“Ciascuno, a modo suo, trova ciò che deve amare, e lo ama, la finestra diventa uno specchio; qualunque sia la cosa che amiamo, è quello che noi siamo.”
(David Leavitt, “La lingua perduta delle gru”, 1989)
Il riflesso in uno specchio siamo noi, noi che guardiamo noi stessi, noi che ammiriamo quanto siamo belli, quanto ci sentiamo perfetti, oppure quanto ci vediamo brutti, quanto ci detestiamo. Quello specchio può essere il nostro migliore amico e, contemporaneamente, il più acerrimo nemico, avverso, combattivo, distruttivo, sia nei confronti dei nostri sogni presenti che in quelli futuri. Lo specchio ci mostra per ciò che siamo ma sono i nostri occhi a decidere cosa guardare e come guardare, da qui nasce il, consueto, modo di dire “gli occhi sono lo specchio dell’anima”. Non è vero, non sono gli occhi, o meglio, non sono i nostri occhi a rispecchiare la nostra anima, bensì quelli di chi ci osserva, di chi ci conosce, di chi sa leggere le sfaccettature del nostro carattere, delle nostre gioie e delle nostre sofferenze. Noi siamo lo specchio dell’anima degli altri.
Chi si guarda, da solo, non avrà mai la risposta giusta, non avrà mai un confronto alla pari, non si metterà mai in gioco, sarà sempre la perfezione di sé stesso per sé stesso, riuscirà a rendersi inerme di fronte al mondo, incapace di farsi guardare, negli profondo degli occhi, dagli altri, perché vulnerabile alla sua stessa anima. Siamo semplici da tradurre in parole, siamo uomini, siamo carne, siamo ossa ma siamo, anche, sentimenti ed emozioni. Siamo vivi, fatti di forza, sì, ma di, altrettanta, debolezza. Chiusi nella nostra camera, tra le quattro mura di una casa, saremo sempre degli eroi invincibili, privi di antagonisti, sicuri di avere in pugno la situazione, protetti dietro gli schermi della nostra avanzata tecnologia, protetti dalle cattiverie della gente ma, allo stesso tempo, lontani da quegli occhi benevoli, magnanimi, delicati, di chi sa osservare oltre la mera apparenza, di chi sa guardarci, dentro al cuore, alla ricerca delle nostre inquietudini, delle nostre paure, pronto ad aiutarci, ad alleviare un malessere che fa parte, ahinoi, di tutti, allo stesso modo. Lo specchio dell’anima è solo un riflesso di ciò che vorremmo nascondere dietro le lenti degli occhiali da sole, sotto i lunghi ciuffi di capelli, tra abiti alla moda, scarpe appariscenti e larghi, bianchi, lucenti, sorrisi. Il mondo mette timore, non ci si può fidare di nessuno, si tende a stringere forte a sé quell’anima fragile, non vogliamo farle del male, è parte del nostro Io e se lei soffre, soffriamo anche noi.
“E tu, chissà dove sei
Anima fragile
Che mi ascoltavi immobile
Ma senza ridere
E ora tu, chissà dove sei
Avrai trovato amore, o come me
Cerchi soltanto le avventure
Perché non vuoi più piangere
E la vita continua
Anche senza di noi
Che siamo lontani ormai
Da tutte quelle situazioni che ci univano
Da tutte quelle piccole emozioni che bastavano
Da tutte quelle situazioni che non tornano mai
Perché col tempo cambia tutto lo sai”
(Vasco Rossi, “Anima Fragile”, 1980)
“col tempo cambia tutto lo sai”, già, cambiano le persone, cambiano le situazioni, cambiano i sentimenti, la percezione delle emozioni, cambiano i punti di vista, ci si rafforza con uno scudo sempre più grande, sempre più difficile da abbassare. Da ragazzini siamo tutti invincibili super-eroi, niente può scalfire il nostro spirito, siamo sprezzanti, non temiamo lo sguardo di nessuno, non abbiamo paura di rispondere, di farci valere, di essere noi stessi a prescindere dal resto del mondo. Ci sentivamo potenti, forti, poi le cose cambiano, si prendono le prime batoste e ci si accorge di quanto la vita sia meno rosea di quanto ci aspettassimo, iniziamo a cercare il primo scudo che ci protegga, almeno, le braccia, per attutire i colpi delle gomitate di chi ci vuol male. Il seguito è uguale per tutti, più semplice per qualcuno, più difficile per altri, sono molti di più quelli che arrancano in mezzo alla polvere di colore che navigano nell’oro. Eppure, i problemi, i timori, li abbiamo tutti, a prescindere da quanto grande e lussuosa sia la nostra dimora. Ripeto, bisogna uscire allo scoperto che guardare in faccia la nostra anima e tirare le somme. L’arte lo fa da sempre, da secoli. Gli artisti buttano su una tela quello che sentono di essere, prima che gli venga rovesciato addosso da qualcuno da cui non accetterebbero nemmeno un consiglio inerente al tempo, quello meterologico.

