“Nel giuramento olimpico, chiedo solo una cosa: la lealtà sportiva.”
(Barone Pierre de Coubertin)
Lealtà, ecco la parola magica, non solo nello sport, in tutta la vita, in ogni giornata, durante qualsiasi occasione, nel rispetto dei rapporti umani. Essere leali, come sul ring, come in una gara relativa a qualsiasi sport, ad ogni disciplina. Leali nell’utilizzo di mezzi consentiti, senza cadere nel giogo dei mezzucci da baro. Si parla di Fair Play in modo che tutto il mondo comprenda, io la chiamo, semplicemente, lealtà. Che vinca il migliore, non il più furbo e nemmeno il più ricco, solo il più bravo può alzare la coppa, solo il più forte può detenere il primato ma deve essere pulito. Pulito dal doping, una piaga sleale che sta contaminando e distruggendo la bellezza del gesto atletico, sportivo ed etico, pulito dal vile denaro che, mai, dovrebbe poter comprare un risultato agonistico. Pulito da tutto ciò che esula dallo sport fine a sé stesso, fatto di fatica, di sudore, di duri allenamenti, di strategie tecniche, non scientifiche, non chimiche, non economiche. A questa citazione del Barone Pierre de Coubertin, la migliore sul piano Olimpico, per definire e incitare gli atleti a fare del loro meglio, grazie alla dedizione e alla totale passione fisica e mentale, si contrappone quella di George Orwell. Una provocazione, una frase ricca di tutta la negatività dello sport, per cercare, forse, di far guardare in faccia alla realtà, con tanta consapevolezza e altrettanta triste constatazione dei fatti. Ecco, questo è ciò che lo sport non dovrebbe, mai, proprio mai, essere:
“Lo sport serio non ha nulla a che fare col fair play. È colmo di odio, gelosie, millanterie, indifferenza per ogni regola e piacere sadico nel vedere la violenza: in altre parole, è la guerra senza le sparatorie.”
(George Orwell)
Dargli torto, alle volte, è impossibile. In quante occasioni ci capita di dover vedere violenza sui campi gara, nelle arene, sugli spalti? In quante occasioni ci si accanisce con cattiveria contro gli avversari o, addirittura contro gli arbitri? Quante volte vorremmo non essere andati a vedere quella partita, quella competizione? Non sto parlando di uno sport specifico, sto parlando in generale, ahimé, certe situazioni spiacevoli capitano, davvero, ovunque. Del Fair Play sarebbe bello conoscerne il vero significato. Altro che pubblicità progresso, scambi di maglie sui campi da calcio e strette di mano prima delle varie premiazioni. La lealtà, già. Eppure, leale ha un significato reale, concreto, in questo chiamo in causa, come sempre, il nostro caro Vocabolario Treccani:
“leale agg. [dal fr. ant. leial, mod. loyal, che è il lat. legalis «legale»]. – Di persona che parla e agisce con sincerità e franchezza, che ha vivo il sentimento dell’onore e rifugge così dalla finzione come dal tradimento: uomo, amico, avversario l.; avere animo, carattere l.; anche di chi antepone all’utile l’onesto […] Avv. lealménte, con lealtà, in modo leale, franco: dichiarare lealmente la propria opposizione; senza inganni: combattere, giocare lealmente; fedelmente: servire lealmente una causa; con onestà e correttezza: agire lealmente.”
A questo aggiungo le immagini realizzate da un artista forte, a volte troppo forte, ma, assolutamente, icisivo, Pavel Kuchinsky:

Armonia, lealtà, fiducia, rispetto. Questo dovrebbe essere lo sport, tutto, dovrebbe essere la massima espressione di un gesto atletico/artistico nella sua completezza, come capacità e caparbietà umana, vicina a quella divina, vicina alla perfezione, vicina alla consapevolezza di doversi migliorare, sempre, così come nella vita di ogni giorno, qualsiasi sia la nostra attività quotidiana. Dal Fair Play, con l’intrinseco senso di lealtà, ci siamo, addirittura, spinti oltre, verso il Fair Play finanziario – non sono qui per parlare dell’AC Milan – ma per spiegare quanto sia innaturale dover inserire tale formula all’interno di un contesto sportivo detto Associazione, ovvero privo di scopo di lucro.

