fatto capire che i soldi non sono il fulcro della vita ma sono necessari per vivere, di sola musica non si campa, a meno che non ci siano molte componenti e coincidenze astrali incontrollabili. La musica è interpretare, fare il mediatore culturale, la musica può essere tutto, è tutto, loro mi sono sempre stati vicino, mi hanno sostenuto e mi sostengono ancora. La società invece mi ha ostacolato perché senza un pezzo di carta in mano non sei un musicista, se non hai il diploma del Conservatorio non sei nessuno, se sbagli la diteggiatura non sei bravo, non importa quello che suoni e come lo suoni, importa che qualcuno lo attesti se no sei fuori.
Se potessi guardare nel tuo futuro cosa riusciresti e vorresti vedere?
Ho due possibilità, sto studiando Comunicazione Interculturale quindi potrei arrivare a fare mille cose che coniugano l’arte in mille modi, sia come sociologo che come mediatore culturale; la seconda, invece, beh: vorrei fare il pompiere; non ho mai avuto un grande rapporto con le forze dell’ordine ma trovo che i vigili del fuoco siano gli eroi allo stato puro. Entrambe le cose non escludono la musica, ovviamente.
Parliamo delle tue missioni umanitarie: quando hai sentito la necessità di farne parte e perché?
Vivendo in questo contesto famigliare molto propositivo ho sempre avuto voglia di aiutare, anche da bambino volevo donare a chi ne aveva bisogno, sia dal punto di vista della cultura che delle cose di primaria necessità, ho respirato sempre quest’aria, diciamo che è stata una conseguenza del mio background. Inoltre avevo voglia di partire, di cambiare, di avventura, di conoscenza; ho fatto la prima missione al confine tra Romania e Ucraina, una volta lì ho capito di volerlo fare spesso, sempre più spesso. Adesso capisco che tutto quello che di bello abbiamo nella nostra vita è merito nostro, non dobbiamo perderci nemmeno per un secondo.

Cosa senti quando suoni? Cosa provi? Che vibrazioni hai e dai? Da dove hai preso questa energia infinita?
Ti deluderò un sacco con questa risposta. Quando suono non sento niente, non sono felice, non ho la magia dentro, è proprio uno “staccare la testa”. Suono. La cosa bella è che le emozioni le abbiano gli altri. Queste emozioni le vedo nella gente che mi ascolta, è lì che sento quell’energia che gli altri pensano provenga da dentro di me. Fare arte significa emozionare gli altri, non emozionare sé stessi.
Dott.sa Arianna Forni
