“La rinuncia: eroismo della mediocrità.”

(Natalie Barney, Citato in Le petit philosophe de poche, Textes réunis par Gabriel Pomerand)

In effetti, ci è stato insegnato molto tempo fa, da Esopo, ne “La volpe e l’uva”, lei ha rinunciato al suo pasto, già, non era matura. Noi facciamo lo stesso in centinaia, se non migliaia, di occasioni della nostra vita, dalle sciocchezze, più inutili, alle cose più importanti. Rinunciamo per non dover ammettere di essere incapaci per farcela da soli: stolti, immaturi e orgogliosi. Se non sappiamo volare non è per inefficienza, ci mancano le ali, se sappiamo correre non è bravura, abbiamo le gambe. Potendo volare rinuncereste a non farlo per paura? Potendo correre rinuncereste a non farlo per mancanza di equilibrio? Magari basterà, o basterebbe, solamente, farsi aiutare, farsi insegnare, mettersi nelle condizioni migliori per avere sicurezza, e dimestichezza, nei nostri mezzi. Sarà tutto più facile e non saremo mai costretti alla rinuncia, al fallimento, all’umiliazione personale, intima, devastante, angosciante. Eppure, qualcuno pensa il contrario, cito Heidegger, forse, anche lui ha avuto bisogno di una ricerca introspettiva di autostima, di una giustificazione ad una terribile, temibile, debolezza:

“La rinuncia non toglie. La rinuncia dona. Dona la forza inesauribile dell’infinito.”

(Martin Heidegger)

Detesto la parola rinuncia, è l’equivalente di fallimento, distrugge la vita, distrugge la fiducia in sé stessi, porta all’alienazione. Siamo resilienti, almeno, di grazia, cerchiamo di esserlo. Viviamo una volta sola, fallire, per personale incuria, non a causa di forza maggiore, suprema, non è tollerabile. Siamo artefici del nostro passato, del nostro presente e, soprattutto, del nostro futuro. Potrebbe spaventare ma non si molla, non si rinuncia. Si prosegue perché il nostro destino, quello dell’umanità, è di avanzare, sempre, possibilmente, facendo del nostro meglio, migliorando noi stessi, facendo crescere quei frutti del passato che dovrebbero portarci verso un mondo migliore, sicuramente, non quel mondo in cui stiamo vivendo adesso. Leggo i giornali, ascolto le notizie, mi documento e vedo una mistificazione dell’egocentrismo, del mors tua vita mea, dell’inguaribile desiderio di denigrare gli altri per apparire migliori. Sembra di essere tornati al tempo dei barbari, delle invasioni, dei massacri inutili, della lotta alle Streghe, beh, qualcuno andrebbe bruciato sulla pira, arso vivo nel rogo metaforico di un mondo che, se non sai combattere, ti sbrana da dentro. L’arte, la cultura, possono salvarci, potrebbero farlo se ci fosse ancora della sensibilità, abbiamo perso anche quella. Non siamo capaci di scegliere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, la fine, innegabile è questa:

“Noi, troppo spesso, esitiamo a fare le rinunce necessarie. In compenso, purtroppo, compiamo volentieri rinunce che sono una colpa.”

(Alessandro Pronzato, sacerdote cattolico italiano, giornalista, scrittore e professore, “Prega per Noi!”, 2000)

Alienazione disinteressata, facciamo finta di non capire, il nostro inconscio capisce benissimo, il risultato è un baratro senza fine, un disarmo culturale aberrante per lo spirito, che consuma il corpo e costruisce squali da marciapiede, pronti a strappare lembi di pelle di alcuni, rari, uomini buoni che pur di non combattere si fanno uccidere. Dobbiamo svegliarci. Dobbiamo tornare a studiare, tutti, chi pensa di sapere sa meno della metà di quello che dovrebbe e chi dice di dover approfondire, ancora e ancora, i suoi studi, pur avendo massima padronanza linguistica e storica, viene considerato pazzo, inutile, come se la conoscenza avesse un valore inferiore all’apparenza. Ricominciamo da capo, mostriamo esempi da seguire, pilastri di stabilità, cancelliamo il male e l’ignoranza. Ricominciamo, possiamo ancora salvare l’umanità dall’oblio. Mi sento come lo Stregatto, di Alice nel Paese delle Meraviglie, con la testa rovesciata alla ricerca del giusto orizzonte dal quale guardare il mondo. Sono troppo pochi gli angoli di pace, di equilibrio tra essere ed essenza. Non si sa più da che parte girarsi. Servirebbe una riscossa, almeno dei più forti, dei più determinati, una carica che sappia sgominare l’ignoranza e riportare l’eleganza e il rispetto:

Lord Francesco Mancini, 1848
Lord Francesco Mancini, 1848

Siamo nati nel periodo degli automi senza testa, capaci di ragionare attraverso le parole dette dalle televisioni, pronunciate per manipolare il nostro pensiero. Ci sono riusciti, i manipolatori seriali, sono riusciti a rovinare la testa di molti, i pensieri, le decisioni, i sogni. Per fortuna, qualcuno si è salvato e ha mantenuto la sua forza interiore, non è facile restare saldi nel proprio Io ma è possibile, ci vuole determinazione, costanza, studio continuo e continuativo. Bisogna munirsi di lancia e andare nel mondo armati, di cultura, di conoscenza storica, di psicologia sociale che ci permetta di vedere il male da lontano, prima che possa, anche, solo, avvicinarsi. Difficilissimo, dobbiamo imparare ad evitare, come il Diavolo, il condizionamento, già, fosse facile, anche le pubblicità ci condizionano la vita, gli acquisti e le ambizioni. L’arte può solo farci vedere il brutto, farcelo riconoscere e poi, beh, mostrarci il bello per stemperare la tensione:

