“Et però credo che molta felicità sia agli homini che nascono dove si trovano i vini buoni.”
(Leonardo da Vinci)
Mi dispiace, per gli astemi, ma il vino è un’arte, sia nel saperlo fare che nel saperlo vendere, sia nel saperlo assaporare che nel saperlo proporre. Sono secoli che l’uomo vive, e convive, con il vino, secoli di perfezionamento, di studio, di tentativi, a volte ben riusciti a volte meno ma questo conta poco, ciò che conta è sapere di potersi sedere a tavola assaporando un buon calice del nettare degli dei, accompagnato dalla pietanza perfetta, nell’abbinamento perfetto, insieme alla migliore compagnia. Il vino unisce, in vino veritas, per entrambe queste ragioni sarebbe meglio bere e mangiare con qualcuno di molto, molto, e ancora molto, affidabile. Battute a parte, la scienza del vino e lo studio dei sapori è, da tempo, ormai, materia di interesse di giovani ambiziosi che hanno visto, in questo settore, un business non ancora totalmente battuto. Purtroppo sono arrivati un po’ tardi, a livello di produzione, ci sono cantine secolari, le cui bottiglie sono più sicure di un investimento in BOT, aggiungere vino al vino non so quanto possa essere redditizio. Ciò che, invece, pare mancare, sono gli esperti assaggiatori, quelli con un gusto e un olfatto, a dir poco, perfetti. L’arte del vino, l’arte del buon cibo, l’arte dello stare in compagnia, ricordiamoci di farlo consapevolmente e con tanta, adeguata, responsabilità, non si guida dopo aver bevuto e, inoltre, non si va oltre il limite della cognizione. Un bicchiere di vino al giorno, come la mela, d’altra parte, toglie il medico di torno, fa bene al cuore e scalda il corpo e lo spirito, fa anche sentire meno soli, a volte, oppure rallegra la compagnia. Mai esagerare, però, la lucidità mentale non deve mai essere persa di vista, sia per la nostra salute che per evitare di incorrere in rischi inutili. Insomma, il vino è un toccasana per tantissime cose. In alcune, importanti e svariate situazioni, però, bisogna saperne avere rispetto, quasi reverenziale, giusta e corretta conoscenza.

L’enologia, dal greco oinos, vino, e logos, studio, è esattamente lo studio del vino, la scienza che, sola, può studiare quel processo, perfetto, attraverso il quale l’uva si trasforma in vino. I passaggi principali sono tre: filtrazione, pressatura, rimontaggio. Il processo andrà concluso con un’analisi, fatta esclusivamente dall’uomo, visiva, olfattiva e gustativa. Solo attraverso tutti questi step, regolati e regolamentati da uno processo produttivo attento ai dettagli, si riuscirà ad ottenere la bottiglia perfetta, bianca, rossa, rosata, frizzante o liscia, ad ognuno le sue preferenze, ad ogni piatto il migliore abbinamento.
“Il vino, specialmente in Italia, è la poesia della terra.”
(Mario Soldati, “La messa dei villeggianti, Il vino di Carema)
La figura specializzata nella degustazione, scientifica e tecnica, dei vini è l’assaggiatore, sopra, per livello tecnico e capacità di presentazione, c’è il sommelier. Il termine ha origine francese, da saumalier il cui significato era, espressamente, conducente di bestie da soma, fino ad arrivare a cantiniere. La professione è sempre più richiesta, sopratutto, nei ristoranti di alto livello e negli Hotel di lusso, laddove la clientela necessita di un trattamento speciale e, di conseguenza, di figure, altamente, istruite, e specializzate, nel servizio di qualsivoglia richiesta dei vari clienti. Il vino resta un punto focale, centrale nella scelta delle location per le proprie, personali, feste, business meeting o, semplicemente, per un tour eno-gastronomico di tutto rispetto. Il sommelier, per essere degno di portare questo nome, deve presentarsi adeguatamente vestito, normalmente in smoking, in alcune occasioni con la marsina da cerimonia oppure, specialmente nelle trattorie, prestigiose ma in old style, con un grembiule lungo, la camicia bianca, il farfallino, nero o del colore del grembiule, scarpe e pantaloni neri. Dovrebbe portare, appeso al collo, anche, il tastevin, ormai quasi scomparso, rimasto in alcune circostanze più come antico retaggio che come vero strumento d’utilizzo, è giusto conoscere la sua esistenza.