Il Fair Play Finanziario viene introdotto dall’UEFA, su proposta di Michel Platini, nel 2009, per indurre le società calcistiche ad estinguere i propri debiti e auto-sostentarsi, in modo, appunto, esclusivamente, autonomo, grazie all’introduzione di uno o più sponsor. Già, anime buone che amano lo sport e per questo pagano. In effetti, è abbastanza credibile, soprattutto ad alti, altissimi, livelli. In buona sostanza, comunque, è ciò che fa qualsiasi Associazione Sportiva che, non potendosi alimentare grazie alla vendita e alla produzione, si appoggia a qualche gentile promotore disposto ad elargire denaro per mantenere in vita detta Associazione; i padri dei bambini che fanno parte della squadretta di tennis, ad esempio. Sta di fatto che nel calcio ruoti un mondo, leggermente, più ricco e dispendioso rispetto ad una Associazione di nuoto giovanile, tanto per restare in tema. Inoltre, il UEFA avrebbe voluto stabilire una pseudo uguaglianza tra le varie società, permettendo un gioco più sportivo che economico. Nel 2009, Florentino Perez, Presidente del Real Madrid, nel corso del Calciomercato, spese 94 milioni di euro, in un botto solo, per l’acquisto di Cristiano Ronaldo, mettendo società meno abbienti nelle condizioni di poter, solamente, guardare, e non toccare. Fatto sta che il divario non è cambiato, c’è chi può e chi non può e questo, sportivamente parlando, non è leale. Non vorrei addentrarmi nella questione calcistica perché andrei a smuovere meccanismi non più, esclusivamente, sportivi, ma legati ad un mondo parallelo legato al giornalismo, alle televisioni, ai, conseguenti, diritti televisivi, all’inflazione, alla promozione delle nuove strutture, al sistema di creazione di brand delle grandi squadre, ai diritti di immagine, alla compravendita di giocatori e via dicendo. Appare tutto troppo complesso e, torno a ripetere, poco sportivo. Il Fair Play, invece, vale per tutti, o almeno dovrebbe, vale sui campi gara dei ragazzini come su quelli degli atleti olimpici, vale per tutti e tutti dovrebbero rispettarlo. Poi, a danneggiare lo sport, nuovamente, compare il mondo delle scommesse, una volta riguardava, quasi esclusivamente, il settore delle corse dei cavalli, ormai affligge qualsiasi disciplina, qualsiasi competizione, qualsiasi atleta, portando altro sporco da nascondere sotto il tappeto, l’etica va a farsi benedire. A questo punto, però, dobbiamo affrontare il discorso, prettamente, legato alla deontologia professionale e all’etica stessa.
“Il comportamento etico di un uomo dovrebbe in realtà basarsi sulla solidarietà, l’educazione e i legami sociali; non è necessario alcun fondamento religioso. L’uomo si troverebbe in una ben triste situazione se dovesse venir trattenuto dalla paura di una punizione e dalla speranza di una ricompensa dopo la morte.”
(Albert Einstein)
Le parole di Alber Einstein ben si amalgamano al significato stesso del termine deontologia: il complesso, appunto, delle norme etico-sociali che regolamentano l’esercizio di determinate professioni, ovvero non solo in ambito sportivo ma, bensì in ambito lavorativo, sia esso legato o meno al mondo dello sport, dell’allenamento, o dell’impresa. Deontologico è tutto quello che deve essere fatto nel rispetto di coloro con cui abbiamo a che fare, nella consapevolezza che ognuno di noi abbia bisogno dei suoi tempi, dei suoi spazi e dei suoi innumerevoli dubbi, momenti di riflessione e di assimilazione di un concetto. Chi sa lavorare in modo professionale ha appreso il significato del vocabolo deontologia, sa, per questo, addentrarsi nei più svariati ambiti senza sembrare mai né aggressivo né, tanto meno, fuori luogo. La deontologia, in quanto rientra, perfettamente, nell’ambito dell’etica, è un’arte e come arte va studiata, sperimentata, compresa e appresa sul campo. L’essere deontologicamente professionali ci permette di aprire porte insperate, di instaurare business duraturi e di costruirne di nuovi sulla base dei precedenti. Lo stesso discorso vale per lo sport, peccato che, nonostante lealtà, deontologia, etica e Fair Play, siano, sostanzialmente, la stessa cosa siano in pochi, forse nessuno, ad aver, concretamente, compreso il loro significato. Anche in questo caso bisognerebbe ripartire dalle basi scolastiche ma, per il momento, dobbiamo, per forza, confrontarci e trattare con chi ha in mano il potere e sperare che, almeno, sappia leggere, pensare e capire.

Matteo Mezzadri si domanda se sia, o meno, il caso di distruggere quel muro, bene, sarebbe il caso che iniziassimo tutti a porci la stessa domanda e prendessimo in mano il martello, tutti insieme, per aprire un nuovo varco capace di ricongiungere arte, etica, cultura, professionalità, deontologia e sport. Sono certa che vivremmo in un mondo migliore. Oppure possiamo, sempre, tornare a chiedere aiuto a Banksy:

Cancellare i nostri sogni mi parrebbe proprio l’ultima spiaggia ma anche perseguire un obiettivo sparando sulla folla, a suon di dobloni e sberloni, non mi sembrerebbe una grande soluzione. Parliamone, le discussioni, di solito, aprono la mente, sempre ammesso che nascano da personalità aperte al cambiamento, in positivo, e non legate al mero guadagno, costi quel che costi.
Io sto dalla parte del Fair Play, chiudo un occhio sul Fair Play Finanziario, che aiuta chi vuole e ammazza gli altri, e apro una parentesi etica sul mondo umano. Etico: tutto ciò che non vada contro una morale lucida, limpida, buona e rispettosa nei confronti del prossimo. Se pensate di essere etici e lasciate gli anziani in piedi sul tram mentre voi, giovincelli, state seduti, beh, non rientrate nella deontologia etica di una vita a misura d’uomo, anzi, non sareste ammessi nemmeno in un branco di lupi.
“Non credo nell’immortalità dell’individuo e considero che l’etica sia un interesse esclusivamente umano che non deriva da alcuna autorità sovrannaturale.”
(Albert Einstein)
Arianna Forni