William Girometti, C...come condizionamento, 1976 - da Wikipedia
William Girometti, C…come condizionamento, 1976 – da Wikipedia

Alle volte bisogna fuggire, armati e sicuri, armati di sangue freddo e competenze, armati di forza e di equilibrio per far scemare la tensione e vincere sul male, sul dolore e sulle sofferenze, come nel caso della “Carica dei lancieri” di Umberto Boccioni del 1915. Cavalli contro i fucili, un massacro sicuro, forse, solo la strategia potrebbe aiutarci:

Carica dei lancieri 1915 Tempera e collage su cartone, 32 x 50 cm collezione Jucker, Milano - da Salone degli Artisti
Umberto Boccioni, Carica dei lancieri 1915 Tempera e collage su cartone, 32 x 50 cm collezione Jucker, Milano – da Salone degli Artisti

Bisogna fare in fretta, agire rapidamente per non farsi interrompere, per non cadere nelle trappole che questa vita inframmezza tra i nostri desideri e ciò che, realmente, saremo capaci di fare. Dipende solo dalla nostra volontà, dal nostro equilibrio, dall’anima bella di Ermione, ne La pioggia nel Pineto, di Gabriele D’Annunzio, scritta nel 1902. Dobbiamo guardarci intorno e farci le domande giuste, le risposte arriveranno solo con il tempo, non sforziamoci adesso, non martelliamo il nostro cervello alla ricerca della verità, siamo uomini, pieni di debolezze, pieni di insicurezze, solo il tempo ci darà ciò di cui abbiamo, realmente, bisogno, dobbiamo solo camminare sulla retta via, con la testa sulle spalle, con la consapevolezza di dover apprendere per sapere, apprendere per conoscere, apprendere per non essere mai colti impreparati. Non saremo mai capaci di rispondere a tutti i quesiti:

William Girometti, Disamina della verità obiettiva. 1979 - da Wikipedia
William Girometti, Disamina della verità obiettiva. 1979 – da Wikipedia

William Girometti è un artista che sa raccontare bene i problemi sociali moderni, trovo che la sua produzione, sebbene risalga a qualche tempo fa, sia l’emblema, storico, del nostro tempo, della nostra modernità che corre senza fermarsi mai. Dovremmo farlo, ogni tanto, guardare avanti, guardarci attorno, tirare delle conclusioni che ci riguardino e che possano riguardare chiunque sia al nostro fianco. Non si cammina mai da soli, siamo inseriti in un contesto dove ci sono più esseri viventi che spazio per vivere, eppure ci sentiamo soli. Siamo un branco di incapaci, la dimostrazione è la crisi mondiale, sono gli interscambi internazionali, sono i dazi doganali, è la politica, non parlo solo dell’Italia, parlo in generale, anche se, purtroppo, l’Italia è l’esempio emblematico da cui imparare come non comportarsi, mai. Spregiudicati uomini dal potere e dal guadagno facile che usano parole a caso per accalappiarsi il favore delle folle di inconsapevoli. Tutti gli altri si barricano dietro le proprie mura e fanno finta di non vedere, per sopravvivere. Cerchiamo di fare, tutti, una vera “Disamina della verità obiettiva”, come nel quadro di Girometti, servirebbe, ne sono certa. Poi, invece, al contrario, ci sono quelli che non mollano, non vogliono mollare, si lanciano alla riscossa. Per spiegare questo termine vorrei usare due citazioni, a me molto care, di Paulo Coleho:

“Gli uomini sono artefici del proprio destino: possono commettere sempre gli stessi errori, possono fuggire costantemente da ciò che desiderano, e che magari la vita gli offre in modo generoso; oppure possono abbandonarsi al destino e lottare per i propri sogni accettando il fatto che si presentano sempre nel momento giusto.”

(Paulo Coelho, da Brida)

“Devono esserci altre cose nel mondo che le pecore non sono in grado di insegnare. […] Perché loro cercano soltanto acqua e cibo. Penso che non siano loro a insegnare: sono io ad apprendere.”

(Pulo Coelho, L’Alchimista, pg. 71)

Apprendere, lottare per i propri sogni, guardare avanti con consapevolezza e certezza delle, e nelle, proprie capacità; sapere di non avere mai finito di imparare, comprendere che, ogni giorno, ci sarà qualche nuovo ostacolo, qualche breve discesa e poi qualche ardua salita da percorrere con calma, passo dopo passo, senza correre rischi inutili, senza sguainare le spade per metterci meno degli altri e fare terra bruciata attorno a noi. Bisogna vivere, convivere con il mondo che ci circonda, sapere di non essere soli, su questa Terra, sapere di aver bisogno che qualcuno ci aiuti, in alcuni momenti, in altri saremo noi a dover dare un appoggio a chi, giustamente, ne avrà necessità. Siamo uomini, l’uomo è costituito da un cervello che, se istruito, sa ragionare, da un cuore pulsante, spinge il sangue nel nostro corpo e ci aiuta a riconoscere i sentimenti, metabolizzati dalla nostra anima. L’anima non si sa cosa sia, non si sa dove sia ma mi piace credere che sia l’artefice del nostro destino, che sia lei a guidarci e sia sempre lei a farci fare le scelte giuste, dobbiamo solo saperla ascoltare.

Arianna Forni

Domenico Zampieri detto il Domenichino, Vergine con unicorno, 1604, affresco,Roma, Palazzo Farnese, Galleria dei Carracci - da Stile Arte
Domenico Zampieri detto il Domenichino, Vergine con unicorno, 1604, affresco,Roma, Palazzo Farnese, Galleria dei Carracci – da Stile Arte

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