Deve, comunque, portare sempre con sé il suo, personale, cavatappi, il frangino di colore, rigorosamente, bianco e, in rare circostanze, il termometro per misurare la temperatura del vino in calice. Tutta questa cerimonia deve essere il preludio all’assaggio dei clienti e al loro, immenso, piacere, nell’assaporare proprio quella bottiglia, in quel ristorante, presentata da quel sommelier. Esistono scuole specifiche per chi desidera fare questo mestiere, non basta essere dei buoni assaggiatori, degustatori o amanti del vino per essere dei perfetti sommelier, servono anni di studio, finezza, eleganza e precisione.

Il paradosso francese, invece, è un modo di dire, più o meno verosimile, secondo il quale il tasso di mortalità per malattie cardiovascolari, in Francia, sia più basso che in altri Paesi grazie al fatto che, in media, si consumi più vino rosso, per individuo, rispetto al resto del mondo. Si tratta di un paradosso, una semplicistica affermazione che possa convincerci a bere quel bicchierino al giorno e preservare il nostro cuore, sia come organo vitale che come fonte, essenziale, dell’anima e dello spirito.
“Il vino mi ama e mi seduce solo fino al punto in cui il suo e il mio spirito si intrattengono in amichevole conversazione.”
(Hermann Hesse, “Aforismi”, a cura di Paola Sorge, Newton Compton, Roma, 1994)
La viticoltura in Italia ha origini davvero lontane, tant’è vero che, un tempo, il nostro Paese prendeva il nome di Enotria, ovvero Terra del Vino, dal nome degli abitanti della Basilicata, Enotri, vissuti 500 anni prima di Cristo. Già all’epoca avevano sviluppato tecniche pregiate, e pregevoli, per la viticoltura, la vinificazione e la, conseguente, conservazione del prodotto finale. Non a caso, anche Joe Bastianich ha scelto l’Italia per la sua azienda vinicola, attiva dal 1997, con 35 ettari di vigneto nei Colli Orientali del Friuli.

Attualmente, l’Italia è il secondo produttore mondiale di vino, dopo la Francia, esportiamo, circa, 18 milioni di ettolitri l’anno, verso quasi tutti i Paesi del mondo, principalmente negli Stati Uniti, in Inghilterra e in Germania. Non esiste Regione italiana a non possedere aree vinicole, tutte con differenti caratteristiche di produzione ma tutte, adeguatamente, inserite nelle norme qualitative richieste per la vendita e l’imbottigliamento. Questo dimostra quanto, il nostro Paese, sia ai massimi livelli eno-gastronomici sul piano globale e quanto, tutto ciò, comporti un movimento, ampio, del turismo e, appunto, dell’esportazione; un punto fondamentale per il nostro sostentamento economico.

Il vino è arte in sé e per sé ma è, da sempre, parte dell’arte stessa, come dimostra il “Bacco” di Caravaggio, avvolto nel suo drappo bianco, con un calice di vino rosso in mano, una brocca appoggiata sulla tavola, accanto ad un cesto di frutta nel quale, proprio, l’uva fa da padrona.
Bere con responsabilità è la prima regola da tenere ben presente ma un bicchiere, ogni tanto, può solo farci bene e poi, come ci ha confermato anche il Santo Padre, Papa Francesco:
“Non c’è festa senza vino, immaginatevi di finire le nozze di Cana bevendo tè.”
(Papa Francesco)
AriannaForni