Francesco Mazzola, detto, appunto, il Parmigianino, si auto-ritrae ammirando la sua immagine in uno specchio convesso. La forma del suo volto, della mano in primo piano e del busto, appaiono modificate, deformate dallo specchio stesso; pare fosse una forma di auto immedesimazione nel proprio ego, lo scopo sarebbe dovuto essere quello di guardarsi come se quegli occhi non fossero i suoi, come se la distorsione dell’immagine potesse mostragli dell’altro. Impossibile, noi non siamo in grado di essere super partes rispetto al nostro ego, preponderante. La deformazione, parziale, del proprio volto avrebbe dovuto regalare l’illusione di trovarsi di fronte ad un’altra persona. Un modo per cercare di ingannare sé stessi, prendersi in giro sperando di darsi delle risposte il più verosimili possibile. Niente di fatto, guardarsi da soli è, e resterà sempre, un modo per lodarsi o rimpiangersi, per esaltarsi o distruggersi, per assurgere al Paradiso o sprofondare negli Inferi; patologicamente si tratta di senso di onnipotenza apparente munito della prerogativa, qualora lo specchio non ci renda la risposta richiesta, di trasformarsi in autolesionisti consapevoli.
“Specchio, servo delle mie brame, chi è la più bella del reame?”
(Fratelli Grimm, “Biancaneve”, 1812)
Tutti abbiamo paura di non essere bene accetti, di essere rifiutati da qualcuno, di sentirci in difficoltà, di non avere un aspetto socialmente consono, di non risultare simpatici, di non essere in grado di svolgere un lavoro. Tutti abbiamo paura di avere paura, questa paura ci provoca l’ulteriore paura di dover chiedere aiuto, subendo l’umiliazione di scontrarsi con la propria “anima fragile”. Il giro è infinito, non c’è pace, non c’è speranza ma c’è rimedio. Bisogna contornarsi di gente che ci ama e che non abbia mai niente di cattivo da dirci, che non voglia farci del male, ferirci, a cui vada sempre bene la nostra presenza, bella o brutta che sia, simpatica o antipatica, appariscente o sciatta, a cui si possa sempre andar bene, stop. Il resto non conta. Purtroppo, c’è da ammetterlo, di persone del genere ce ne sono davvero, davvero poche, le altre sono pronte a tagliarci i vestiti addosso, a cercare qualsiasi pecca, anche la più infinitesimale, pur di poter parlare male di noi, figuriamoci quando riescano ad accaparrarsi la possibilità di vedere, veramente, le nostre, reali, debolezze.

Ogni specchio ci renderà un’immagine differente, ogni occhio umano ci darà un responso differente, è da ognuno di essi che dobbiamo saper trarre il meglio e i dovuti insegnamenti. Non esiste la perfezione e l’imperfezione, esistono i compromessi e la consapevolezza di essere immensi, per qualcuno, e nullità, per altri. Anche la “Venere allo Specchio” di Rubens, si guarda compiaciuta:

Non è detto che chi le sta accanto stia pensando la stessa cosa ma, tutto sommato: è importante? Stiamo vivendo situazioni drammatiche, scioccanti, sconcertanti, economicamente instabili, stiamo attraversando un periodo in cui i motivi per sorridere sono sempre meno, godiamoci la vita. Al Diavolo gli specchi, però, prendiamoci cura della nostra anima, allontaniamo i malvagi, avviciniamo gli amici, allontaniamo le cattiverie e avviciniamo la benevolenza. Siamo umani, abbiamo bisogno di sentirci importanti, anche solo per un attimo, anche solo per qualcuno. Non cacciamo la testa in un buco come gli struzzi perché, nonostante sul fondo della fossa ci sia un piccolo specchio a riflettere la nostra luce interiore, continuerà ad essere sempre e solo un nostro intimo voler credere qualcosa che, a tutti gli effetti, non è. Meglio una badilata sulla faccia e poi una rosa offerta con garbo, piuttosto che una vita da eroi solitari, creduloni e infelici.
“Mai credere né agli specchi né ai giornali.”
(John Osborne)
Arianna Forni

Lo specchio non ha colpe. Riflette ciò che noi vediamo. Se provassimo a vedere positivo gli specchi ci piacerebbero un po’ di più!
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